Questo senso di disorientamento rispetto alla produzione letteraria incessante ed eccessiva, lo provo anche in un altro caso. E qui andiamo al secondo pensiero che mi provoca le vertigini: la produzione. Questo termine generico farà arricciare il naso a molti, ma mi è necessario proprio ad indicare la vastità incommensurabile del continuo creare prodotti di consumo destinati alla vendita, dai generi alimentari agli oggetti di arredamento, agli utensili, all’abbigliamento, e così via. Anche in questo caso, la vertigine è data dalla quantità inconoscibile e impensabile per il singolo e, potrei azzardare, anche per la totalità; una quantità che non può essere elencata, enumerata, conosciuta, controllata da un unico controllore, né da una squadra di controllori, né probabilmente da un esercito. Una produzione che è svincolata dalla domanda, e che anzi la crea, per arginare il suo stesso eccesso. Ecco cosa sono le cosiddette “offerte speciali”. Sono meccanismi pubblicitari, che ci spingono ad acquistare oggetti di cui non abbiamo bisogno. Sono obblighi e non consigli per l’acquisto. E noi siamo i filtri inconsapevoli di un organismo ammalato di iperfagia, siamo i cassonetti della nettezza urbana del pianeta.
Entrate in un grande supermercato e guardate quegli scaffali stra colmi di prodotti. Per ogni settore esistono porzioni variabili, marche diverse, varianti di ogni tipo dello stesso prodotto. Pensate che quello è solo uno dei supermercati della vostra zona, e che la vostra è una delle numerose “zone” della città, e che la vostra città è solo una delle migliaia di città del vostro Paese, e così via, e che quei prodotti davanti a voi vengono sostituiti ogni giorno da nuove scatole, più fresche, appena “prodotte”. Riuscite a immaginare la quantità di roba che viene sputata fuori da macchine, catene di montaggio, rulli, impastatrici, fabbriche, officine, laboratori…?
Nei quasi trent’anni della mia giovane vita ho sentito moltissime volte di batteri killer annidati in cibi e altri prodotti di consumo. La mucca pazza, il botulino, la salmonella, l’aviaria, e di recente la variante mortale dell’escherichia coli. Succede di continuo che qualcuno, da qualche parte nel mondo, mangi qualcosa che contiene una sostanza nociva, un batterio, o altre cosine che non conosco, per via della mia scarsa dimestichezza con le materie scientifiche. Tutti noi sentiamo queste notizie e smettiamo temporaneamente di mangiare i prodotti incriminati, convinti che gli altri siano sani, perché controllati, sicuri, enumerati e catalogati in liste di perfezione numerica. Ma non è così. La maggior parte delle cose che acquistiamo ha per noi una provenienza incerta, non rintracciabile e incontrollata. Se anche sapessimo dove è stata prodotta la mozzarella che stiamo gustando, non sarebbe lo stesso per il latte che la forma, o per la mucca che ha prodotto il latte. E se anche sapessimo qualcosa della mucca, probabilmente non sapremmo nulla dell’alimentazione della mucca, del posto in cui vive mentre produce il latte col quale hanno fatto la mozzarella che abbiamo nel piatto.
Non so se adesso è chiaro il legame che per me hanno Faust e l’Escherichia Coli. Ma credo che anche questa volta mi farò una bella risata rispetto agli allarmismi monotematici, nell’attesa che venga trovato un vaccino che probabilmente esiste già prima dell’epidemia, boicotterò la lattuga tagliata, lavata e imbustata del reparto ortofrutticolo del supermercato e andrò a trovare il mio fruttivendolo di fiducia che, dice lui, coltiva con le sue mani gli ortaggi che mi vende, e a volte cucina delle patate bollite deliziose.