Età del Bronzo. Scoperta nella Valle del Tirso una città del vino di epoca nuragica.
di Valeria Pinna
Conoscevano i segreti del vino fin dall'età nuragica. E nella terra, culla storica della vernaccia, forse era scritto nel Dna. Già 3200 anni fa, gli antenati degli oristanesi erano veri maestri con uva e fermentazioni. Ma erano anche abili nella pesca, nella lavorazione dei metalli e del legno. Tante conoscenze e abilità manuali venute fuori inaspettatamente dal cuore della valle del Tirso.
Da quei cumuli di terra, spostati dalle ruspe che hanno realizzato il ponte di Brabau, aperto al traffico recentemente (dopo 30 anni di lavori) per collegare Oristano a Torregrande e alla costa di Cabras. E che hanno avuto la grande fortuna di portare alla luce un prezioso insediamento del Bronzo. Scoperta da capogiro per gli archeologi che, fino a oggi, sugli usi e sulle abitudini quotidiane dei nuragici avevano viaggiato «un po' con la fantasia, ma adesso abbiamo finalmente testimonianze certe: dai pezzi di legno intagliati ai semi di uva e di fico, fino ai pezzi d'osso», ha commentato il soprintendente Alessandro Usai, mentre illustrava il tesoro scoperto casualmente due anni fa.
Reperti che potrebbero realmente riscrivere la storia del vino e della civiltà alimentare nell'Oristanese. In località “Sa Osa”, a due passi dal fiume Tirso, è stato ritrovato un insediamento risalente all'età nuragica: «Un sito atipico - dice il soprintendente illustrando il valore del ritrovamento - perché non c'è nulla di monumentale in superficie che lo richiama. Non ci sono resti di nuraghi, perciò non saremmo mai andati a scavare là».
Poi, un pizzico di fortuna ha fatto sì che la storia travagliata del ponte di Brabau si intrecciasse con quella degli antichi popoli. «Ci siamo trovati davanti a una scoperta unica - ha aggiunto lo studioso - che troverà spazio nella letteratura internazionale: le pubblicazioni su questo materiale faranno il giro del mondo nei prossimi decenni». Il sito risale alla piena età nuragica, è contemporaneo del nuraghe che si trova nei pressi del Rimedio vicino al ponte Tirso, ritrovato anch'esso durante lavori di costruzione di una strada. «Evidentemente in quell'epoca c'erano diverse comunità nuragiche insediate nelle campagne della zona - ha spiegato Usai -, popoli che vivevano di caccia, pesca, raccolta di frutti e agricoltura». Si tratta di un insediamento interessante sotto il profilo geografico per la vicinanza al fiume e al mare ed è costituito da fosse scavate nel terreno. I cosiddetti «fondi di capanna» sopra i quali si edificava con materiali deteriorabili che, infatti, non sono arrivati fino ai giorni nostri. Sono rimaste, però, le fosse e i pozzi con le tracce dei gesti e delle attività compiute tanti secoli fa. Alcuni, lontani parenti delle discariche, erano utilizzati per depositare rifiuti come cocci, conchiglie e ossa di animali. Altri per contenere scorte di acqua e vari materiali. Erano scavati in profondità, anche sotto il livello del mare.
Uno di questi si è rivelato una sorta di pozzo delle meraviglie per gli studiosi del passato. Una fossa di un metro di diametro e quattro metri di profondità (ma gli studiosi intendono provare a scendere ancora). Ed è stata l'umidità del sottosuolo il vero segreto per conservare i materiali in condizioni uniche e farli arrivare pressoché intatti nelle mani della squadra di archeologi. «Abbiamo trovato molti vasi interi e frammenti grandi che sarà facile rimettere insieme» ha spiegato Usai. All'interno un terriccio fangoso liquido che passato al setaccio ha consentito di ritrovare «frammenti di lische di pesce e anche i pesi delle reti - va avanti - a dimostrazione che la pesca avveniva già allora secondo tecniche precise». Sono stati trovati pezzi di legno grezzo e lavorato, «legni intagliati, fatti su misura per comporre qualche altro oggetto». Ancora, lucerne e piccoli vasi dal carattere votivo e simbolico, quelli che gli studiosi definiscono «manufatti miniaturistici». Conservati nel fango si sono mantenuti benissimo centinaia di semi legumi, di cereali, di olive «che danno lumi sulle abitudini alimentari» e semi di uva e fichi «che documentano l'uso del vino in Sardegna già in quell'epoca antichissima».
Finora si era pensato che il vino fosse stato portato nell'Isola dai fenici o dai micenei, adesso la scoperta sotto il ponte di Brabau cambia radicalmente lo scenario. La Sardegna può essere considerata terra madre del vino e addirittura, anche in età nuragica, c'era una notevole ricchezza e varietà di uve. Ma soprattutto c'era una diffusa conoscenza dei segreti del vino. «La concomitanza della presenza di semi di uva e di fico fa supporre che già allora fosse seguito un sistema in uso fino a pochi decenni fa in Sardegna per rendere più alcolico il vino - ha precisato l'archeologo Raimondo Zucca - Al mosto venivano aggiunti i fichi secchi in modo da conservare meglio il vino e aumentarne il tasso zuccherino e alcolico». Gli archeologi hanno in programma altre analisi anche per conoscere meglio l'origine dei vitigni, ma sono bastati i semi nascosti nel fango per accendere l'interesse sull'argomento anche all'estero. Si sta sviluppando sempre più, infatti, quella particolare branca dell'archeologia che studia proprio i vini e l'alimentazione antica. Ma, le scoperte di Sa Osa potrebbero suscitare interesse anche nel circuito dell'enoturismo, attirando gli appassionati di vino di tutto il mondo, come testimoniato dall'imprenditore vinicolo di Cabras Paolo Contini.
Alla luce di questo immenso valore storico, i lavori degli studiosi capitanati dal soprintendente Alessandro Usai devono andare avanti. Il ponte di Brabau potrebbe aspettare ancora prima di spogliarsi della fascia di incompiuta, ma «una scoperta di tale portata merita l'attenzione di tutti noi. Sarebbe un reato fare finta di nulla», hanno ribadito il presidente della Provincia Pasquale Onida e l'assessore ai Lavori pubblici Franco Serra. Da qui l'impegno delle istituzioni a reperire altre risorse per completare la squadra di archeologi (magari coinvolgendo anche gli operatori delle cooperative dei beni culturali), e consentire alla ricerca scientifica di aggiungere qualche altro prezioso tassello alla misteriosa e sorprendente storia dei nuragici nella valle del Tirso.
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