ESCE IN LIBRERIA OLTRE LE APPARENZE (Blood Born) di KATHRYN FOX ─ EDIZIONI LEGGEREDITORE
Un romanzo magnetico, imprevedibile fino all’ultima pagina, che pone sulla bilancia della giustizia una famiglia unita nel segno del crimine e una protagonista credibile e ben delineata; un thriller che conquista anche per il realismo delle descrizioni e per le indagini medico-scientifiche.
Nota di maet. Se volete prendervi una pausa dal romance e dal paranormale e leggere un thriller teso ed emozionante, comprate Oltre le apparenze. Un libro che vi coinvolgerà grazie alle tematiche delicate trattate e ad una protagonista forte e sensibile, che crede nella giustizia e lotta strenuamente per essa. Da non perdere per le amanti della Cornwell e della sua Kay Scarpetta. L’autrice, Kathryn Fox, è un medico con una grande passione per la medicina legale. Ha lavorato come giornalista per riviste scientifiche come Australian Doctor e Sun Herald. Il suo romanzo d’esordio, Malicious Intent, ha ricevuto il premio Davitt nel 2005, ed è stato il top seller che ha scalzato Il Codice da Vinci dalle classifiche dei libri più venduti su Amazon nel Regno Unito e in Germania. La serie è finora così composta:
- Malicious intent (inedito in Italia)
- L’INCANTATORE (Without Consent) Sonzogno 2006
- Skin and Bone (inedito in Italia)
- OLTRE LE APPARENZE (Blood Born) Leggereditore 2010.
Questi sono i primi capitoli, per chi desidera leggere l’estratto in formato pdf ecco il link diretto al sito dell’editore: http://fanucci.it/libro.php?id=1015&g=10
ESTRATTO
1
La dottoressa Anya Crichton si preparava ad affrontare una banda di spietati criminali. Centinaia di migliaia di dollari dei contribuenti erano stati già spesi nel primo processo,
e altri ne sarebbero stati spesi adesso, per il nuovo procedimento a carico dei quattro malviventi i cui crimini avevano fatto inorridire anche i poliziotti e gli avvocati dal cuore più indurito. La ragazza che avevano aggredito continuava a patire l’interminabile iter legale che sembrava tutelare i diritti degli accusati anziché quelli della vittima.
I quattro fratelli Harbourn e il loro team di avvocati erano molto abili a sfruttare il sistema a proprio vantaggio, ma i giochini e le manovre legali quel giorno sarebbero finiti.
Anya si tolse il termometro digitale dall’orecchio: quarantuno.
Ingoiò un paio di compresse di paracetamolo e degli antinfiammatori per accompagnare la prima dose di antibiotici, poi si asciugò la fronte con una salvietta umida, indugiando sulle tempie per alleviare l’intenso mal di testa. Un farmaco più forte avrebbe potuto stordirla, e lei sapeva bene quanto fosse importante avere la mente lucida quando si era seduti al banco dei testimoni.
C’era il tempo per un ultimo sguardo nello specchio dell’ingresso. Portava i capelli tirati indietro, ma in un’acconciatura non troppo austera. La camicia blu chiaro e la gonna indaco le davano senz’altro l’aria di una consulente esperta.
Era la sua testimonianza a dover catturare l’attenzione della giuria, non il suo aspetto.
Un ombretto leggero sugli occhi e un po’ di rossetto, una personale versione di trucco da guerra, furono il giusto complemento della mise. Era stata una battaglia davvero lunga, che l’accusa doveva assolutamente vincere. Anya non si era mai sentita così coinvolta in un caso, e adesso non avrebbe lasciato che la febbre alta si mettesse di mezzo.
Asciugandosi il sudore dietro al collo con un fazzoletto, controllò rapidamente che le finestre del piano terra fossero ben chiuse.
Aveva dormito pochissimo quella notte, lo sforzo del suo corpo per combattere l’infezione alle vie respiratorie le aveva procurato degli incubi violenti. La temperatura elevata poteva anche uccidere i germi, ma lasciava l’intero organismo in condizioni miserevoli. Quando tossì, Anya sentì come un fuoco accendersi nel petto. Troppo tardi per tirarsi indietro, ormai.
E poi, quel malanno era il prezzo da pagare per i tanti viaggi che aveva fatto. L’aria condizionata degli aerei e delle stanze d’albergo, i cibi pesanti e lo stress, non potevano non abbattere il sistema immunitario. Una volta recuperato un sonno più normale, l’infezione sarebbe andata via rapidamente.
Sì, sarebbe andata sicuramente così.
Dopo aver messo le calze, Anya infilò i piedi nelle scarpe nere che indossava per andare in tribunale e che sistemava accanto alla porta, e proprio mentre prendeva la borsa portadocumenti il campanello suonò.
«Eccomi, arrivo» gridò, mentre controllava ancora una volta che le finestre del piano terra fossero chiuse.
Il viso di Mary Singer era tutto un sorriso quando Anya aprì la porta.
«Bentornata.» La donna strinse l’amica in un abbraccio.
«Abbiamo sentito tutti la tua mancanza.»
Anya teneva un braccio abbandonato lungo il fianco.
«Credo che dovremmo darci una mossa.»
Mary, la consulente per i reati sessuali, era dello stesso parere.
«C’è un traffico terribile questa mattina. I lavori sulle strade principali si potrebbero anche fare di notte ovviamente...
ma poi sarebbe troppo facile.»
Anya digitò il codice dell’allarme sulla tastiera accanto alla porta. Qualche bip sommesso, e le due donne uscirono.
«Volo difficile?» Mary aprì la portiera della macchina che aveva parcheggiato su due posti e si sistemò al volante. «Hai un’aria stanchissima.»
«Mi sono beccata qualcosa durante l’ultimo tratto del viaggio» disse Anya cercando di concentrarsi sulla giornata che aveva davanti. Fare l’assistente sociale privata tra gli Stati Uniti e l’Europa era stato fisicamente ed emotivamente spossante.
Ma il fatto che nelle ultime quarantott’ore lei non avesse quasi dormito era irrilevante per il giudice e la giuria. Loro si sarebbero concentrati su altri problemi. Ma il processo era il motivo per il quale lei era tornata di corsa a Sydney attraversando l’oceano e lasciando il figlio e l’ex marito a divertirsi a Disneyland da soli.
Gli antidolorifici avevano alleviato il mal di testa, ma ora le braccia cominciavano a tremare. Combattendo contro gli effetti della cura autoprescritta, il corpo di Anya stava facendo di tutto per alzare di nuovo la temperatura. Lei si afferrò le costole con le mani e cercò, senza riuscirci, di soffocare un colpo di tosse.
Mary Singer le lanciò un’occhiata ma decise di non fare commenti.
Anya respirò profondamente e sentì una coltellata trafiggerle il costato. Pleurite e bronchite. Cominciò ad armeggiare con il riscaldamento dell’auto alla ricerca disperata di aria calda. «Come sta Giverny?»
«Queste ultime settimane sono state difficili. Da quando è stato istruito il nuovo processo, è diventata sempre più ansiosa.
» Mary era chiaramente preoccupata per la ragazza che doveva testimoniare davanti alla Corte Suprema a Darlinghurst.
Anya sentiva una grande pena per la diciassettenne che meno di un anno prima era stata rapita dopo essere scesa dall’autobus per tornare a casa. Se non fosse stato per l’adorata lezione di danza settimanale, quella minuta adolescente non si sarebbe trovata per strada da sola. I quattro fratelli Harbourn l’avevano trascinata nella loro macchina e violentata più volte. Non paghi dello stupro, come atto finale di umiliazione, le avevano strappato tutti i vestiti e l’avevano colpita con getti di acqua gelata nei pressi di un padiglione abbandonato. L’ultima cosa che Giverny ricordava di loro era la risata mentre si allontanavano in macchina.
Il ricordo della notte in cui aveva visitato la ragazza ferita e sotto shock era ancora molto vivido nella mente di Anya.
Come medico legale, il suo compito era fondamentale per avviare il lungo e difficile percorso di cura per le vittime. Le prove che lei aveva raccolto, insieme alla dichiarazione dettagliata che Giverny aveva fornito alla polizia, avevano portato finalmente agli arresti.
«Non sarà facile... trovarsi di nuovo faccia a faccia con i quattro fratelli in tribunale, ma credo che Giverny possa farcela» disse Mary senza troppa convinzione. La consulente aveva visto per la prima volta la ragazza subito dopo l’aggressione, e poi l’aveva regolarmente incontrata durante il lungo processo.
Non essendo riusciti a ridurre Giverny al silenzio con la paura, i quattro fratelli Harbourn accusati del crimine avevano escogitato tutti i possibili trucchi legali per ritardare il processo e intimidire l’unica testimone. Intanto, altri membri della famiglia avevano fatto velate minacce contro la ‘troia bugiarda’, come chiamavano Giverny. Poiché lei era l’unica persona in grado di identificare i quattro fratelli come i veri aggressori, per tutta la famiglia la sua testimonianza rappresentava il rischio più grande, anche se la terrorizzata diciassettenne non ne sembrava molto convinta.
L’aggressione e il successivo anno di peripezie legali avevano riscosso il loro tributo. Studentessa fino a quel momento brillante, Giverny aveva lasciato la scuola ormai da mesi perché non riusciva a sopportare lo stress degli esami e la responsabilità di essere la testimone chiave nel nuovo processo.
Gli amici l’avevano abbandonata da molto tempo, preferendo andare avanti con la propria vita sociale mentre lei restava a casa, troppo impaurita per uscire o fidarsi di qualcuno.
In macchina le due donne restavano in silenzio, mentre Mary imboccava strade secondarie per evitare le congestionate arterie principali.
Anya guardò l’orologio. «Speriamo che Giverny sia pronta e che non ci abbia ripensato. Non abbiamo molto tempo.»
Mary suonò il clacson contro una macchina che l’aveva superata tagliandole la strada. L’autista rispose alzando il dito medio nello specchietto retrovisore e poi frenò di botto.
La macchina delle due donne si fermò a un soffio dal suo paraurti.
Anya fu spinta con la testa in avanti e quando rialzò lo sguardo vide l’autista aprire la portiera della macchina. «Giragli intorno. Sta uscendo dall’auto.»
Poi si chinò e schiacciò il pulsante della chiusura centralizzata. Non si sa mai. L’ultima cosa di cui avevano bisogno in quel momento era una lite con un automobilista infuriato.
«Ma cosa hanno in testa gli uomini? Prima fanno un errore e poi danno la colpa agli altri.» Mary si infilò nella corsia a fianco e poi prese a passare velocemente dall’una all’altra.
Anya guardò nello specchietto di cortesia e vide l’uomo rientrare in macchina, girare e infine sparire. Fece un sospiro di sollievo.
Qualche minuto dopo erano davanti alla casa di Giverny per andare insieme in tribunale, come avevano deciso. Lei aveva voluto un supporto morale durante il tragitto, pur sapendo che non poteva farsi vedere insieme ad Anya in tribunale.
In quanto esperta chiamata a testimoniare, Anya doveva dimostrare alla giuria di essere imparziale, altrimenti le prove che forniva sarebbero state considerate pregiudizievoli.
Ma la dottoressa sapeva benissimo che in ogni caso Giverny si sarebbe sentita sola durante il controinterrogatorio, nonostante la presenza delle persone che l’avevano incoraggiata a testimoniare.
Mary imboccò il vialetto del garage e lasciò il motore acceso.
«Così puoi seguire le notizie sul traffico» disse accendendo la radio.
Si avviò verso la porta di ingresso, con gli occhiali da sole infilati sulla massa ribelle di capelli grigi. Attese, con le mani sui fianchi. Anya sapeva che erano tutti molto tesi per quella testimonianza in aula. Vide Mary bussare una seconda volta.
Non ricevendo risposta, la consulente alzò le braccia al cielo e tornò verso la macchina.
«Forse è in bagno e non sente il campanello.» Anya prese il cellulare e fece il numero di Giverny. «Trasferimento alla segreteria telefonica.»
Mary fece il giro della casa per controllare il retro; quando tornò all’ingresso principale sbirciò attraverso le finestre schermandosi gli occhi con le mani.
«Le tende sono tutte tirate, non vedo niente» disse.
Anya uscì dall’auto, di nuovo in preda ai brividi. Notò che la porta del garage era leggermente aperta. Poiché dopo l’aggressione Giverny aveva sviluppato un’ossessione per la sicurezza,
era strano che avesse lasciato qualcosa aperto o non avesse chiuso a chiave una porta. Anya sentì i peli dietro al collo rizzarsi.
La dottoressa si abbassò e tirò con forza la maniglia del garage.
Dopo qualche resistenza e una specie di guaito, la porta cedette, si sollevò, e la luce invase l’ambiente.
Sulle portiere e il tetto della Morris Minor blu di Giverny erano state scribacchiate le parole MUORI PUTTANA, in lettere grandi e rosse. La parete posteriore del garage era coperta dalla scritta TROIA BUGIARDA.
Per Anya fu come ricevere un pugno nello stomaco. Dopo aver visto di cosa erano capaci i fratelli Harbourn, non poteva che temere il peggio.
«Giverny!» gridò, mentre con le mani tremanti componeva il numero per le emergenze sul cellulare. «Siamo Anya e Mary. Ci senti?»
Mary entrò nel garage e si coprì la bocca con le mani per lo shock. «Oddio, no...»
Anya si augurò che il suo intuito si sbagliasse, ma prese tutte le precauzioni del caso. «Potrebbe essere la scena del crimine.
Aspetta qui finché arriva la polizia e non toccare niente.
Io entro.»
Mary restò immobile e in silenzio, a fissare la macchina.
Anya girò intorno al veicolo, facendo attenzione a non toccarlo.
Prese un panno da uno scaffale addossato alla parete, girò la maniglia della porta di entrata e rimise il panno dove lo aveva trovato.
Aprendo la porta con il piede, sussurrò: «Ti prego, dimmi che stai bene.»
Nel salotto piastrellato c’era abbastanza luce per vedere il giornale chiuso e arrotolato sul tavolo, insieme a un’ordinata pila di fogli. Anya tirò un sospiro di sollievo. Non c’erano segni di devastazione, quindi forse gli Harbourn non erano entrati.
Forse.
«Giverny. Mi senti?» gridò. Gocce di sudore le imperlavano il collo e la fronte. La cucina era pulita, sembrava che nessuno avesse ancora fatto colazione.
La porta alle sue spalle sbatté all’improvviso e Anya sobbalzò.
«Che diavolo succede? Dov’è nostra figlia?»
Bevan Hart spinse Anya da parte e si diresse verso il corridoio, probabilmente per andare in camera da letto. Sua moglie Val lo seguiva.
«Te l’avevo detto che dovevamo restare con lei.»
Entrando nell’ingresso, Anya si bloccò, proprio mentre dietro di lei qualcuno emetteva un suono gutturale. Val Hart aveva visto la stessa scena.
Giverny Hart era inginocchiata sul pavimento con la testa abbassata in avanti, come se pregasse. Un cavo era attaccato alla porta di ingresso. L’altra estremità era legata intorno al collo della ragazza.
Anya si precipitò verso di lei e cercò la pulsazione periferica.
Il polso destro era fiacco e freddo, ma lei sentì un battito.
Era irregolare... ma troppo forte per un arto così freddo.
Anya lo confrontò con la propria carotide. Le pulsazioni erano perfettamente sincronizzate. Ma erano entrambe sue. Accidenti!
«Faccia qualcosa!» la implorò il padre.
Con entrambe le mani, Anya sollevò il volto della ragazza. Era ancora tiepido. Incoraggiata, la dottoressa cercò un segno delle pulsazioni al collo.
L’indice sinistro di Giverny era incastrato tra la pelle e il cavo, come se lei avesse cercato di ridurre la pressione.
«Tutto questo è assurdo...» mormorò Bevan Hart, e fece qualche passo indietro. Mary si avvicinò rapidamente ai due genitori. Doveva aver sentito l’urlo della donna.
«Signor Hart, devo chiederle di chiamare un’ambulanza»
disse Anya. «Sua figlia ha bisogno del suo aiuto, adesso.»
Lui annuì e poi sparì. Mary si avvicinò ad Anya. «Cosa facciamo?»
Anya cercava di afferrare il cavo ma era troppo stretto intorno al collo della ragazza.
«È ancora calda. Non riesco a toglierle la corda dal collo.
È troppo stretta. Cerca un coltello o un paio di forbici, più in fretta che puoi.» Anya cercava di sembrare calma. Aveva bisogno del loro aiuto, e in fretta.
Mary si allontanò insieme a Val.
La dottoressa cercò di afferrare la ragazza dal basso per sollevarla e alleggerire la pressione del cavo teso dalla maniglia della porta, ma sapeva che era inutile. Il cavo si era stretto quando la testa era caduta in avanti. Per questo tipo di impiccagione non era necessario pendere dall’alto.
«Va tutto bene, Giverny, adesso ci siamo noi con te» disse.
«Vedrai che andrà tutto bene.»
Dalla cucina arrivò il rumore di qualcosa che cadeva e Mary tornò con due coltelli di misure diverse. Uno avrebbe potuto trinciare un pollo e l’altro era un utensile appuntito per disossare.
«Taglia prima il cavo che la tiene legata alla porta.»
Mary prese il coltello più grande e lasciò l’altro ad Anya.
Sforzandosi di tenere sollevata la testa della ragazza, Anya provò a tagliare il cavo nel punto in cui il dito di Giverny cercava di allentare il cappio.
Al primo tentativo, fece un taglio sul collo che iniziò a sanguinare rendendo il cavo scivoloso.
All’improvviso il corpo di Giverny si accasciò. Mary aveva tagliato la corda in un punto proprio a ridosso della testa della ragazza, che ora poté essere adagiata sulla schiena. La mano sinistra di Giverny restò dov’era. Le labbra erano blu, e il volto una maschera scura.
Anya cercò ancora la pulsazione della carotide. Niente.
Sollevò la testa di Giverny, facendola inclinare all’indietro,
le chiuse il naso ed espirò due volte dentro la sua bocca.
Andiamo! Puoi ancora farcela!, pensò.
Si spostò all’altezza del petto e intrecciando le mani iniziò il massaggio cardiaco. Trenta colpi rapidi, netti, poi due respiri.
Una costola scricchiolò, ma Anya non si fermò. Doveva continuare, per il bene di Giverny. Dopo un paio di cicli di respirazione le venne un crampo alle mani, ma non si fermò.
L’urlo di una sirena echeggiò in lontananza e Mary uscì per andare incontro ai paramedici. Anya aveva appena notato la presenza di Bevan dietro di lei quando entrarono gli infermieri.
«Mi chiamo Matt» disse uno dei due. «Cosa abbiamo?»
Appoggiò la valigetta sul pavimento.
Esausta e con il fiatone, Anya continuava a massaggiare il cuore mentre un’altra infermiera prendeva una mascherina e una bombola di ossigeno.
«Giverny Hart, diciassette anni. L’abbiamo trovata in ginocchio, con un cappio al collo attaccato alla maniglia della porta.»
Matt guardò la sua collega.
«Da quanto tempo sta facendo il massaggio cardiaco?»
Anya non avrebbe saputo dire quanti minuti aveva passato a cercare di rianimare Giverny ma la sua sensazione era che fossero trascorse delle ore.
«Ho iniziato nello stesso istante in cui abbiamo chiamato l’ambulanza.» Sapeva che tutte le telefonate venivano registrate.
L’infermiere guardò il suo orologio. «Dobbiamo seguire il protocollo. Intubiamola e vediamo se riusciamo ad avere il ritmo.»
Anya si fermò per permettergli di aprire la camicetta di Giverny e posizionarle tre elettrodi sul petto che poi furono collegati a una macchina per ECG portatile.
«Asistole.»
«Sono dentro» disse l’infermiera appena ebbe finito di intubare la ragazza. «Se non c’è un altro accesso, cercherò di somministrarle una dose di adrenalina da qui.»
Anya indietreggiò mentre l’infermiera svuotava una siringa di adrenalina in un tubo endotracheale.
Il piccolo monitor cardiaco restò immobile. La linea era piatta.
«Qualcuno conosce la storia clinica e le medicine che prende?» chiese Matt mentre cercava di inserire una cannula nel braccio della paziente.
Anya si voltò ma Mary doveva aver allontanato i genitori da quella terribile scena.
«Era sana, a parte i postumi di un’aggressione subita un anno fa. Oggi avrebbe dovuto testimoniare in tribunale.»
I due infermieri si fermarono per qualche secondo mentre Matt guardava di nuovo l’orologio.
«Lei è una parente, signora?» le chiese.
«No, sono un medico legale. L’ho visitata la notte in cui è stata aggredita.»
Anya sapeva che quella ragazza aveva vissuto degli orrori che andavano oltre qualsiasi immaginazione. Le ferite fisiche avevano impiegato mesi per guarire, ma quelle emotive sarebbero rimaste. Nonostante questo però, ciò che stava accadendo in quel momento non aveva alcun senso.
Matt tolse le piastre dal defibrillatore e accese il caricatore.
L’infermiera spalmò due batuffoli di gel sul petto di Giverny.
La macchina emise un suono acuto.
«Cento joule. Libera.»
L’infermiera si allontanò dalla testa di Giverny e Anya fece qualche altro passo indietro.
Il corpo di Giverny sussultò ma il suo cuore non rispose.
«Centocinquanta joule. Libera.»
«È possibile che abbia assunto droghe?» Matt rimaneva calmo mentre la sua collega continuava a pompare ossigeno nei polmoni di Giverny tra una scarica e l’altra. Erano una squadra ben affiatata, e per loro quelle operazioni erano solo ordinaria routine.
In ogni caso, la domanda lasciò Anya interdetta. Non le era mai passato per la testa che la ragazza potesse aver fatto uso di sostanze illegali.
«Prende antidepressivi, ma niente altro per quanto ne sappia.»
Anya si rese conto improvvisamente di sapere pochissimo di Giverny. Aveva analizzato ogni minimo particolare delle sue ferite e i meccanismi dei danni che aveva subito, e le aveva fatto domande dettagliate sulla notte dell’aggressione.
Eppure, non avevano mai parlato della vita privata di Giverny, a parte le conseguenze del processo sulla sua carriera scolastica e sui genitori.
«Dottoressa, le dispiace controllare se nella camera da letto e nel bagno ci sono prescrizioni mediche o cose simili? Ci sarebbe di grande aiuto.»
Anya uscì dall’ingresso mentre i due infermieri continuavano con il protocollo di emergenza.
Qualche minuto dopo la dottoressa tornò con un flacone pieno di paracetamolo e una scatola appena aperta di antidepressivi che aveva trovato nell’armadietto del bagno.
«Niente che possa far pensare a un’overdose.»
La crudezza della scena ferì Anya come un colpo al cuore.
«Mi dispiace, dottoressa» disse Matt, mettendosi seduto e guardando di nuovo quel maledetto orologio.
«Dobbiamo fermarci.»
Anya sentì anche la frase successiva dell’infermiere, ma per lei non aveva alcun senso.
«Ora della morte, 9:15.»
L’infermiere si voltò a guardarla. «Mi dispiace, dottoressa.
Abbiamo fatto tutto il possibile.»
2
Il funzionario che dirigeva le indagini, Hayden Richards, arrivò un attimo dopo che Anya aveva dato la notizia della morte di Giverny al padre. Lui era seduto al tavolo in cucina accanto a Mary, stordita come Anya per quello che era appena successo. Sotto shock, Val era stata accompagnata fuori dall’infermiera.
Anya si accovacciò accanto all’uomo distrutto che si teneva stretto alla mano di Mary e aveva gli occhi lucidi per lo sgomento.
«Ero uscito solo per andare a prendere Val. Avevamo promesso che saremmo stati di nuovo una famiglia per il processo.
Per il bene di Giverny.»
«È stato un periodo difficile per tutti voi» disse Mary.
Dopo l’aggressione, Bevan Hart non aveva fatto altro che chiedere giustizia per la sua unica figlia, chiamando costantemente la polizia, Anya e la sezione antistupro per avere notizie.
La sua caparbietà aveva generato un forte conflitto con la moglie che non voleva sottoporre Giverny al trauma del processo. Quando la ragazza aveva lasciato la scuola, la coppia si era separata e Val Hart era andata via di casa, da sola.
«Quei bastardi prima l’hanno assalita senza pietà, e adesso l’hanno uccisa... lei che aveva ancora tutta la vita davanti a sé.» Fissando il tavolo, Bevan ricacciò indietro una lacrima.
«Lei è una combattente, la nostra bambina, lo è sempre stata.
È per questo che voleva andare in tribunale a testimoniare contro quei maledetti bastardi. Voleva che pagassero per quello che le avevano fatto. Doveva solo superare questa giornata. Era solo questo che doveva fare, ma quei criminali sono tornati e l’hanno uccisa prima che...» La voce si spense e lui si accasciò sul tavolo. Le spalle sobbalzavano a ogni singhiozzo.
Hayden fece cenno ad Anya di uscire. I due si allontanarono verso l’ingresso mentre Mary cercava di dare conforto.
«Mi dispiace che sia stata tu a trovarla.»
Hayden, che era il dirigente della sezione antistupro, aveva parlato con il padre di Giverny la notte dell’aggressione e aveva tenuto sempre la famiglia informata sugli sviluppi delle indagini. Anche lui sembrava aver appena perso una persona cara.
I due tornarono nell’ingresso, dove si trovava ancora il corpo di Giverny. Gli infermieri le avevano tolto i cavi dell’elettrocardiografo, ma avevano lasciato gli elettrodi e il gel sul petto e il tubo in bocca: era la procedura per quello che era ormai diventato un caso per il coroner.
L’ufficiale della scientifica, il sergente John Zimmer, arrivò nella sua uniforme accompagnato dal patologo legale, il dottor Jeff Sales. Sembravano entrambi più cupi del solito.
Per una volta, il sergente non fece battute di spirito.
«So bene quanto sia difficile per tutti,» disse Hayden Richards «ma dobbiamo indagare come faremmo per qualsiasi altro caso. Per il bene di Giverny e della sua famiglia.»
Anya annuì.
«Puoi dirci esattamente cosa hai trovato quando sei arrivata? Raccontaci tutto. Qualsiasi cosa riesci a ricordare.»
Hayden prese il suo blocchetto degli appunti e la penna.
Anya intrecciò le mani stringendole forte come se questo la aiutasse a mettere meglio a fuoco la scena che doveva descrivere.
«Lei era in ginocchio, la testa piegata in avanti, il laccio che aveva intorno al collo era attaccato alla maniglia della porta. Le mani erano libere, la destra era abbandonata lungo il fianco e un dito, l’indice sinistro, era infilato tra il cavo e il collo.»
Zimmer fece alcune foto da diverse angolature, una alla mano sinistra della ragazza, e altre alla scena del crimine.
«Com’era il corpo?» chiese Jeff.
«Cianotico, lei era chiaramente senza ossigeno, e non aveva battito.»
«Presenza di lividore?»
Anya sapeva che il sangue ci avrebbe messo un’ora per raggrumarsi a causa della gravità. Anche se le gambe di Giverny erano piegate sotto di lei, non c’erano lividi.
«No, la testa era ancora calda.»
«Hai notato segni di emorragia petecchiale sul viso o sulla congiuntiva prima di tentare di rianimarla?» chiese Jeff.
Hayden lo interruppe. «Compaiono sulle persone impiccate o strangolate, giusto?»
«Non necessariamente. Se vengono occluse sia l’arteria carotidea sia la vena giugulare e la pressione viene rilasciata solo dopo il decesso, il viso non risulta congestionato perché il sangue non è riuscito a rifluire verso il collo.»
«Quindi... se ci sono?» Hayden si chinò per osservare più da vicino il viso di Giverny.
Anya espirò forte. «Se compaiono in casi come questo, diventano un indizio. Vuol dire che qualcuno ha strangolato la vittima e ha inscenato l’impiccagione per coprire l’omicidio.
È difficile strangolare un essere umano, di solito l’assassino a un certo punto rilascia la pressione e poi riprende.»
Le implicazioni delle sue parole erano chiare a tutti. Esisteva la possibilità che Giverny fosse stata uccisa e che fosse stato inscenato un suicidio. Anya si ricordò improvvisamente delle parole scritte sulla macchina nel garage.
Jeff Sales continuava il suo esame esterno. «Non dimenticare di fare una foto al nodo del cavo.»
Zimmer indossò i guanti di gomma e si chinò. «Impossibile.È stato tagliato di netto e sciolto.»
«Porca miseria!» mormorò Hayden, tirandosi i pantaloni alla vita.
Nella situazione di emergenza, Anya non aveva pensato al nodo. Si era preoccupata solo di salvare la vita di Giverny.
E Mary non poteva sapere quanto fosse importante conservare il nodo come prova quando aveva seguito le istruzioni di Anya e liberato la ragazza in fin di vita. Le mani di Anya cominciarono a tremare di nuovo.
«Ascolta, hai fatto la cosa giusta.» Zimmer le si avvicinò.
«Siamo stati tutti addestrati ad agire in base alle priorità. La prima cosa è salvare i superstiti e rendere il luogo sicuro. Ed è esattamente quello che hai fatto tu, e quello che ognuno di noi avrebbe fatto. Anzi, che ognuno di noi aveva il dovere di fare.»
Improvvisamente Anya non ne fu tanto sicura. La possibilità che Giverny potesse essere già morta quando lei e Mary erano arrivate non le aveva nemmeno sfiorato la mente.
Appena l’aveva vista, aveva reagito, spinta dall’emozione più che dalla perspicacia medica.
Non aveva controllato se sotto le palpebre chiuse di Giverny ci fossero segni di emorragia sulla congiuntiva e non riusciva a ricordarsi se ce ne fossero sul viso. Pensava che quei segni non ci fossero, ma non ci avrebbe giurato. Poteva semplicemente non averli notati. Dio, come aveva potuto trascurare una cosa così importante?
«Non ho notato segni di emorragia. Mi dispiace. È successo tutto così in fretta.»
«Nessuno di noi avrebbe voluto trovarsi al tuo posto» disse Hayden. «Conoscevamo Giverny, avevamo imparato tutti a volerle bene per la sua dolcezza. Ma se quei bastardi le hanno fatto questo per impedirle di testimoniare, allora noi dobbiamo esaminare ogni minimo dettaglio, anche quelli che possono sembrare insignificanti.»
Jeff Sales accese un dittafono portatile.
«Levy Road, 112. Interno abitazione. Davanti porta di ingresso, cadavere di adolescente di sesso femminile, peso circa cinquantacinque chili, altezza un metro e sessanta. Tubo endotracheale in situ, cannula nel braccio destro. Un cavo per computer color crema sembra essere stato rimosso dal collo della vittima.
«Il volto è congestionato e punti di emorragia petecchiale sono visibili nell’area intorno agli occhi e alla congiuntiva. Un segno di legatura compatibile con un cavo per computer è visibile nella zona dei lobi delle orecchie, sotto il mento. In una piccola area sul lato sinistro del collo, due centimetri sotto l’orecchio, la pelle è stata tagliata. Il sangue è fuoriuscito verticalmente e sembra essere scivolato verso la base del collo.»
Anya ascoltava, ancora incapace di credere che il corpo davanti a loro fosse della ragazza che aveva conosciuto e curato.
Si guardò le mani, c’era del sangue essiccato sulle dita.
Era di Giverny.
«Ho tagliato il cavo con quel coltello, là sul pavimento,»
disse, indicando il coltello più piccolo vicino alla porta «mentre la tenevo sollevata. Poi quando Mary ha tagliato il filo legato alla porta, ho potuto distenderla sul pavimento per iniziare la rianimazione. È per questo che il sangue è gocciolato dietro la testa.» Le mani di Anya tremavano di nuovo mentre la febbre saliva. «Mary ha utilizzato il coltello più grande.»
La dottoressa si strinse il costato con le mani e tossì di nuovo.
«Stai bene? Sembri febbricitante.» Hayden aveva un’espressione preoccupata.
«Sto bene.»
«Possiamo fare una pausa, se preferisci.»
«No. Andiamo avanti.» Il tono di Anya era più secco di quanto lei avesse voluto. Era meglio continuare a esaminare tutti i dettagli fin tanto che i ricordi erano ancora freschi nella mente.
«I coltelli erano vicino al corpo quando siete arrivate?»
«No, ho chiesto a Mary di trovare rapidamente qualcosa con cui tagliare il cavo che legava la ragazza alla porta. Credo li abbia presi entrambi in cucina.»
Zimmer fotografò i coltelli e poi li infilò nella busta dei reperti.
Il cavo macchiato di sangue finì in un altro sacchetto.
«Dovremo prendere le impronte digitali di Mary, e quelle sulla maniglia della porta.»
Jeff Sales sollevò la parte inferiore del vestito di Giverny, poi la risistemò.
«La biancheria intima è intatta. Nessun segno esterno di violenza sessuale.»
Anya poteva solo restare ferma e guardare, con la sensazione che il corpo di Giverny venisse ancora violato.
3
Completate le deposizioni ufficiali alla polizia, Mary accompagnò Anya fino a qualche isolato da casa. La dottoressa voleva schiarirsi le idee e fare quattro passi a piedi. Cercando di salvare la vita di Giverny, lei e Mary avevano contaminato quella che era considerata la scena del crimine.
Di conseguenza, se qualcuno aveva assassinato Giverny Hart, le prove potevano essere insufficienti per formulare le accuse.
Ad Anya tornarono in mente le minacce scritte sulla macchina e sulla parete del garage. MUORI PUTTANA e TROIA BUGIARDA.
Si era fatta prendere dal panico quando le aveva viste?
Ripensando agli eventi, non era sicura di essere riuscita a far prevalere il buon senso sulle emozioni. E inoltre, era anche possibile che la febbre avesse influenzato le sue reazioni e offuscato la sua capacità di giudizio.
Accidenti! Perché non riusciva a ricordare la faccia di Giverny quando aveva ancora il cappio legato al collo? Il piccolo volto era piegato in avanti ed era difficile osservarlo finché il cavo non fosse stato reciso e rimosso. In quelle circostanze, era la prima cosa da fare.
Lei sapeva meglio di chiunque altro che le emorragie petecchiali compaiono quando un omicida arresta il flusso di sangue al collo, poi allenta la pressione per un tempo necessario al sangue per rifluire di nuovo verso la testa, e infine stringe di nuovo la presa. Anche il più muscoloso degli uomini avrebbe difficoltà a stringere fino a provocare la morte senza mai interrompere la pressione.
Se le cose erano andate in questo modo, Giverny poteva essere entrata e uscita dallo stato di coscienza, e quindi capire che stava per morire.
Anya tossì e un dolore le attraversò la schiena. Rallentò il passo e si fermò accanto a un albero per lasciare il marciapiede a una coppia di anziani.
Gli unici ad avere interesse nella morte di Giverny erano gli Harbourn. Al pensiero che i suoi tentativi falliti di rianimare la ragazza avrebbero aiutato quei criminali a farla franca, Anya sentì la bile salirle fino alla gola.
Camminava piano, mentre il dolore le si propagava in tutta la schiena. Stare china sul corpo per praticare il massaggio cardiaco era stato estenuante. Adesso aveva crampi ovunque.
Ripensò a sua madre, un medico di famiglia in Tasmania.
La dottoressa Jocelyn, come la chiamavano i pazienti, era spesso tornata a casa demoralizzata per aver perso un paziente.
Troppo spesso, poiché era uno dei pochissimi medici della zona, doveva estrarre le vittime dalle auto accartocciate sull’autostrada, o far nascere feti morti da donne che lei stessa aveva fatto nascere anni prima.
Fino a quel giorno, Anya non aveva capito fino in fondo cosa si provasse in quelle circostanze. Sua madre conosceva tutti gli abitanti della zona, e a una buona parte di essi era molto legata.
Giverny era una ragazza dolce e sensibile che aveva commosso tutti quelli che l’avevano incontrata dopo l’aggressione. L’unica speranza era che le circostanze della sua morte non l’avessero fatta soffrire più di quanto non le fosse già toccato in vita. Se si era impiccata da sola, aveva perso i sensi in una quindicina di secondi.
Ma se era stata uccisa...
Nonostante fosse terrorizzata all’idea di guardare di nuovo in faccia i suoi aggressori in aula, Giverny aveva detto che trovava la forza di reagire al pensiero che senza la sua testimonianza i fratelli Harbourn non avrebbero pagato per i loro crimini. Ma i continui rinvii del processo l’avevano sfiancata.
Il fatto di aver lasciato la scuola l’aveva logorata. La separazione dei genitori era innegabilmente una fonte di stress. Ma era abbastanza depressa da suicidarsi?
Anya si chiese quanto fosse costata questa storia alla famiglia Hart. L’unica figlia era stata brutalmente stuprata. La determinazione del padre a ottenere una sentenza di condanna aveva portato sua moglie a lasciarlo; lei avrebbe voluto che la figlia andasse avanti con la sua vita, e non che restasse sempre una vittima. Per suo marito, invece, il processo era diventata l’unica preoccupazione al mondo.
Guardando le coppie che camminavano in strada, mano nella mano, incantati dai propri bambini, Anya sentì un profondo dolore per i coniugi Hart. I genitori non dovrebbero mai sopravvivere ai propri figli. Bevan e Val non avrebbero mai provato la gioia di vedere Giverny innamorarsi, avere a sua volta dei bambini... i loro nipoti. Queste cose a loro erano state portate via.
Mentre Anya continuava a camminare piano, una lieve pioggia iniziò a cadere giù da un cielo nero. Quella giornata era tra le più tristi che si potessero immaginare. Quando le mancava un solo minuto per arrivare a casa, la pioviggine diventò un acquazzone.
Anya non affrettò il passo. Gli eventi di quella mattina l’avevano come istupidita. Era solo un temporale e la pioggia non avrebbe potuto ferirla o causarle dolore.
Gli esseri umani invece erano bravissimi in questo.
Anya abitava in una fila di case a schiera, e appena fu entrata nel corridoio del suo appartamento si tolse le scarpe di cuoio bagnate. Fu accolta da Elaine, la sua segretaria.
«Ti prenderai un brutto malanno» disse la donna di mezza età con tono di rimprovero.
Anya non aveva voglia di spiegarle che sono i batteri e i virus a provocare le infezioni, non il freddo.
«Metto su l’acqua, intanto cambiati quegli abiti fradici.»
Anya sapeva per esperienza che Elaine non avrebbe accettato un no come risposta, quindi ubbidì automaticamente. I
rimproveri erano il modo in cui la segretaria manifestava il suo affetto, e in quel momento Anya ne aveva davvero bisogno.
Si tolse le calze inzuppate e le lasciò nella lavanderia sul retro della casa. Andò in salotto e accese la TV per sentire se c’erano notizie su Giverny.
Si chiese come Natasha Ryder, il pubblico ministero del processo, avesse preso la notizia. Anni passati a cercare di costringere gli Harbourn a rispondere dei propri crimini improvvisamente buttati al vento. L’avvocato Ryder, infatti, aveva affrontato i fratelli in altri due processi, entrambi finiti con il proscioglimento perché i testimoni chiave si erano rifiutati di deporre.
Senza la testimonianza di Giverny, il caso in corso si sarebbe ridotto a stabilire se la ragazza avesse acconsentito o meno al sesso di gruppo. Poiché la prova del DNA aveva dimostrato che la ragazza aveva avuto rapporti sessuali con più uomini, tutti i fratelli Harbourn avevano dichiarato che Giverny li aveva pregati di ‘fare un’orgia’. A quel pensiero, Anya rabbrividì mentre saliva al piano di sopra per cambiarsi. Si infilò un maglione di qualche taglia più grande della sua e un paio di pantaloni da yoga, si strofinò rapidamente un asciugamano sui capelli e tornò al piano di sotto.
Elaine la stava aspettando con una tazza di cioccolata calda già pronta. Proprio come faceva sua madre.
«Giornata pesante?»
Anya accettò l’offerta e si scaldò le mani sulla tazza. «Diciamo così.»
«Il detective Richards ha telefonato per sapere come stavi.
Mi ha spiegato perché il processo è stato rimandato.»
Anya sentì che in TV stava iniziando il telegiornale. Corse subito in salotto e alzò il volume dal telecomando.
Impegnata in una conferenza stampa fuori casa sua c’era Noelene Harbourn, la matriarca della perversa famiglia di criminali. Come sempre indossava il suo grembiule blu, per sembrare una buona madre di periferia, immaginò Anya; alcuni dei suoi figli più piccoli distribuivano dolci ai giornalisti in attesa.
«Ho appena saputo che la falsa accusa della polizia contro quattro dei miei figli è caduta. L’unica testimone che hanno trovato è morta questa mattina all’improvviso. Credo che il dottor Argent, il nostro avvocato, farà presto una dichiarazione sulla data di rilascio dei miei figli. Ragazzi, non vedo l’ora di riavervi a casa, ho passato tutta la giornata a preparare dolci per festeggiare.»
Una ressa di microfoni si precipitò in avanti mentre i giornalisti gridavano le loro domande.
«Ha saputo com’è morta la testimone?»
«Cos’è successo?»
«Cosa ne sarà del processo?»
«Be’, credo che nessuno possa dirlo con certezza, ma quando una ragazza muore improvvisamente, non si pensa subito a un incidente di macchina o a un suicidio?»
O a un omicidio, pensò Anya, stringendo più forte le mani intorno alla tazza.
«E poi, non sono stata l’unica a mettere in dubbio la stabilità mentale di quella povera ragazza. Voglio dire, per inventarsi tante bugie... I miei figli non farebbero del male a nessuno.
Credo che lei sapesse di aver fatto un terribile errore e non riusciva a sopportare il peso della colpa e della vergogna.»
Da non credere. Noelene Harbourn stava festeggiando la morte di Giverny. Come lo aveva saputo così in fretta? Se il processo fosse continuato, in pratica lei aveva dichiarato che l’unica testimone della polizia non solo era mentalmente instabile, ma si era suicidata per evitare di affrontare gli uomini che aveva incolpato senza motivo.
Le accuse sarebbero state senza dubbio ritirate.