Essere di sinistra, essere come tutti

Creato il 12 gennaio 2014 da Dave @Davide

Francesco Piccolo, scrittore e sceneggiatore, a fine ottobre scorso ha pubblicato un libro per Einaudi, “Il desiderio di essere come tutti“, di cui si è parlato molto, ma di cui ho visto pochi stralci online. È essenzialmente un memoir introspettivo diviso in due parti: la «vita pura» dell’autore – quella dei tempi di Berlinguer e della questione morale – e quella «impura» – seguita alla “discesa in campo” di Berlusconi.

Piccolo riesce a cogliere l’essenza dei drammi interiori della sinistra italiana, interrogandosi senza ipocrisie e con grande lucidità sulle contraddizioni sociali, culturali e storiche della sbandierata (da lui per primo) “diversità” dell’essere di sinistra in Italia. Il risultato è una serie di confessioni a cuore aperto utile a scandagliare i fondali del dibattito politico italiano, un testamento spirituale e ontologico a metà tra l’ammissione di colpa e il desiderio – come da titolo – di «essere come tutti».

Riporto qui un breve brano del libro, sito nelle ultime pagine della «vita pura» berlingueriana, a distanza di righe da una bellissima risposta di Goffredo Parise a un lettore del Corriere della Sera degli anni Settanta. Si tratta di una sorta di bilancio degli anni precedenti, quelli della purezza.

La nostra occupazione principale, in tutti questi anni, è stata quella di tracciare i confini. Avendo anche la flessibilità di spostarli, quando era il caso, ma comunque tenendo ferma una linea semplificatrice che dicesse: di qua stiamo noi, di là stanno gli altri. Tu puoi venire qua, tu adesso devi andare al di là della linea. Spostiamola un po’ per fare entrare un a parte di moderati in più; non tanti, però.
Cosa porta questo confine? Porta sicurezza, chiarezza. Riconoscibilità. Tutti quelli che stanno di qua stanno con noi, tutti quelli che stanno di là stanno contro di noi. Noi siamo i buoni, loro i cattivi – come nei film. Noi buoni dobbiamo battere i cattivi. In verità, la differenza con i film è che nei film i buoni vincono, mentre noi spesso perdiamo. Ma il fatto che perdiamo non ci dà nessun senso di debolezza, anzi. Il fatto di stare dalla parte giusta ci basta, ci rende solidi. E anzi, se dobbiamo dirla tutta, ci piace essere dalla parte giusta e perdere. Perché nella sconfitta si è più uniti, mentre quelli che vincono diventano sempre un po’ arroganti. Perché la sconfitta non mette in gioco la quantità di problemi che mette in gioco la vittoria. È come se fossimo in un gigantesco spogliatoio, dopo la partita, e noi che abbiamo perso ci guardassimo tutti con soddisfazione, perché sappiamo di giocare meglio, in modo più elegante; gli avversari hanno vinto, ma sudano troppo.
Cosa fa, soprattutto, la linea di confine? Costringe a usare dei criteri. Questi criteri sono, pian piano, sempre più pregiudiziali. Sempre più, con il passare del tempo, sappiamo scegliere con rapidità ciò che ci piace e ciò che non ci piace – meglio: ciò che ci piacerebbe e ciò che non ci piacerebbe.
Con questi criteri, siamo diventati la parte più reazionaria del Paese, nonostante ci fossimo definiti moderni, oltre che civili. In pratica, abbiamo cominciato a fare resistenza al malcostume, alla degenerazione, e pian piano la resistenza è diventata la nostra caratteristica principale, che è tracimata anche nel costume, in ogni forma di accadimento, di cambiamento. Abbiamo cominciato perfino a usare la parola: resistere – che è diventata senso di estraneità a tutto. Diamo l’impressione, al resto del Paese, di giudicarlo male qualsiasi cosa provi a fare; di essere scandalizzati, a volte inorriditi.
 
A noi della sinistra italiana, nella sostanza, non piacciono gli italiani che non fanno parte della sinistra italiana. Non li amiamo. Sentiamo di essere un’oasi abitata dai migliori, nel mezzo di un Paese estraneo. Di conseguenza sentiamo di non avere nessuna responsabilità. Se l’essere umano di sinistra sentisse una correità, non penserebbe di voler andare a vivere in un altro Paese, più degno di averlo come cittadino. Però, a questo Paese che non ci piace, che non possiamo amare, del quale non sentiamo di far parte, e che osserviamo inorriditi ed estranei, noi della sinistra italiana a ogni elezione siamo costretti a chiedere il voto. Vogliamo, cioè, che quella parte di Paese che disprezziamo, si affidi alle nostre cure. Ciò che puntualmente non avviene, proprio perché il Paese sente questo senso di estraneità. E poiché non avviene, noi della sinistra italiana ci indigniamo di più, ci estraniamo di più e riteniamo di essere ancora meno responsabili di questo Paese di cui non sentiamo di far parte.

E poi

Ho capito all’improvviso che assomigliavamo a quel gruppo di ciclisti che incontro ogni tanto per la città. che occupano tutta la strada procedendo con lentezza studiata, perché il loro obiettivo non è andare in bicicletta, ma punire coloro che sono in auto e sulle moto. Non sono usciti per andare da qualche parte, ma per bloccare il traffico. Appunto, per punire. Quando mi è capitato di trovarmi in mezzo a loro, intrappolato con il mio scooter, ho provato a infilarmi in uno spazio, a passare, e si sono incazzati. Mi hanno intrappolato e insultato, chiedendomi se ci provo gusto a inquinare la città o se mi piace morire di cancro. Non solo mi impedivano di passare, ma cercavano di piantare nella mia testa sensi di colpa e pensieri bui che mi sarei ritrovato di notte, nell’insonnia. Sono violenti, arroganti e inclini al sopruso, semplicemente perché stanno facendo una cosa più giusta della tua, semplicemente perché tu dovresti fare come loro.
Ogni volta che li incontro, nonostante pensi che abbiano ragione, che il traffico e lo smog sono insopportabili, la mia sensazione è precisa: sono contento di non far parte del loro gruppo, ma di stare insieme agli altri, agli automobilisti e ai motociclisti.
[...]
Quindi, con grande sorpresa, la sensazione che sento arrivarmi addosso, appena dopo essermi liberato della purezza, è soltanto un senso di sollievo. Nient’altro.

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