La Francia, nella storia della cultura teatrale, ha sempre avuto un occhio di riguardo verso la danza e, secondo le esperienze che ho raccolto, in questi ultimi decenni non si è smentita.
Sabina Cesaroni oggi risiede a Firenze, ma è un'artista che danza in molti luoghi del mondo. Lo stile particolare della sua danza nasce da una commistione armoniosa e dosata dei generi e dei movimenti nello spazio. La sua formazione ha avuto il suo fortunato inizio in Francia.
Quali ricordi hai del lavoro svolto in Francia?
Ho un bellissimo ricordo. Nell'arrivare mi stupì la grande quantità di cose che accadevano, la grande libertà di potersi unire ad un gruppo o ad un altro, di tentare vie nuove di investigazione artistica. Gli anni Ottanta e Novanta sono stati un periodo di grandi trasformazioni per la danza.
All'inizio ho avuto difficoltà a inserirmi, poi però è stato entusiasmante, il lavoro non mancava, le possibilità erano anche economicamente assai più ricche di quelle che ai tempi l'Italia offriva.
Addirittura già si parlava di possibilità di piccoli cachet dati all'artista quando restava in attesa di altri lavori. Lo Stato riconosceva un'indennità, cosa che in Italia era assai difficile avere.
Oggi in Italia c'è la possibilità per l'artista di ricevere un cachet in attesa di un nuovo lavoro?
Puoi come artista rivendicare questo diritto, ma è molto difficile. Alcune mie colleghe lo hanno fatto, ma è stato un iter burocratico notevole. In Italia queste cose sono molto complicate, bisognerebbe essere dentro i grandi circuiti per averne l'accesso.
In Francia ci sono leggi che tutelano gli artisti e che funzionano per tutti. Molti dei nostri colleghi che hanno deciso di lavorare in Francia dicono che dal punto di vista economico hanno ricevuto e ricevono quello che qui in Italia è molto difficile ricevere.
Cosa hai appreso dall'esperienza francese?
In Italia c'era e c'è un atteggiamento settoriale per quanto riguarda i generi. È strano se si pensa alla tradizione dalla quale veniamo: la commedia dell'arte, dove i commedianti erano molto poliedrici ed era tutto un interagire tra il movimento, le parole, il suono, la pantomima.
In Francia c'era un panorama diverso, eterogeneo; ricordo questa elasticità, questa poliedricità che in Italia non c'era.
L'esperienza francese ti ha cambiato come artista?
Sì, mi ha cambiata; andando in Francia ho subito trovato diversi territori tra cui la danza contemporanea che a quel tempo aveva proprio laggiù dei grandi maestri, le danze barocche con il gruppo “Ris et dancéries”. Negli anni ottanta-novanta in Francia arrivavano dall'estero coreografi, registi che producevano i loro primi spettacoli. Mi viene da pensare al Giappone con la danza Butoh e al ballerino Kazuo Ohno, che è stato un mio grande maestro. Poi mi viene da pensare al teatro-danza, a Pina Bausch e al lavoro magnifico fatto con lei. A Eugenio Barba e il suo lavoro sull'attore nel quotidiano. In ogni settore ho trovato dei grandi maestri. Tra cui anche il grande Matt Mattox e tutto il settore del musical, il modern-jazz.
Parigi era in quel momento uno dei luoghi del mondo, insieme all'America e a Londra, dove sbocciava una nuova cultura teatrale.