Di solito non amo cavalcare la retorica dei “bambini che muoiono di fame”. Ho sempre ritenuto assurdo, esagerato, sbagliato, sgridare e far sentire in colpa un figlio o un nipote che avanza nel piatto un boccone di carne grassa e nervosa, perché non gli piace, perché non riesce a masticarla, perché è già sazio (o perché in lui c’è un futuro vegetariano), come se mandar giù a forza quel pezzo di cibo potesse risolvere i problemi di chi cibo non ha, anziché produrre semplicemente qualche grammo di escremento in più.
Ma i vuoti stronzetti che celebrano l’ultimo giorno di scuola con la vergognosa, stupida, indegna, becero-conformista battaglia della farina e delle uova, sprecando quintali di ottimi alimenti, loro no, loro non possono non farmi pensare ai bambini che muoiono di fame. E allora io quei vuoti stronzetti li condannerei a un anno di lavoro socialmente utile. Ma non qui. Nel cuore dell’Africa.