L’ermeneutica delle lacrime di Elsa Fornero sta diventando una scienza complessa: l’evocazione dei sacrifici, originariamente circoscritta alle pensioni, diventa, col passare dei giorni, un monito oscuro che tocca il senso stesso della nostra permanenza nel mondo, oltre che la capacità materiale di abitarlo. La ministra ha precisato, davanti alla Commissione lavoro di Montecitorio, che per completare la riforma delle pensioni occorrerà modificare gli stipendi. L’illusione di un cambiamento migliorativo dura lo spazio di un attimo: la curva retributiva vede oggi disgraziatamente i salari crescere per tutto l’arco della vita lavorativa, comportando l’esigenza aziendale di liquidare al più presto i lavoratori meno produttivi. Per sciagurata coincidenza, la retribuzione non è direttamente proporzionale alla produttività dei lavoratori, ma – al contrario – aumenta quando quest’ultima diminuisce per incipiente vecchiaia. Il lavoratore anziano è troppo pagato: condannato a lavorare fino ai limiti delle possibilità umane per non incappare nelle maglie del sistema pensionistico contributivo, diventa peso. Diventando peso, però, guadagna assai più di quanto non sia opportuno retribuirlo e rallenta il mercato del lavoro: è un moderno Gregor Samsa, destinato a trasformarsi in un enorme insetto dopo sonni inquieti di stabilità e giustizia sociale.
Il binomio austerità-ingiustizia evocato da Anna Lombroso assume qui una grottesca forma di manifestazione: negli stessi giorni in cui il Parlamento rifiuta di infliggersi sacrifici di Origene modificando privilegi, indennità e trattamenti pensionistici di deputati e senatori, scopriamo la giustizia sociale.
Il binomio austerità-ingiustizia evocato da Anna Lombroso assume qui una grottesca forma di manifestazione: negli stessi giorni in cui il Parlamento rifiuta di infliggersi sacrifici di Origene modificando privilegi, indennità e trattamenti pensionistici di deputati e senatori, scopriamo che gli stipendi dei lavoratori non cresceranno in rapporto al costo della vita, alla durata della vita lavorativa e presumibilmente in proporzione alla durata della vita. Il circolo vizioso è dietro l’angolo: l’esistenza lavorativa sarà sempre più lunga per raggiungere gli stenti della pensione, ma non ci eviterà gli stenti dell’esistenza lavorativa.
Applicando per coerenza ad altri settori dello Stato sociale le politiche sacrificali della ministra Fornero, si delineano scenari poco rassicuranti. I ventilati tagli alla sanità non saranno più sufficienti, ma diventerà necessario procedere a un cambiamento dei malati. Occorrerà ridurne drasticamente il numero, o evitando le malattie (soluzione deprecabile, che rischia di implementare le file dei disoccupati di sana e robusta e costituzione) o evitando i malati (prospettiva tutt’altro che irreale, considerato l’aumento insostenibile dei ticket per alcuni esami diagnostici fondamentali). I tagli al mercato del lavoro non saranno più sufficienti a contenere il debito pubblico ma occorrerà eliminare il lavoro o, in alternativa, i lavoratori: ipotesi, quest’ultima, che consentirebbe di operare provvidenziali tagli biologici al welfare più striminzito d’Europa.
Ci hanno spiegato che il taglio è buono e giusto e necessario, salvo specificare cosa debba essere tagliato: il privilegio o il diritto? L’evasione o la garanzia del lavoro? La corruzione o lo stipendio? Il profitto o le pensioni? E quali speranze di crescita può avere un Paese dove i lavoratori non sapranno più quanto, come e fino a quando vivere? Su questo la ministra tace, ma non piange.