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Cosa c’è di bello nell’essere giornalisti? Informare, palesare ciò che palese non è; smascherare e rendere partecipi altre persone. Coinvolgere. Ma principalmente penso sia dire la verità con chiarezza. E’ un grande potere, e, come ci insegnano i super-eroi: da un grande potere, derivano grandi responsabilità. Eppure sembra che questo potere non venga colto da moltissimi esperti del settore, sopratutto televisivi. Fino a che punto ci si può spingere per sensazionalizzare una notizia? Ma sopratutto, qual è il limite da non raggiungere mai per rendere un “pezzo” di cronaca veramente indimenticabile? L’ultimo trend del giornalismo di cronaca è quello dell’istigazione all’odio razziale. Chiamare i colpevoli di un misfatto, che può andare dall’omicidio al semplice schiamazzo notturno, con la propria nazionalità. Il marocchino, il rumeno, l’indiano: come se fosse una prerogativa comportamentale dell’area dei Balcani uccidere a colpi di spranga; dell’area nord-africana abbandonare i cani sull’autostrada; o se uccidere la fidanzata fosse abitudine concreta degli abitanti del Punjab. In contrapposizione, l’italiano è sempre connotato dal suo mestiere: il medico, l’ingegnere, il professore. L’eroico italico che sopravvive onestamente all’orda di delitti. Senza rendersene conto, (o forse rendendosene conto eccessivamente, è questo il problema) il passaggio di messaggi negativi è quotidiano e martellante. In fondo non si può accusare nessuno. Hanno solo specificato la nazionalità del colpevole, non è loro responsabilità se questo è spesso straniero. Ciò contro cui bisognerebbe battersi è il modo in cui viene sbandierata la diversità culturale. Come se più dell’avere ucciso qualcuno, l’errore stesse nell’essere nel paese sbagliato. Senza regolare permesso di soggiorno, magari. E’ questo ciò a cui tendiamo? Notizie di laterale importanza ,come un rapinatore seriale di donne anziane su tutte le televisioni italiane a reti unificate, con lo stesso servizio? Sembra che l’unica cosa importante sia far crescere il sentimento di inquietudine, e disequilibrio negli spettatori. La sensazione di non essere mai al sicuro e di dover cambiare strada se vediamo un gruppo di eventuali stranieri, persino extra-comunitari. Questo non è essere giornalisti. E’ solo il passaggio di un messaggio scorretto, per quanto reale sia. Un criminale è solo un criminale, non ha razza, colore e non ha fede. Una persona di cultura, anzi, semplicemente una persona intelligente, si dovrebbe rendere conto che con le proprie azioni amplificate da un media come la televisione, possono rendere difficile l’esistenza di immigrati che criminali non sono. Le parole hanno forza, ed un potere che è difficile da immaginare. Bisogna decidere come usarle, e sapere di avere la responsabilità su chi le ascolta.