Sono qui davanti al pc, che sgranocchio un pezzetto di Parmigiano in attesa che sia pronta la cena. Una premessa che può sembrare superflua (ed effettivamente lo è) ma che mi aiuta a entrare nello spirito giusto per scrivere questa recensione. Anche perché mangiare, secondo me uno dei più grandi piaceri della vita, mi aiuta a riflettere meglio e a cercare di fare un po' di ordine in mezzo ai pensieri intricati che questa lettura mi ha lasciato.
Se c'è una cosa che odio è quando non sono in grado di dire se un libro mi è piaciuto o meno. In questo caso, poi, partivo con qualche pregiudizio: della Barbery ho letto, come credo quasi tutti, "L'eleganza del riccio", apprezzandolo solo a metà: bellissima l'idea, molto intricato lo svolgimento e lo stile. Uno stile che qui si ritrova uguale, sebbene si tratti di un'opera precedente e quindi, si presume, meno matura. Ed è uno stile che ritrovo sempre nei narratori francesi che incontro sulla mia strada. Frasi intricate, scritte con un tono aulico e molto cerimonioso, come se si volesse a tutti costi fare sfoggio di cultura e far faticare il lettore. Ripeto, non è una caratteristica solo della Barbery questa.
In questo, di nuovo, le premesse per un libro che mi potesse piacere tantissimo c'erano tutte. Si parla di cibo e di ricordi ad esso associati. Un uomo, un famoso critico gastronomico, è in punto di morte e vorrebbe, prima di andarsene, gustare per un'ultima volta una pietanza, che però non riesce a rievocare. Si fa un viaggio nei suoi ricordi, alcuni molto belli (quello del cane, ad esempio, mi ha fatta impazzire), altri molto evocativi (vedi il sushi, di cui leggendo mi è venuta una voglia pazzesca) altri francamente quasi inutili. Fino a che per fortuna, proprio alla fine, riesce a ricordasi cosa fosse. Attorno a lui, ci sono altri personaggi, la portinaia, la moglie, i figli, l'amante, il gatto, che ne delineano il carattere, in un ritratto decisamente poco lusinghiero.
Il fatto è che secondo me tutto meritava un migliore approfondimento. Meno esercizi di stile e più concretezza. Ci sono tante cose in ballo, troppe, che avrebbero avuto bisogno di più di 130 pagine per poter essere spiegate e narrate bene. Non tanto per quanto riguarda i ricordi culinari dell'uomo, tutti comunque abbastanza efficaci, quanto nelle storie collaterali. Narrate così, per me, avrebbero anche potuto non esserci, perché quasi oscurano questo elogio al cibo, offrendo poco o nulla di più alla storia. Penso che se non si è dei veri amanti del cibo, le difficoltà nell'apprezzare questo libro, per lo stile in cui è scritto e per le descrizioni tanto precise e dettagliate, siano ancora maggiori. Con questo non voglio assolutamente sconsigliarvene la lettura. Semplicemente avvisarvi a cosa andrete in contro.
Ah, poi ovviamente mi sono anche messa a pensare a quale sarebbe il cibo che vorrei mangiare un'ultima volta se fossi in punto di morte. E' una domanda davvero difficile, anche se penso che la scelta ricadrebbe sui gnocchi con il pesto che fa la mia mamma (ma anche un tiramisù...)
Nota alla traduzione: il francese è una lingua che non conosco, quindi non sarei in grado di riconoscere calchi o errori di traduzione. Nella mia ignoranza posso quindi dire che mi sembra ben fatta.
Titolo: Estasi culinarie
Autore: Muriel Barbery
Traduttore: Emanuelle Caillat e Cinzia Poli
Pagine: 139
Anno di pubblicazione: 2008
Editore: e/o
ISBN: 978-8876418921
Prezzo di copertina: 4,90 €
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