La catena può spaventare un osservatore esterno.Chi è incatenato, come un cane, di ben altro ha terrore, terrore cieco.È il movimento la condanna di chi è alla catena, non la catena.Sbagliava Dante quando scriveva “Lasciate ogni speranza o voi ch'entrate”, sulla porta dell’Inferno.Non esiste pena durevole senza speranza di riscatto.
È la speranza che si rinnova con forze fresche ogni mattina ad alimentare la condanna e la sofferenza.La speranza soffia sul fuoco dell’inferno, facendolo avvampare rovente.Senza ossigeno di speranza, il fuoco della condanna si spegnerebbe. Rimarrebbe soltanto la quieta brace della rassegnazione.Così è per chi conduce la vita come un cane alla catena.Al mattino, al risveglio, con gli anelli in quiete sul terreno, magari con un bel sole nel cielo limpido e il canto degli uccellini sui rami, con le energie ristorate e i pensieri della memoria ancora offuscati, il cane si alza. Avverte distrattamente un simpatico tintinnio di metallo. Si illude di essere libero di andare, spera sia stato tutto un brutto sogno.Poi, al primo impulso di vita, sia esso l’istinto di un fiuto o il richiamo di una voce d’affetto, il cane si muove, ottimista, speranzoso, bramando la propria interezza d’indole.La catena si allunga, docile, fino a un punto e non oltre. Oltre quel punto non gli è concesso vivere. Non gli è concesso esistere. Il cane tira, strattona, strappa, anela. Pateticamente, dolorosamente ridicolo.Una regola ferrea, che torna ogni mattina, a ogni risveglio.Finché si rinuncia, con dolore, a provare persino a muoversi.Non è la catena che il cane odia. È un animale intelligente il cane; proprio per la sua intelligenza soffre. Ci mette poco a capire la sua nuova condizione, seppure innaturale. Gli piaccia o no, ciò che esiste è, anche la depravazione, anche la mutilazione dell'istinto. Fa parte di lui quella catena.È l’inganno di ogni movimento il vero aguzzino. Questa sevizia subdola fa guaire la bestia.Sono i metri della catena ad alimentare ogni giorno l’illusione e la speranza che esista via di fuga.Nel ricordo del movimento il cane potrebbe piano piano stemperare il dolore in forma di malinconia, che gli farebbe perfino compagnia.Le lacrime del resto a questo servono, a levigare angoli aguzzi di emozioni dolorose. Lo sanno bene le ostriche, lo sa chiunque piange le sue perle.Ma il movimento cocente, essere marchiato a fuoco ogni giorno, sfibra, svuota dall’interno, snatura qualsiasi animale capace d'emozione.Potersi muovere è la vera condanna di chi è in catene.L’unico modo che il cane ha per non impazzire è imparare a rinunciare.Rinunciare a muoversi, rinunciare a illudersi, rinunciare a tirare senza alcuna falsa lusinga di speranza.Ecco cosa c’è in un cane fermo, muto, all’apparenza tranquillo, sereno e rilassato addirittura, con il muso abbandonato sulle zampe, le orecchie lasse e la coda inerte. Con una catena al collo.Rassegnazione. Soltanto rassegnata attesa della fine.Un cane rassegnato a un destino che non è il suo, reale ed estraneo insieme.Se ne stanno immobili, lui e la sua catena. Entrambi ben attenti a non muoversi. Se non quel minimo necessario per raggiungere la ciotola delle elemosine.Finché un giorno gli diverrà insopportabile anche il solo udire quel tintinnio nell'allungare il muso verso il cibo.È un terrore cieco, cieco e paralizzante. Ti fa avere paura anche del movimento toracico per respirare.Quel cane ormai non spera più che la catena si spezzi.Quel cane prega il suo personale dio che qualcuno lo inchiodi al terreno lì dov’è.Che gli tolga finalmente quei pochi metri di inganno e tortura.Perché gli sia più facile dimenticare cosa siano libertà e movimento.Ecco cosa prova chi conduce una vita alla catena.Come un cane, anche peggio di un cane.
La catena del cane, almeno, è facilmente visibile.
K.