Espandere la mente (e la pancia) in Perù

Creato il 15 ottobre 2013 da Stefania Cunsolo @stefystillwords

Mi rivolgo a tutti i buongustai, quegli adorabili goderecci esseri umani che hanno una passione per il cibo e la vita: il Perù è una delle pagine migliori su cui la mente possa scrivere ricercando neutralità.I paesi più poveri e quelli dove la natura predomina sono solitamente i più stimolanti. Non si può che accettare tutto ciò che ci indigna, ci mette alla prova, ci turba, e da lì fare il passo successivo (mettendo in conto che potrebbe essere ancora in salita).

Ho vomitato sulle sacre linee di Nazca, sentendo la gravità sul corpo ad ogni inclinazione che il minuscolo aeroplano faceva per mettersi verticale.Ho pianto ad Arequipa davanti la mummia di Juanita (soprannome di una dei bimbi tra gli otto e i dodici anni che gli Inca hanno accuratamente scelto sin dal primo anno di età tra i più sani e belli del villaggio, per sacrificarli e sedare l'ira degli dei, ovvero i vulcani attivi).Ho tenuto in braccio un cucciolo di alpaca, spaventato e sudato, ho sentito che avrei voluto proteggerlo per sempre fra le mie braccia ma poi l'ho lasciato andare, ricordando il dolore della separazione da coloro che amiamo e vorremmo restassero sempre con noi.Ho preso autobus pubblici in mezzo a pulcini e galline, odori vari tra cui brodo di pollo, coloratissime signore coi vestiti tradizionali, contadini che salgono e scendono da un pueblito all'altro, cercando di restare lucida e dritta fra una curva e l'altra.Mi sono fatta un paio di terremoti sulle Ande a Cabanaconde, indifferenti il canyon del Colca sotto i piedi e i condor sopra la testa.Ho fotografato la povertà della gente sentendomi ridicola con il mio iPad nello zaino e la mia stanchezza, di fronte alle donne che portano la legna sulle spalle e probabilmente nemmeno hanno una parola in quechua per dire "stress".Ho apprezzato il valore di ogni goccia d'aria, rallentato i movimenti e i pensieri e parlato al mio povero cuoricino (e quello di mio marito) che batteva più forte per portare ossigeno al cervello sul lago Titicaca, a quattromila metri d'altitudine.


Che si può fare se non arrendersi? Cos'altro, se non guardarsi e realizzare che stiamo in una mano ed è tutto lì? Che i tempi, le lingue, le superstizioni, i pianeti, le persone cambiano eppure la mano che ci tiene sul palmo è la stessa per tutti?Perciò, alla luce di "io sono gli altri, gli altri sono me", anche questa volta, anche in questo luogo straniero, mi sono calata nella storia. Non come un personaggio farebbe, più come uno scrittore. Come chi insomma vive tutte le emozioni ma poi deve osservarle se vuole raccontarle con neutralità a se stesso e poi condividerle con gli altri.


Uno dei modi che ho trovato per sentire il Perù (e, ci tengo a specificare, non è l'unico modo ma sicuramente uno dei più piacevoli), è stato attraverso il cibo.Ho mangiato, mangiato, mangiato. Sempre vegetariano e consapevole, ma ho goduto di ogni piccolo boccone in questa terra di avocado perfetti (non esagero), frutta meravigliosa, quinoa che te la tirano dietro.In molti casi ho visto moltissimo della mia Sicilia, almeno i miei occhi di isolana e figlia del Sud hanno voluto vederlo.Arequipa per esempio è la versione peruviana di Catania. Pietra vulcanica (sillar, la chiamano), chiese e conventi, una via principale che, come via Etnea, arriva alla piazza del Duomo (qui Plaza de Armas), un vulcano che sovrasta la città (il Misti, in questo caso), meravigliosi prodotti tipici: il queso helado (gelato fior di latte), i polvorones (biscotti che fanno solo le suore del monastero di Santa Caterina e si sciolgono come farina in bocca), gli alfajores de papaya (biscotti di mais ripieni di marmellata di papaya), il solterito de queso (un'insalata moderatamente piccante di mais, fave, olive e formaggio), la birra arequipeña (che fa concorrenza alla cuzcueña).Tutto il Perù si esprime in cucina con allegria e colore. I dolci sono dolcissimi ma semplici: pastel de choclo (torta di mais), suspiro limeña (blanco manjar, cioè caramello, ricoperto da meringa), dulce de leche, delicia andina a base di quinoa, latte e sauco (bacche delle Ande), cioccolato che viene dalle fave di cacao dell'Amazzonia.I vegetariani possono assolutamente sopravvivere in questo paese di cuy (porcellino d'India) e ceviche (pesce marinato): patate in tutte le salse (papas a la huancaína e causas tra le mie preferite), sopas e creme di quinoa o verdure, tacu tacu (piatto di fagioli e riso fritti), choclo con queso (mais bollito e formaggio).Su tutto, il fresco Pisco sour, un cocktail di liquore Pisco e bitter di Angostura, lime, sciroppo, chiara d'uovo, ghiaccio (a volte). Da provare forse prima di conoscere gli ingredienti, ma buonissimo.

Pisco sour

Zuppa di quinoa


Direi che ho gustato, assimilato, digerito il Perù. Accompagnata dal volto del mio compagno di viaggio, la gentilezza e disponibilità estrema delle persone del posto (a cui ho fatto ventimila domande e loro hanno risposto a tutte e aggiunto anche di più, perché sono così, gli piace dare tanto quanto ricevere), la musica peruviana fatta di fischi, chitarre e tanto amore per la vita, il proprio paese, le donne e gli uomini.

Prossime tappe: isole Uros da Puno, varcare il confine verso la boliviana Isla del Sol e poi Cuzco. In viaggio come vuole Dio: un cammino costante tra le sfide, arrampicandosi per elevarsi oltre i propri limiti (straordinariamente più mentali che fisici), riprendendo fiato in un respiro consapevole, con accettazione, amore verso se stessi e gratitudine per il posto che ci è dato nel mondo. E per qualunque altro mai ci trovassimo ad occupare. Altrimenti che mente neutra in viaggio sarebbe?

Cruz del Condor, Colca Canyon



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