Erzulie: quando il superfluo è sogno

Creato il 04 giugno 2013 da Sulromanzo

Autore: Maria Antonietta PinnaMar, 04/06/2013 - 11:30

Il Vudù è la religione di origine africana praticata dagli abitanti della Repubblica di Haiti, nelle Indie Occidentali, a prevalenza cattolica. La Chiesa di Cristo ha cercato di eliminare antichi riti, cerimonie, dei, dee, balli e misteri locali ormai relegati nelle campagne e nei villaggi dove elementi del cristianesimo si mescolano alle tradizioni locali in curiosi sincretismi. Il Vudù come tutte le religioni ha essenzialmente lo scopo di esorcizzare la paura del nulla e del dissolvimento dell’anima. Presuppone, dunque, l’esistenza di un esprit che non si disgrega post-mortem, ma che può diventare loa, ossia divino.

Come tale può possedere un organismo vivente, sostituendosi al suo spirito, durante particolari cerimonie in cui vengono sacrificati animali. Se l’haitiano ama visceralmente i loa, un posto speciale è occupato però da Erzulie, che è oggetto di un amore più grande. Erzulie è la donna del lusso sublime, destinato a rimanere sempre ed invariabilmente inappagato, è la tensione a cui si elevano i sogni degli uomini oppressi dalla legge della necessità. La dea è immensamente ricca, ma il Vudù non spiega da dove provenga tutta questa ricchezza e il suo completo disinteresse per i calcoli e l’esatta valutazione di reali possibilità economiche. La prima azione di Erzulie è fare una toilette molto accurata nell’hounfor o cappella privata. Si lava in una catinella nuova, con del sapone ancora incartato. Gli asciugamani sono ricamati, il pettine, lo spazzolino da denti e lo specchio sono consacrati a lei e perciò ritenuti speciali. Sui capelli sistema un fazzoletto di seta bianco o rosa. Non mancano cipria e profumo. Il vestito di pizzo o ricami è di stoffa leggera, delicata. Collane d’oro, di perle, orecchini e braccialetti da sposa completano la mise. La donna che interpreta Erzulie si muove ritualmente. La pulizia non serve realmente per lavarsi ma è in realtà un rito di purificazione. Indossa con lentezza un costume sull’altro, come a sottolineare una trasformazione in cui si respinge la condizione primitiva per introdurre i presenti nella sfera della bellezza e della creazione di un’opera umana. La dea esce nel peristyle, scortata dai suoi favoriti, scelti tra gli uomini più belli. Se mangia si ciba con raffinate miscele di salse e condimenti, dolci, dessert e paste di ogni genere. Beve champagne o una bevanda alla menta. Distribuisce generosamente parte del suo abbigliamento o del profumo che porta ma anche un po’ dei soldi ricevuti nell’houngan. Come signora del lusso non si rende conto delle reali difficoltà dei suoi serviteur che per soddisfare le sue richieste esagerate. Lo champagne in una terra di povertà è il prezzo che si paga per l’ottenimento della sensazione d’essere parte di un mondo oltre reale in cui le difficoltà non esistono. Poi avviene la rottura, perché il serviteur non può seguire la dea fino in fondo, perché Erzulie ha oltrepassato una soglia che la carne non può superare. La dea piange, protesta, si lamenta di non essere abbastanza amata. La disperazione di Erzulie Maitresse che si concede con innocenza ai suoi amanti e protesta mancanza d’amore, si esprime ritualmente con le gambe rattrappite, i pugni serrati, come un infante.

Ma la sua non è la rabbia di un bambino viziato. Si tratta piuttosto della collera dell’innocenza cosmica che non può capire perché ci sia il male e la morte. Poi la disperazione raggiunge il parossismo fino alla paralisi: «Maitresse Erzulie giunge piangendo al momento che è detto della sua paralisi. Come il dolore di un bimbo ascende e trascende la propria causa e soluzione, raggiungendo un piano dove esiste come dolore puro, così cessano i suoi lamenti e i suoi singhiozzi. E il corpo, come incapace di sopportare ancora, abbandona il cuore alla sua pena infinita. Le membra, il collo e la schiena diventano inanimati. Le sue braccia stese sulle spalle degli uomini che la sorreggono ai fianchi, la testa penzolante, le guance bagnate di lacrime, le palpebre chiuse sugli occhi rivolti ad interiori oscurità senza fondo, presenta l’atteggiamento preciso della crocifissione». Erzulie è accostabile alla figura cristiana di Maria, anche se la sua verginità è soltanto riservata al cuore ma accessibile ai piaceri della carne. La fatica di questa dea mai soddisfatta, traccia i confini dell’impossibile perfezione destinata in eterno a rimanere irraggiungibile. Per questo piange, per sottolineare il fallimento dell’uomo che la innalza alla sua condizione di dea. La sua ferita è eterna, il sogno ferocemente fluttuante sul crocevia cosmico dove l’uomo si incontra con gli dei. Solo attraverso il cuore perpetuamente ferito di Erzulie gli uomini ascendono e la dea discende. L’apparente superficialità dei suoi desideri inappagati, veicola il sogno di un mondo altro in cui operare un trascendimento dei bisogni materiali. Così c’è un momento in cui il sogno della dea lambisce la terra degli uomini, ma è inafferrabile.

Tutte le citazioni sono tratte da Maya Deren, I cavalieri divini del Vudù, Il saggiatore, 1959, p. 162.


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