Esce in libreria lover unbound - ...

Creato il 03 settembre 2010 da Isn't It Romantic?

ESCE IN LIBRERIA LOVER UNBOUND - UN AMORE INDISSOLUBILE di J.R.WARD - EDIZIONI EUROCLUB
Sangue... e passione. Continua l´entusiasmante saga
V come un vampiro di nome Vishous: con un passato violento alle spalle e un futuro d´amore impossibile. Bentornati nel sobborgo di Caldwell, avamposto segreto della Confraternita del Pugnale Nero nonché luogo in cui si combatte l´eterna lotta dei vampiri contro i lesser, ex umani privati dell´anima. In primo piano questa volta c´è Vishous, il Vizioso. Figlio del sanguinario Carnefice e cresciuto dal padre in un campo di addestramento, ha subito violenze fisiche e psicologiche di ogni tipo, tanto che ora si ritrova perseguita-to dai demoni di una sessualità oscura e brutale. Quando, a causa di una ferita mor-tale, Vishous viene portato d´urgenza al St. Francis Medical Center, viene operato dall´affascinante dottoressa Jane Whitcomb, che gli salva la vita. Fra i due è amore a prima vista, anche se lei è un´umana. E anche se lui è destinato a congiungersi soltanto con le sacerdotesse del tempio per generare vampiri dotati dei suoi stessi poteri. Ma Jane lo aiuterà a liberarsi dei suoi tormenti interiori e, per la prima volta, gli svelerà il piacere infinito di un erotismo senza vittime né carnefici...


TRA TUTTE COLORO CHE LASCERANNO UN COMMENTO VERRANNO ESTRATTE  DUE FORTUNATE LETTRICI CHE VINCERANNO UNA COPIA CIASCUNA DI   LOVER UNBOUND GENTILMENTE OFFERTE DA MONDOLIBRI !

Ambientazione : contemporanea - Caldwell, New York
Livello di sensualità : hot (bollente)
Note di andreina65: Finalmente! Laciatemi esultare un po'! è arrivato l’atteso quinto libro della La serie "La Confraternita del Pugnale Nero" ad oggi è così composta :
- DARK LOVER - UN AMORE PROIBITO, storia di Wrath;
- LOVER ETERNAL - UN AMORE IMMORTALE, storia di Rhage;
- LOVER AWAKENED - UN AMORE IMPOSSIBILE, storia di Zsadist;
- LOVER REVEALED - UN AMORE VIOLATO, storia di Butch;
- LOVER UNBOUND -UN AMORE INDISSOLUBILE, storia di Vishous
- LOVER ENSHRINED- storia di Phury; inedito in Italia
- LOVER AVENGED- storia di Rehvenge; inedito in Italia
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Per chi fosse interessato a conoscere meglio questa fantastica serie, a cui abbiamo dedicato numerosi post, eccovi il link al concorso ”Libro del mese” dello scorso maggio:
http://romancebooks.splinder.com/post/20657752

Questo è il link del Concorso Libro dell'Anno 2008… indovinate chi ha vinto???
http://romancebooks.splinder.com/post/20047888 
Questo è il link del Concorso Libro dell'Anno 2009… indovinate chi ha rivinto???
http://romancebooks.splinder.com/post/22320665
Per chi volesse più informazioni su questa serie ed i suoi vari episodi ( e qualche anticipazione su quello che succederà negli episodi ancora inediti in Italia... ), eccovi i link alle nostre recensioni dei romanzo di J. R. Ward :
1 - DARK LOVER
http://romancebooks.splinder.com/post/17185361
http://romancebooks.splinder.com/post/19436408 
2 - LOVER ETERNAL
http://romancebooks.splinder.com/post/19547325 
3 - LOVER AWAKENED
http://romancebooks.splinder.com/post/19650093 
4 - LOVER REVEALED
http://romancebooks.splinder.com/post/20130525 
5 - LOVER UNBOUND
http://romancebooks.splinder.com/post/20348506 
6- LOVER ENSHRINED
http://romancebooks.splinder.com/post/22056356

J. R. Ward
Dopo aver lavorato a lungo come capo del personale di una delle più prestigiose cliniche universitarie degli Stati Uniti, ha deciso di dedicarsi alla scrittura, diventando autrice di apprezzati best-seller. Fra questi, i romanzi della saga di Dark Lover, che coniugano eros e paranormale e che stanno conquistando il pubblico anche in Italia.

E per gentile concessione di Mondolibri (tutti i diritti riservati) vi offriamo in anteprima il primo capitolo del libro!
Giusto un piccolo assaggio...buona lettura!

Dedicato a: Te.
All’inizio ti ho frainteso
e me ne scuso.
È proprio da te essere intervenuto comunque,
salvando così non solo lui,
ma anche me.
Con immensa gratitudine ai lettori
della Confraternita del Pugnale Nero
e in particolare alle ragazze!
Non tirerò neanche più in ballo il divano,
siete in troppi.
Prologo
Greenwich Country Day School
Greenwich, Connecticut
Vent’anni fa

«Dai, prendilo, Jane.»
Jane Whitcomb afferrò lo zaino. «Però vieni, vero?»
«Te l’ho già detto stamattina.
«Va bene.» Jane seguì con gli occhi l’amica che si allontanava lungo il marciapiede finché sentì un colpo di clacson. Sistemandosi la giacca, raddrizzò le spalle e si voltò verso una Mercedes-Benz. Al volante, sua madre guardava fuori dal finestrino, la fronte aggrottata.
Jane si affrettò ad attraversare la strada; lo zaino faceva troppo rumore per i suoi gusti – ci aveva nascosto dentro una cosa che doveva restare segreta. Saltò sul sedile di dietro nascondendolo ai suoi piedi; l’auto ripartì prima che avesse chiuso la portiera.
«Tuo padre torna a casa stasera.»
«Come?» fece Jane spingendosi gli occhiali in cima al naso.
«Quando?»
«Stasera. Quindi temo che…»
«No! Me l’avevi promesso!»
Sua madre le lanciò un’occhiata da sopra la spalla. «Scusi tanto, signorina.»
«Me l’avevi promesso per il mio tredicesimo compleanno», piagnucolò Jane con gli occhi lucidi. «Ero già d’accordo con Katie e Lucy…»
«Ho già avvertito le loro mamme.»
Jane si lasciò andare contro il sedile.
Sua madre la guardò attraverso lo specchietto retrovisore. «Levati quell’espressione dalla faccia, per favore. Credi di essere più importante di tuo padre? Eh?»
«No di certo. Lui è dio.»
La Mercedes sterzò bruscamente verso il ciglio della strada con uno stridore di freni. Sua madre si voltò completamente, alzò la mano e rimase in posa, il braccio tremante. Jane si ritrasse inorridita.
Dopo un attimo di violenza sospesa, sua madre si voltò, lisciandosi i capelli già perfettamente lisci col palmo fermo come acqua bollente. «Tu… tu non cenerai con noi, stasera. E darò ordine di buttare via la tua torta.»
L’auto ripartì.
Jane si asciugò le guance abbassando gli occhi sullo zaino. Era la prima volta che invitava le amiche a passare la notte da lei. Erano mesi che supplicava di poterlo fare.
Rovinato. Adesso era tutto rovinato.
Rimasero in silenzio per tutto il tragitto; dopo aver parcheggiato in garage sua madre scese dalla Mercedes ed entrò in casa senza voltarsi.
«Sai dove andare», fu tutto ciò che disse.
Jane rimase in macchina, cercando di riprendersi. Poi prese zaino e libri e si trascinò attraverso la cucina. Richard, il cuoco, chino sopra la pattumiera, stava spingendo giù da un piatto una torta ricoperta di glassa bianca con sopra dei fiorellini rossi e gialli.
Jane non gli disse niente perché aveva un groppo un gola. Neanche Richard le disse niente perché Jane gli stava antipatica. A lui piaceva solo Hannah.
Jane passò in sala da pranzo; non aveva voglia di incrociare la sua sorellina e si augurò che Hannah fosse già a letto. Quella mattina non stava bene. Forse perché doveva preparare il riassunto di un libro per la scuola.
Andando verso lo scalone, vide sua madre in salotto.
I cuscini del divano. Di nuovo.
Sua madre aveva ancora addosso il cappotto di lana celeste e stringeva in mano il foulard di seta e di sicuro sarebbe rimasta così finché non fosse stata soddisfatta di come apparivano i cuscini. Il che poteva voler dire parecchio tempo. Il termine di paragone era lo stesso dei capelli: la perfezione assoluta.
Jane salì in camera sua. La sua unica speranza, a quel punto, era che suo padre arrivasse dopo cena. Così almeno, pur sapendo che lei era in punizione, non sarebbe stato costretto a guardare la sua sedia vuota. Proprio come sua madre, anche lui detestava il minimo disordine, e non vederla a tavola era il massimo del disordine.
La ramanzina che le avrebbe riservato, in tal caso, sarebbe stata ancora più lunga perché avrebbe dovuto includere sia la delusione che aveva procurato alla sua famiglia con la sua assenza a cena sia il fatto che era stata sgarbata con sua madre.
Al piano di sopra, la sua camera da letto giallo ranuncolo era come tutto il resto, in casa: impeccabile come i capelli di sua madre, i cuscini del divano e il modo in cui ci si doveva esprimere.
Niente fuori posto. Tutto ingessato nella gelida perfezione delle riviste di arredamento.
La sola cosa che sfuggiva a quello schema era Hannah.
Lo zaino finì dentro l’armadio, sopra le file di mocassini e scarpe col cinturino; poi Jane si tolse l’uniforme scolastica e si infilò una lunga camicia da notte di flanella. Non c’era motivo di vestirsi diversamente, tanto non sarebbe andata da nessuna parte.
Portò la pila di libri sulla scrivania bianca. Aveva dei compiti di inglese. Algebra. Francese.
Lanciò un’occhiata al comodino. Le mille e una notte la aspettavano.
Non le veniva in mente modo migliore per passare il tempo mentre era in punizione, ma prima di tutto c’erano i compiti. Per forza. Altrimenti si sarebbe sentita troppo in colpa.
Due ore dopo era a letto con Le mille e una notte in grembo.
All’improvviso la porta si aprì e Hannah fece capolino nella stanza.
I suoi ricci rossi erano un’altra deviazione dalla norma. A parte lei, tutti in famiglia erano biondi. «Ti ho portato qualcosa da mangiare.»
Jane si rizzò a sedere, preoccupata per la sorellina. «Ti caccerai nei pasticci.»
«No.» Hannah sgattaiolò dentro; in mano aveva un cestino coperto da un tovagliolo di percalle con sopra un panino, una mela e un biscotto. «Me l’ha dato Richard; ha detto che così stasera potevo fare uno spuntino.»
«E tu?»
«Io non ho fame. Ecco, prendi.»
«Grazie, Han.» Jane prese il cestino mentre Hannah si sedeva in fondo al letto.
«Allora, cos’hai combinato?»
Jane scosse la testa, addentando il panino al roast-beef. «Mi sono arrabbiata con la mamma.»
«Perché non ti ha lasciato fare la tua festa?»
«Uh-huh.»
«Be’… ho qui qualcosa che ti tirerà su di morale», così dicendo, Hannah fece scivolare sul piumone un cartoncino colorato. «Buon compleanno!»
Jane guardò il biglietto e batté le palpebre un paio di volte.
«Grazie… Han.»
«Non essere triste, ci sono qua io. Guarda il biglietto! L’ho fatto per te.»
Su primo foglio, tracciate dalla mano maldestra di sua sorella, c’erano due figurine stilizzate. Una aveva i capelli biondi e lisci e ai suoi piedi c’era scritto Jane. L’altra aveva i capelli rossi e ricci e sotto c’era scritto Hannah. Si tenevano per mano e avevano un gran sorrisone sui faccini tondi.
Proprio mentre Jane si apprestava ad aprire il biglietto, un paio di fari spazzarono la facciata della casa risalendo il viale d’accesso.
«È arrivato papà», bisbigliò Jane. «Farai meglio ad andare via.»
Hannah non sembrava preoccupata come ci si poteva aspettare, forse perché non stava bene. O forse era distratta da… be’, dalle cose che la distraevano di solito. Hannah era quasi sempre immersa nelle sue fantasticherie, il che forse spiegava perché era sempre allegra.
«Vai, Han, sul serio.»
«Va bene. Ma mi dispiace davvero che la tua festa sia saltata», disse Hannah strascicando i piedi fino alla porta.
«Ehi, Han? Mi piace il biglietto.»
«Non lo hai neanche aperto.»
«Non ce n’è bisogno. Mi piace perché l’hai fatto per me.» Il volto di Hannah si aprì in uno dei suoi sorrisi radiosi; ogni volta che li vedeva, Jane pensava ai giorni di sole. «Parla di me e di te.»
Mentre la porta si chiudeva, Jane udì le voci dei suoi genitori nell’atrio. Divorò in fretta e furia lo spuntino di Hannah, nascose il cestino tra le pieghe delle tende vicino al letto e andò a rovistare tra i libri scolastici. Tornò a letto con Il Circolo Pickwick di Dickens.
Se entrando suo padre l’avesse trovata a leggere roba di scuola, forse la cosa le avrebbe fatto guadagnare dei punti.
I suoi genitori salirono di sopra un’ora dopo e Jane si irrigidì,aspettandosi di sentire bussare suo padre. Ma così non fu.
Strano. Nella sua mania di controllare sempre tutto, era preciso come un orologio svizzero e la sua prevedibilità aveva un che di stranamente confortante, anche se a Jane non piaceva avere a che fare con lui.
Mise da parte Il Circolo Pickwick, spense la luce e infilò le gambe sotto il piumone ornato di gale. Sotto il baldacchino del letto non riusciva a prendere sonno; a un certo punto sentì la pendola in cima alle scale battere dodici volte.
Mezzanotte.
Sgattaiolò giù dal letto, andò all’armadio, tirò fuori lo zaino e aprì la cerniera. La tavola ouija cadde fuori, aprendosi e atterrandoa faccia in su sul pavimento. Jane la raccolse con una smorfia, temendo che potesse essersi rotta o roba del genere, poi prese il puntatore.
La tavola ouija era una tavoletta con sopra le lettere dell’alfabeto e serviva per comunicare con gli spiriti e ricevere messaggi dall’Aldilà. Lei e le sue amiche morivano dalla voglia di giocare per scoprire chi avrebbero sposato. A Jane piaceva un ragazzo che si chiamava Victor Browne, che frequentava il suo corso di matematica.
Ultimamente avevano chiacchierato un po’ e lei era convinta che potessero fare coppia. Purtroppo non era sicura dei sentimenti di Victor nei suoi confronti. Forse lei gli piaceva solo perché gli suggeriva le risposte giuste.
Mise la tavoletta sul letto, posò le mani sul puntatore e fece un bel respiro. «Come si chiama il ragazzo che sposerò?»
Non si aspettava che quel coso si muovesse. E infatti non si mosse.
Dopo un altro paio di tentativi, si abbandonò contro la testiera del letto in preda alla frustrazione. Un minuto dopo picchiò sul muro alle sue spalle. Sua sorella rispose battendo a sua volta; poco dopo, Hannah sgattaiolò nella stanza. Appena vide il gioco, saltò sul letto euforica, lanciando per aria il puntatore.
«Come si gioca?»
«Shh!» Dio, se le beccavano adesso erano fregate. Per sempre.
«Scusa.» Hannah piegò le ginocchia contro il petto e strinse le braccia intorno alle gambe cercando di trattenersi. «Come si…»
«Tu fai delle domande e la tavola ti risponde.»
«Cosa possiamo chiedere?»
«Chi sposeremo.» E va bene, adesso Jane era nervosa. E se la risposta non fosse stata Victor? «Cominciamo da te. Appoggia le dita sul puntatore, però non spingere o roba del genere. Solo… così, brava. Okay… Chi sposerà Hannah?»
Il puntatore non si mosse. Neanche dopo che Jane ebbe ripetuto la domanda una seconda volta.
«È rotto», disse Hannah ritraendosi.
«Fammi provare con un’altra domanda. Rimetti su le mani.» Jane trasse un profondo respiro. «Chi sposerò io?»
Dalla tavola si levò come uno stridio e il puntatore cominciò a muoversi. Quando si fermò sulla lettera V, Jane fu scossa da un fremito. Col cuore in gola lo guardò spostarsi sulla lettera I.
«È Victor!» esclamò Hannah. «È Victor! Sposerai Victor.»
Jane non si curò di zittirla. Era troppo bello per essere…
Il puntatore si fermò sulla lettera S. S?
«È sbagliato», disse Jane. «Dev’essere sbagliato…»
«Non fermarti. Vediamo chi è.»
Ma se non era Victor, Jane proprio non sapeva chi potesse essere.
E poi chi, tra i maschi della sua classe, aveva un nome che iniziava per Vis
Jane lottò per deviare il puntatore, ma quello insistette per andare sulla lettera H. Poi sulla O, sulla U e infine ancora una volta sulla S.
VISHOUS.
«Te l’avevo detto che era rotto», farfugliò Hannah. «Chi sarebbe questo Vishous?»
Jane distolse lo sguardo dalla tavola, poi si accasciò contro i cuscini. Quello era il peggiore di tutti i suoi compleanni.
«Forse dovremmo riprovare», disse Hannah. Vedendo che Jane esitava, si accigliò. «Dai, non è giusto. Voglio una risposta anch’io.»
Rimisero le dita sul puntatore.
«Cosa riceverò per Natale?» chiese Hannah.
Il puntatore non si mosse.
«Comincia con un o con un no», suggerì Jane, ancora scossa dalla risposta di poco prima. Forse la tavoletta aveva dei problemi di ortografia?
«Riceverò qualcosa a Natale?» chiese Hannah.
Il puntatore cominciò a muoversi con un leggero cigolio.
«Spero che sia un cavallo», mormorò Hannah mentre il puntatore si spostava sulla tavoletta. «Avrei dovuto chiedergli questo.»
Il puntatore si fermò sul no.
Le due bambine lo fissarono.
«Anch’io voglio dei regali», piagnucolò Hannah, stringendosi le braccia intorno al corpo.
«È solo un gioco», disse Jane, chiudendo la tavola. «E poi dev’essere proprio rotto. Prima mi è caduto.»
«Io voglio dei regali.»
Jane abbracciò forte sua sorella. «Non preoccuparti di questa stupida tavola, Han. Io ti regalerò sempre qualcosa per Natale
Quando Hannah se ne andò, poco dopo, Jane si infilò di nuovo sotto le coperte.
Stupido gioco. Stupido compleanno. Stupido tutto.
Chiuse gli occhi e le venne in mente che non aveva letto il biglietto di sua sorella. Accese di nuovo la luce e lo prese dal comodino.
Dentro c’era scritto: Ci terremo sempre per mano! Ti voglio bene! Hannah.
Quella risposta sul Natale era sbagliatissima. Tutti adoravano Hannah e la riempivano di regali. Hannah riusciva addirittura a far cambiare idea a papà, a volte, e nessun altro ci riusciva. Quindi per forza avrebbe ricevuto qualcosa in regalo.
Stupido gioco
Dopo qualche minuto, Jane si addormentò. Doveva essere così perché venne svegliata da Hannah.
«Stai bene?» chiese Jane rizzandosi a sedere. Sua sorella era ferma accanto al letto con addosso la camicia da notte di flanella e una strana espressione sul viso.
«Devo andare», disse. Aveva una voce triste.
«In bagno? Ti viene da vomitare?» Jane spinse via le coperte.
«Vengo con t…»
«Non puoi», disse Hannah con un sospiro. «Devo andare.»
«Be’, quando avrai finito di fare quello che devi fare puoi venire a dormire qui con me, se vuoi.»
Hannah guardò la porta. «Ho paura.»
«Essere malati è una cosa che fa paura. Ma io sarò sempre qui per te.»
«Devo andare.» Quando Hannah si voltò a guardarla sembrava… molto più grande, in un certo senso. Non la bambina di dieci anni che era in realtà. «Cercherò di tornare. Farò del mio meglio.»
«Uhm… va bene.» Forse sua sorella aveva la febbre o roba del genere? «Vuoi andare a svegliare la mamma?»
Hannah scosse la testa. «Voglio vedere solo te. Rimettiti a dormire.»
Hannah uscì e Jane si rimise giù sui cuscini. Pensò di andare a controllare sua sorella in bagno, ma il sonno la vinse prima che avesse il tempo di seguire quell’impulso.
Il mattino dopo Jane venne svegliata da un rumore di passi pesanti che correvano, fuori in corridoio. All’inizio pensò che qualcuno avesse fatto cadere qualcosa che aveva lasciato una macchia su un tappeto, una sedia o un copriletto. Poi però sentì le sirene dell’ambulanza nel vialetto.
Scese dal letto e andò a guardare fuori dalla finestra, poi sbirciò in corridoio. Suo padre stava parlando con qualcuno, al piano di sotto, e la porta della camera di Hannah era aperta.
In punta di piedi, Jane si avvicinò camminando sulla passatoia orientale. Sua sorella di solito non si alzava così presto, al sabato.
Doveva essere proprio malata.
Si fermò sulla soglia. Hannah era stesa sul letto, immobile, gli occhi spalancati verso il soffitto, la pelle bianca come le lenzuola su cui era sdraiata.
Non batteva le palpebre.
Nell’angolo in fondo alla stanza, il più lontano possibile da Hannah, la loro madre era seduta nel sedile incassato nella finestra; la vestaglia di seta color avorio formava come una pozza sul pavimento.
«Torna a letto. Subito.»
Jane corse in camera sua. Mentre chiudeva la porta, vide suo padre salire le scale con due uomini in uniforme blu scuro. Parlava in tono autoritario e lei colse solo le parole … cardiaco congenito.
Balzò nel letto e si tirò le lenzuola fin sopra la testa. Tremante, al buio, si sentiva molto piccola e molto spaventata.
La tavola aveva ragione. Hannah non ricevette nessun regalo, quel natale, e non sposò nessuno.
La sorellina di Jane mantenne la promessa, però. Tornò per davvero.
E adesso care lettrici, mettete un bel collirio che vi idrati bene gli occhi e che tolga un po' di stanchezza alla vista ! Non sia mai che li avete affaticati con la lettura...
Mi raccomando, è obbligatorio stare sedute…sapete, avere un mancamento è possibile!

 


 


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