Esclusivo! Intervista a Stefano Lodovichi, regista di “Aquadro”. Seconda parte

Creato il 02 maggio 2013 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

Ecco la seconda parte dell’intervista fatta a Stefano Lodovichi, regista di Aquadro. Parleremo dei due attori protagonisti, della scelta di Bolzano come location del film, dello stile registico e di come Aquadro nasca come web movie. Buona lettura!

I due bravissimi interpreti principali, Maria Vittoria Barrella (Amanda) e Lorenzo Colombi (Alberto), sono attori non professionisti. Come e dove li hai trovati?
In effetti i due ragazzi rappresentano parte del cuore del film. Senza di loro “Aquadro” non sarebbe stato così, e probabilmente la grande forza del film, come dicevo prima, sta proprio nell’onesta con la quale tutti noi abbiamo vissuto questa esperienza, loro in primis. Maria Vittoria Barrella viene dal teatro, quindi non si può dire che non fosse una professionista, ma semmai che fosse un’esordiente nel cinema, a differenza di Lorenzo Colombi, che invece ha esordito a tutti gli effetti come attore. Ventun anni lei, diciannove lui. Lavorare con loro, trovati entrambi a Bolzano (Maria Vittoria è di Trento), è stata un’esperienza meravigliosa: fin da subito si sono messi nelle mie mani e mi hanno fatto scoprire aspetti dei miei personaggi che non avevo considerato.

Perché hai scelto Bolzano come location del tuo film?
Con Davide cercavamo una piccola città di provincia che rappresentasse un’Italia non troppo canonica e l’abbiamo trovata proprio sul confine. Bolzano rappresenta perfettamente un’Italia protesa verso l’Europa, verso un futuro che volevo assolutamente evidenziare. Muoversi sul confine era inoltre utile per raccontare il passaggio da uno stato a un altro: simbolicamente da un’età a un’altra (dal periodo dell’adolescenza a quello dell’età adulta). Esteticamente era poi caratterizzata da un dualismo meraviglioso: la città ricca di contrasti (centro storico di stampo tirolese e periferia stilisticamente riconducibile al periodo fascista) e il paesaggio naturale puro, incontaminato, verde e vivo.
Questo contesto era perfetto per “Aquadro”, e non è un caso che dopo i primi sopralluoghi di due anni fa, una volta di ritorno a Roma, abbiamo scritto la prima stesura della sceneggiatura in due settimane. Quella stessa stesura che poi è arrivata finalista al Solinas Experimenta e che ha innescato tutto quanto il meccanismo produttivo.

Molti passaggi densi di personalità registica (vedi l’ampio uso del rallenty), l’attento studio della fotografia e dei colori, una colonna sonora giovane ed eclettica, mi hanno ricordato la splendida versione cinematografica de La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo.
Fin da subito sapevo perfettamente che questo film avrebbe vissuto di tutti quei problemi che accompagnano le piccole produzioni a bassissimo budget. Così con Tommaso Arrighi, che ha prodotto “Aquadro” per la Mood Film, ho cercato di impostare una regia (e una preparazione) che fosse settata sui vari paletti produttivi, così da renderli un punto di forza e non una limitazione. La scelta delle ottiche in rapporto allo spazio e alle comparse che potevamo avere a disposizione, lo studio della palette cromatica in base ai caratteri dei personaggi e alle situazioni che andavamo a raccontare, così come la preparazione di ogni singolo reparto, erano tutti aspetti di una direzione unica, studiata per la creazione del linguaggio “Aquadro” e perfezionata con i capireparto.
Con loro, ma anche con gli attori, ho impostato un lavoro che avesse come punto di partenza suggestioni e references ben precise: ricordo di aver mostrato estratti di film, singoli frames, fotografie, quadri e altro ancora. E lo ricordo sicuramente come uno dei momenti più belli di tutta la lavorazione, in cui potersi confrontare con professionisti miei coetanei, e attingere anche dalle loro suggestioni e dai loro suggerimenti. In quei giorni mi sono accorto che “Aquadro” stava nascendo e che stava prendendo la stessa forma nella testa di tutti quanti.

Ci sono dei registi ai quali ti sei ispirato?
Per gli attori ricordo di aver lavorato sulla naturalezza di alcuni grandissimi giovani interpreti (tutti stranieri). Abbiamo visto estratti di serie tv (tra le tante c’erano “Girls” e “Skins”) e di film di Van Sant e Larry Clark. Ma ogni film era momento di confronto con i ragazzi, e scambio di pareri (ricordo che in quei giorni al cinema c’era “Reality”, e con Maria Vittoria abbiamo parlato molto del lavoro di Garrone con gli attori). Anche con gli altri della troupe parlavamo spesso di quei film o di quelle serie tv che mi hanno ispirato di più per “Aquadro”, esteticamente e non solo. Parlavamo spesso di “Paranoid park” e di “Elephant”, ma anche di altri film (in particolare il cinema di Sam Mendes, P.T. Anderson e Wong Kar Way), di “Boardwalk empire”, di “Mad Men”, di “The Walking dead”, e ogni suggestione visiva (anche se apparentemente aliena al nostro lavoro) era ottima per far capire di più qualcosa, come lo studio dei colori, i movimenti dei personaggi nello spazio in rapporto alla macchina, l’illuminazione di certe scene, gli stessi movimenti di macchina, o certe volte servivano anche soltanto a conoscerci di più.

Aquadro è strettamente collegato al suo essere web movies, proprio come impone Rai Cinema per il progetto di cui fa parte anche il tuo film. Questo significa che non uscirà mai in sala, neppure “on demand”?
“Aquadro” è un film scritto per essere fatto. Adesso vive sul web, ma se andasse in sala non ci sarebbe niente di male e non sfigurerebbe, perché le differenze tra web e sala adesso riguardano unicamente il pubblico che le frequenta: in sala l’età media si è alzata per via di un costo che con il tempo porta a tagliar fuori una fetta di pubblico più giovane che non può permettersi di andare al cinema assiduamente. E internet adesso, con lo streaming e il download più o meno legale (più “meno” che “più”), sta nutrendo un pubblico enorme affamato di cinema.

Internet è quindi futuro e rovina del grande schermo?
Tra cinema e web ci sono differenze linguistiche, ma in generale il fatto che un prodotto audiovisivo vada sul web non significa che debba costare meno o essere realizzato con minore attenzione che se andasse in sala (uno dei tipici errori italiani). Essere distribuiti online significa confrontarsi con un pubblico vasto, a tratti potenzialmente più spietato di quello della sala (anche perché anonimo, nascosto dietro un nickname), educato dai vari canali (youtube e vimeo tra i famosissimi) dove poter vedere video di tutti i tipi e di tutte le qualità. Se imparassimo che la sala e il web possono coesistere, forse non soltanto il mercato potrebbe riaprirsi un po’, ma magari l’evoluzione narrativo-linguistica dell’audiovisivo del nostro paese potrebbe evolversi più rapidamente e tornare a raccontare storie attuali con linguaggi attuali.


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