Esportare vita terrestre nello spazio?

Creato il 10 giugno 2014 da Media Inaf

Immagine Blue Marble della Terra scattata con lo strumento VIIRS a bordo del satellite NASA Suomi NPP. Crediti: NASA

La vita sulla Terra ha una data di scadenza. Lo dimostrano gli investimenti che siamo disposti ad affrontare per trovare nuovi esopianeti o approdare su Marte in vista di una colonizzazione del Pianeta Rosso. Tuttavia, questi sforzi potrebbero sembrare vani se pensiamo che, al più tardi tra cinque miliardi di anni, il Sole si trasformerà in una gigante rossa, inghiottirà Mercurio e Venere e ogni forma di vita nel nostro sistema solare non avrà più la possibilità di esistere. Michael Mautner, chimico di origine ungherese della Virginia Commonwealth University, a Richmond, si pone già questo problema e propone una soluzione per la sopravvivenza della vita: esportare microbi terrestri su altri sistemi planetari in via di formazione.

Sebbene sia solo una teoria, gli esperimenti che Mautner conduce di chimica di base – su molecole complesse che potrebbero contribuire all’origine della vita – e di astroecologia – sulla relazione tra la vita e le sue possibili risorse nello spazio – sono fortemente influenzati da questa visione.

Un’intervista a Mautner di Universe Today evidenzia i possibili problemi da affrontare nel caso volessimo concretizzare l’ipotesi di esportare vita terrestre in altri punti dell’universo.

Innanzitutto, meglio rinunciare se non si è disposti a pensare in grande. Si tratterebbe infatti di un progetto a lunghissimo termine: miliardi di anni, distribuiti – non equamente – in due fasi temporali. Una prima fase, che potrebbe richiedere anche migliaia di anni, riguarderebbe il viaggio dei microrganismi verso sistemi planetari in via di formazione, a decine – se non centinaia – di anni luce da qui. La seconda fase, che potrebbe estendersi anche per miliardi di anni, vedrebbe l’evoluzione di questi microrganismi in forme di vita intelligenti (in grado, a loro volta, di disseminare vita nell’universo).

Poi, come scegliere un sistema abitabile. Nonostante vengano continuamente scoperti nuovi esopianeti potenzialmente adatti alla vita, Mautner suggerisce di puntare su sistemi stellari ancora in via di formazione, dove è esclusa l’eventualità di imbattersi in altre forme di vita “indigene”, che l’incontro con i microbi terrestri potrebbe mettere a rischio. Una scelta che sarebbe, tra l’altro, anche più accessibile a livello tecnologico, perché richiederebbe una mira meno precisa.

Infine, come consentire ai microbi di sopravvivere durante il viaggio nel gelido spazio interstellare, e oltre? Secondo Mautner la soluzione potrebbe trovarsi nell’ingegneria genetica e non dovrebbe rivelarsi un’impresa impossibile, se consideriamo che sulla Terra già esistono organismi estremofili in grado di sopravvivere in condizioni solitamente avverse alla vita – per esempio, all’interno di camini vulcanici bollenti in fondo all’oceano – e di entrare in uno stato di ibernazione, per poi risvegliarsi quando le condizioni ambientali siano diventate più favorevoli.

Mautner non esclude, inoltre, la possibilità che tecniche di criogenesi possano rendere i viaggi interstellari accessibili anche agli esseri umani. Intanto, già si dedica allo studio di come microbi e piante possano crescere su meteoriti – anche in condizioni di luce e temperatura estreme – nell’ottica di sviluppare un ecosistema favorevole a coloni umani su asteroidi o colonie spaziali. A quanto dichiara in un’intervista pubblicata sul sito della Virginia Commonwealth University a maggio, sembrerebbe che sia già riuscito a coltivare diverse specie di batteri, asparagi e patate su terreno di meteorite, anche marziano. L’invio di cianobatteri – i primi colonizzatori della Terra, che produssero l’ossigeno necessario allo sviluppo di altre forme di vita – su Marte, per esempio, potrebbe contribuire a preparare il terreno per lo sviluppo di organismi più complessi.

Mautner immagina una colonizzazione umana dello spazio che si sviluppi esponenzialmente a partire da basi lunari. A quel punto diventerebbe più semplice e meno dispendioso inviare microrganismi a colonizzare sistemi solari in formazione.

Per saperne di più:

  • l’articolo di Elizabeth Howell su Universe Today;
  • l’intervista rilasciata da Mautner sul sito della Virginia Commonwealth University;
  • un articolo di ricerca di Mautner su Journal of Cosmology;
  • un articolo su alcuni esopianeti scoperti da Kepler su Media INAF.

Fonte: Media INAF | Scritto da Valentina Tudisca


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