Esperimento di filosofia podologica

Da Ilgrandemarziano
L'avete mai visto un piede? Voglio dire, osservato per bene, a lungo e da distanza ravvicinata? Va bene un piede qualsiasi, il vostro o quello del vostro vicino di ombrellone, purché possibilmente senza fronzoli, smalti alle unghie, tatuaggi, cavigliere, anelli o altri ninnoli. Un piede. Nudo e crudo. Al naturale. Magari appena prima di una sessione di pedicure, con le sue dita, le sue unghiette - un filino lunghe è meglio - i suoi calli e i suoi ispessimenti sul tallone. Ebbene, se non l'avete mai fatto, vi consiglio di farlo. Svuotate la vostra mente da altri pensieri, e restate a fissarlo per un po'. Solo lui, separato dal resto del corpo. Ma non cinque secondi. Abbiate un po' di pazienza. Fatelo per almeno alcuni minuti. E vedrete che, se vi sarete concentrati abbastanza, dopo un po' succederà qualcosa di strano, qualcosa di molto simile a quello che accade quando fissate per un po' le lettere di una parola. La parola è come se esplodesse, perdendo i suoi attributi di significato, come se fosse oggetto di una regressione alla radice del segno. Allo stesso modo, vedrete che l'arto (vostro o di un altro) smetterà di essere l'appendice corporea umana che nascondete nelle scarpe e che siete abituati a conoscere fin dalla vostra nascita, e tornerà indietro fino al suo primigenio significato animale.
Dopodiché vi serve un orso. Lo so che non è facile, ma fate uno sforzo. Per l'esperimento sarebbe meglio un orso dal vivo, in quanto una fotografia può non sortire l'effetto desiderato. Ma in mancanza d'altro, potete provare anche con quella. Il punto è che - comunque sia - ciò che vi serve è un bel piede di orso. L'esperimento io l'ho fatto all'Alternativer Bärenpark di Worbis, minuscola e caratteristica cittadina a una sessantina di chilometri a sud est di Göttingen, la celebre città universitaria nel cuore della Germania ai margini meridionali della Bassa Sassonia. Dunque, a nessuno verrebbe in mente di venire a Worbis, se non ci fosse questo fantastico parco che, in una cospicua superficie boscosa, in cui praticamente in gabbia ci sei tu - visitatore - mentre gli animali sono liberi intorno a te, ospita soprattutto numerosi esemplari di orsi e lupi, i primi recuperati in giro per il mondo da situazioni di maltrattamenti, prigionia e condizioni di vita penose. Qui i plantigradi vivono nella natura in pace e serenità, accuditi con amore e rispetto dagli addetti al parco. E, benché non siano del tutto liberi di andare dove gli pare e piace - malgrado l'ampissima superficie di cui dispongono, c'è naturalmente una recinzione esterna -, credo che questa soluzione consenta loro un'esistenza più che soddisfacente, soprattutto se rapportata a quella che facevano prima. Ma torniamo all'esperimento.
Avrete notato che sopra ho chiamato gli orsi "plantigradi", ovvero - per chi non lo sapesse - mammiferi che camminano poggiando a terra l'intera pianta del piede. Anche voi umani, per esempio, siete "plantigradi". Come pure noi marziani. Dunque cercate un piede di orso e fate la stessa cosa che avete fatto con quello umano. Fissatelo per qualche minuto. Di sopra, ma anche dal lato degli artigli e della pianta. Come già successo per quello umano, dopo un po' vedrete che anche il piede di orso perderà i suoi connotati di piede di orso, per regredire verso un'immagine concettuale che è sorprendentemente sovrapponibile a quella ottenuta durante l'osservazione del piede umano. In altre parole, attraverso questo semplice esperimento, si raggiunge la percezione della consapevolezza di una "vicinanza" animale con l'orso. Ma non fatevi fregare pensando si tratti di un semplice riconoscimento di somiglianza. Perché la sensazione, che pur forse c'è, non si limita a questo. È qualcosa di più intimo e arcano. Il recupero della cognizione di un profondissimo e indissolubile legame ancestrale che ogni essere intelligente (umano come pure marziano) ha con la propria natura animale, che migliaia di anni di (pretesa) civiltà hanno fatto senza dubbio perdere di vista, ma che non può essere cancellato dal tessuto della realtà.
Terminato l'esperimento, quando vedo uno degli orsi sguazzare nel laghetto giocando con un tronco, non posso fare a meno di pensare che molto probabilmente lui è molto più felice di tanti visitatori che si trovano qui (anche di me), e che ciascun essere umano potrebbe vivere molto meglio se solo fosse capace di recuperare almeno un po' della sua ursinità ancestrale.
/continua

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