Il processo, svoltosi con rito abbreviato, si è concluso con la condanna di altre quattro persone che avevano partecipato all’omicidio. Il boss del clan “Abete-Abbinante-Notturno” aveva confessato, proprio poche ore prima della sentenza, di essere stato il responsabile dell’omicidio, ma il giudice Cananzi ha accolto comunque la richiesta dei pm Parascandalo e Amato, confermando la massima pena per l’imputato.
Giustizia è fatta, quindi, a tredici mesi di distanza da quel tragico 15 ottobre 2012 in cui Pasquale pagò con la vita uno scambio di persona. L’obiettivo di quell’agguato era, infatti, Domenico Gargiulo, appartenente al clan rivale della Vannella Grassi, che abitava nello stesso palazzo della fidanzata di Lino (così era chiamato da tutti).
Una tragica storia, avvenuta in un luogo, il rione Marianella, dove le faide di camorra sono all’ordine del giorno. Ma quella morte scatenò la reazione di tutto il quartiere e di tutta la città: sei giorni dopo l’omicidio, duemila persone parteciparono alla fiaccolata organizzata da venti parroci della periferia nord di Napoli, tutti si strinsero intorno alla famiglia Romano. Alla lettura della sentenza, i genitori e la sorella di Lino sono scoppiati a piangere: “Mio figlio purtroppo non tornerà” ha commentato Rita de Cicco, la madre della vittima “il danno è troppo grande per essere riparato, ma ringraziamo chi ci è stato vicino in questi mesi“.
Salvatore Baldassarre, nonostante la confessione, non ha voluto collaborare con la giustizia, così come invece hanno fatto gli altri partecipanti al raid che si sono visti ridurre le pene: Giovanni Marino, il giovane che guidava l’auto del killer, è stato condannato a 18 anni e 8 mesi, Anna Altamura, a 14 anni, e i due fratelli Carmine e Gaetano Annunziata, rispettivamente a 16 e 14 anni. “Ammetto le mie responsabilità“, le parole del boss che ha aggiunto, “sono stato io ad uccidere Pasquale Romano. Chiedo scusa a Dio e alla sua famiglia ma non mi pento di ciò che ho fatto. Mi piacerebbe essere come quelli là (riferendosi ai pentiti) ma io non mi pento“.