“Niente orecchini?” mi sorprende con il suo accento strano dopo quella che mi è parsa un’eternità di tempo.
Nel dubbio confermo: “Niente orecchini”.
“Collane?”
“In che senso?” mi azzardo, perplessa.
“Porta mai collane al collo?”.
“Qualche volta…” comincio. Non voglio spaventarla.
“Non menta!” la sua voce vagamente esotica si fa più dura. Determinata. Decisa: “Porta mai collane al collo?”.
“Be… una collana di perle coltivate effettivamente ce l’ho. Tuttavia da quando ho smarrito la sua perla colorata più preziosa non la metto più!”.
“Argh!!!”, mai l’avessi detto! Pinctada si ritrae come punta da insetto al veleno. Si guarda intorno alla ricerca disperata di una via di fuga che – realizza in quel momento – potrà essere solo la porta della stanzetta che si apre giusto dietro di me.
Mi sento in colpa. Non so cosa dire né cosa fare.
“Ha per caso una sigaretta?” mi domanda lei dopo un lungo silenzio riempito del nostro reciproco imbarazzo.
“Non fumo” mi vedo costretta a rispondere.
“Non fuma?”.
“Mai fumato una cicca in vita mia!”.
“Loro fumavano tutti…” si confida infine, lo sguardo perso dentro ricordi che vorrebbe cancellare.
“Loro? Loro chi?”.
“Li chiamavamo i… i cacciatori…”.
“Chi li chiamava così?”.
“Io… io e le mie sorelle…”.
“Le sue sorelle? Ha altre sorelle Pinctada? Dove sono ora?”.
“Morte….”
“Tutte?”.
“Tutte quante… Uccise e divorate dai cacciatori…”. Mentre racconta, il corpo di lei è scosso dai sussulti. Curiosamente l’apertura del suo ventre cresce pure a vista d’occhio e più quello cresce più lei lo richiude con forza, quasi a proteggerlo. Distolgo gli occhi rapidamente.
“Ha detto… divorate?” mi preme non perdere il filo della conversazione. “Ho capito bene?”.
“Divorate! Sì, quella è stata la fine che hanno fatto le mie… sorellastre”.
“Le sue… sorellastre?”.
“Le ostriche comuni. Una ghiottoneria, una prelibatezza quei molluschi… dicevano i cacciatori. Le chiamavano molluschi, capisce?” mi apostrofa Pinctada con la disperazione negli occhi.
“E allora?”
“Allora ne rastrellavano a milioni… Fornitori regionali senza scrupoli le usavano come ciliegina sulla torta dei loro banchetti luculliani… Una carneficina le dico!”. Pinctada zittisce, si appiattisce contro lo schienale della larga sedia in vimini dove la sua valva sinistra si è saldamente attaccata.
“Banchetti luculliani!?” bofonchio tra me e me. Comincio ad avvertire anche io un dato nervosismo che mina la mia imperturbabilità di cronista.
“Certo, i banchetti pre-post-durante elezioni dei… uhm… cacciatori e delle loro femmine, naturalmente!”.
“C’erano anche femmine?”.
“Soprattutto femmine!” conferma di nuovo accalorandosi. “Indossavano tuniche… alla maniera delle antiche ancelle romane…. E maschere… e mangiavano, bevevano, ridevano… sfoggiando il meglio delle mie sorelle al collo, al polso, finanche alle caviglie: senza vergogna alcuna!”.
Trasecolo: “Sfoggiando il meglio delle sue sorelle?”.
“Ma con chi crede di star parlando?” mi attacca Pinctada improvvisamente stizzita, rivendicando una dignità che pareva esserle davvero molto cara: “Siamo ostriche perlifere tra le più pregiate noi, sa? Mica cozze da fondale melmoso!!”.
“Mi scusi non intendevo offenderla… Non avevo capito!”.
“Neppure loro, neppure le mie sorelle avevano capito….”. Pinctada riprende il suo usuale lamento inzuppato di pianto. “Non avevano capito e li seguivano docili come agnellini allevati per il macello. Fino a quando…”.
“Fino a quando… cosa?”.
“Non si offenda, ma lei è proprio lenta, sa? Fin quando le perle erano… pronte. E poi… ZAC!! Arraffavano quella nostra escrescenza più preziosa per nasconderla nei forzieri pur colmi di diamanti della Tanzania e lauree albanesi… Coglievano le perle una dietro l’altra, manco fossero state ciliegie, e così facendo… uccidevano anche le mie sorelle. Sul colpo!”.
“Lauree albanesi?” resto perplessa.
“No, mi scusi… quella è un’altra storia… raccontatami, mi pare, da mia cugina Ostrea… un’ostrica padana”.
“Capisco…”
“Ah biondo Tevere quante conchiglie che erano i loro giovani corpi morti hanno colorato le tue chiare e dolci acque!”. Il momento lirico non lo avevo considerato. La lascio sfogare.
“E poi?” domando, infine.
“Poi è arrivata la giunta Polverini…”.
“Le cose si saranno messe al meglio, no?”.
“Al meglio? Vuole scherzare? Almeno prima ci coltivavano alla luce del sole! Poi non le dico la tediosità di quelle stanze segrete… ostriche morte-viventi eravamo e nulla più!”.
“Ma lei… lei Pinctada come ha fatto a salvarsi? A fuggire?”.
La mia ospite mi fissa ancora indecisa se fidarsi o meno. Poi si lascia andare… opta per… aprirsi! Lentamente. Liberando finalmente il grasso ventre molliccio dal tessuto violaceo che lo ricopre.
“Come ho fatto? Ho scelto di dire la verità, ecco come ho fatto. Per comprare tempo… almeno un po’…” spiega.
La guardo senza capire: “La verità? Quale verità?”.
“Vede… io sono un’ostrica tropicale” dice con un ritrovato orgoglio. Un’innata fierezza. “Dei mari del Sud… Polinesia francese…”.
“Curioso, infatti… l’accento…”.
Annuisce mentre si apre sempre un poco di più: “Le perle nere che noi produciamo sono splendide, pregiate, relativamente rare….”.
E poi fu tutto un attimo.
“’Azz.. proprio come quella che ho smarrito dalla mia collana!!” dico distratta afferrando il tesoretto splendente dolcemente poggiato sulla sua valva morbida.
ZAC!!
“Ahhhhhhh, Pinctada!!!!!!!!!!!”.
Dedicata.