Erba, un caso da riaprire? Intervista a Paola D’Amico e Stefania Panza (2ª parte)

Creato il 04 luglio 2011 da Yourpluscommunication


Strage di Erba, 11 dicembre 2006.

In provincia di Como, vengono uccisi Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, la nonna Paola Gelli e la vicina di casa Cherubini. Si salva solo il marito di quest’ultima, Mario Frigerio perchè creduto morto. Il 3 maggio 2011, la Cassazione ha definitivamente condannato Olindo Romano e Rosa Bazzi (già condannati all’ergastolo) colpevoli. Ad oggi molti però, restano i dubbi da chiarire, sulle prove, sull’inchiesta, sulle carte. Da queste ultime in esclusiva, Notte Criminale, intervista Paola D’amico e Stefania Panza, autrici di “Erba, analisi di un delitto. Una strage imperfetta

QUI la prima parte

Bisogna, sempre e comunque, dare subito in pasto all’opinione pubblica un colpevole?

Paola D’Amico: Questa è una storia scomoda, una storia che bisognava chiudere in fretta…peccato che i primi ad avere dei dubbi sono stati, nello stesso carcere, la psicologa che seguiva Rosa e Olindo, ad esempio, che, dopo diverse decine di colloqui e test, esprimeva delle grosse perplessità. E poi, partì dal carcere stesso, dal prete del carcere, dalla direzione la ricerca di un nuovo avvocato, diverso da quello che aveva seguito i due imputati come l’avvocato d’ufficio e che, chissà, forse giovane, forse inesperto, forse spaventato non fece il suo lavoro.

Stefania Panza: Se negli interrogatori durante la famosa prima confessione (che di confessione ha veramente poco) purtroppo, mi spiace dirlo, l’avvocato Troiano sembra il quinto pm nella stanza cioè, non fa il suo lavoro, non difende.

Paola D’Amico: Al primo interrogatorio, infatti dice: «Io non ho visto le carte ma, mi dicono che ci sono delle prove schiaccianti»

Stefania Panza: Accidenti! Come non hai visto le carte? In quattordici ore di interrogatorio ha detto due frasi. E’ intervenuto due volte e zittito dai pm, non ha mai più riaperto bocca.

Avete avuto il coraggio di mettere nero su bianco degli atti tenuti nascosti e, finito il libro, la sensazione che in questa storia si celi qualcosa o qualcuno, perpetua. Quali sono le ipotesi che vi siete fatte?

Paola D’Amico: Questo è stato un lavoro di riesame: un riesame a pista fredda della vicenda. Noi, cioè, volutamente abbiamo lavorato partendo dalle carte. Solo dopo, pubblicato il libro (“Erba, analisi di un delitto. Una Strage Imperfetta”ndr) – tra l’altro a nostre spese – e dopo il convegno, al quale sono stati invitati professionisti di vario settore, abbiamo avuto modo di conoscere la psicologa del carcere, gli avvocati. Ma dopo, perché non volevamo essere influenzate.

Siamo andate sul luogo del delitto, nella corte di Erba, insieme ad una giovane fotografa per fare delle fotografie. Ma sempre dopo. Dopo tutto questo.

Lì, abbiamo detto «caspita se ci fossimo venute subito, prima di leggerci quattrocento mila carte, vederci 3 giga di immagini, filmati, fotografie, forse ci era tutto molto più chiaro»

Stefania Panza: Una volta analizzata la scena del crimine e avendo chiesto ad esperti, verificato di persona – anche sulla base del lavoro investigativo che abbiamo fatto-, per prima cosa, abbiamo visto che, naturalmente, chi ha agito quella notte in via Diaz 8l’11 dicembre 2006), è sicuramente un killer professionista.

Le cinque ferite alla carotide, portano a far pensare a gente che sapeva perfettamente che cosa era la carotide, che sapeva perfettamente come colpire, che lo sapeva fare molto bene ed in tempi velocissimi. Questo, ci ha portate a percorrere una pista “islamica” la stessa, che ci ha portato, poi, ad individuare negli autori materiali della strage, sicuramente persone di etnia cecena o albanese.

Chiaramente, risalire invece al mandante e quindi al movente di questa vicenda, è un attimino più complesso.

In realtà tutti avevano un movente in questa storia. Aveva un movente la ‘ndrangheta, che poteva volersi rifare su Azouz Marzouk; potevano essere gli amici della ‘ndrangheta, con cui la ‘ndrangheta da sempre traffica in droga e a cui, sembra, che Azouz non abbia pagato una partita e quindi avrebbero potuto essere stati loro a vendicarsi e c’è un’ipotesi, che è stata anche quella della difesa, ma noi ci siamo arrivate in un altro modo, ci teniamo a dirlo, ovvero l’ipotesi del delitto “interfamiliare”.

Perché c’erano dei fortissimi attriti tra le vittime, soprattutto Raffaella Castagna, e la sua famiglia d’origine (quindi il padre e i due fratelli). Un’ipotesi avvalorata anche nell’immediatezza degli inquirenti, tanto che i telefoni e i telefonini della ditta dei Castagna (Carlo, Giuseppe e Pietro), furono attenzionati, messi sotto controllo. (questa quindi non è solo una nostra ipotesi).

Dall’esecutore materiale a trovare il mandante, insomma, il passo è ancora lungo e non vogliamo esporci neanche più di tanto, perché ci sono cose che vanno anche verificate.

Paola D’Amico: Non è neanche nostro compito

Stefania Panza: E’ brutto accusare, poi, qualcuno senza averne le prove. Queste sono le nostre ipotesi che, peraltro, furono vagliate già dagli inquirenti

Paola D’Amico: C’è poi tutto un ambiente a sfondo criminogeno perché tra Como, Erba e Lecco dove la Guardia di Finanza e la mobile di Lecco, hanno condotto accuratissime, approfondite e meravigliose indagini.

Inchieste che, dal 2003 all’estate scorsa, hanno portato ad arresti e processi e che hanno avuto sempre come oggetto usurai, che si intersecavano con ‘ndrangheta, traffico di droga, traffico di armi…Volendo, c’è molto su cui poter lavorare.

Stefania Panza: Lo scriviamo anche sul libro che furono le stesse ipotesi vagliate dagli inquirenti e le tre ipotesi erano:

- Rosa Bazzi e Olindo Romano,
- La vendetta trasversale nei confronti di Azouz Marzouk
- Il delitto interfamiliare

Su queste ci indagarono anche i procuratori di Como che poi sostennero l’accusa. Dopo un mese questo piano di ipotesi si restrinse esclusivamente a Rosa e Olindo ma, le altre due piste (delitto interfamiliare e vendetta trasversale) non furono assolutamente approfondite.

Allora, io dico sempre: approfondiamo, troviamo eventuali riscontri e poi eventualmente vediamo se sta in piedi o non sta in piedi. invece dopo un mese, quando Rosa e Olindo furono arrestati, e fatti confessare, queste ipotesi morirono completamente.

Paola D’Amico: Fatti arrestare convincendo Olindo che se avesse confessato se la sarebbe cavata in cinque anni e la moglie sarebbe andata a casa. Qualsiasi cittadino probabilmente, riflettendo, con un minimo di competenze si renderebbe conto che un autore di una strage di quelle dimensioni in cinque anni non se la cava. Minimo prendi quattro ergastoli, non te la puoi cavare. Lui, però, ci ha creduto.

Stando a questo, Rosa e Olindo sembrano la coppia perfetta da incriminare

Paola D’Amico: Senza amici, sono (diciamo) brutti e antipatici, litigiosi..una coppia patologica. Un magistrato ha coniato un termine osceno, orrendo, volgare “quadrupede” che una firma del mio giornale, il Corriere della Sera, ha riportato e ha usato quasi come una medaglietta alla fine, dopo la condanna in Cassazione. Quadrupede: un termine che io ritengo estremamente vergognoso, una pessima metafora.

In realtà, gli stessi analisti e lo stesso criminologo che ha fatto una perizia interessante sulla grafia di Olindo spiegano che i due sono soggetti insicuri, che si tengono su uno con l’altro, fortemente emozionali. Olindo ha la personalità di un bambino di sette/otto anni e, probabilmente, anche la capacità di agire di un bambino di 7/8 anni…che non è capace di schiacciare nemmeno una mosca. Un “ordinatino” che mette tutto sotto controllo e che difficilmente avrebbe avuto la freddezza, l’energia, la velocità d’azione, la brutalità e la cattiveria di commettere tre omicidi in cinque minuti ed altri due dopo, ragionando sulla pericolosità dei soggetti che camminavano sulla scena del crimine inaspettatamente.

Marina Angelo

Montaggio: Giovanni Mercadante

…continua


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