È finita nel modo auspicato dall’accusa l’annoso processo Eternit: gli allora capi della multinazionale dell’amianto Stefan Schmidheiny e Jean Louis de Cartier sono stati condannati a 16 anni di reclusione per disastro doloso permanente e omissione dolosa di misure anti-infortunistiche.
Le pene del procedimento durato oltre 8 anni riguardano 2.191 decessi nelle zone degli stabilimenti di Cavagnolo e Casale Monferrato. La sentenza è esemplare, ma rischia seriamente di restare simbolica.
I due proprietari della Eternit non si sono mai visti in aula durante le udienze. Cesare Zaccone, avvocato di De Cartier, evidenzia:
Sarà venuto in Italia tre volte al massimo nel periodo in cui è stato nel CDA. Come fa a esserci la prova di una sua responsabilità?
Astolfo di Amato, difensore di Schmidheiny, invece, sciorina l’inevitabile quanto risibile reprimenda politico-economica:
Se passa il principio che il capo di una multinazionale è responsabile di tutto ciò che accade in tutti gli Stati del mondo, allora investire in Italia da adesso sarà molto difficile.
Appunti a parte, è improbabile che i due, nonostante la maxi condanna, scontino anche un solo giorno di prigione.
Jean Luois Marie Ghislan de Cartier de Marchienne (nome completo) come ben potete immaginare è un nobile, precisamente un barone di Hainaut, in Beglio. Il suo casato è potente nella monarchia belga e tra le sue fila può vantare Emile de Cartier, zio del Nostro, ambasciatore in Cina e negli Stati Uniti. Ha giocato un ruolo importante in Eternit da quando ha sposato Viviane Emsens, erede della famiglia di imprenditori che fondò l’azienda nel 1905.
De Cartier ha 91 anni, ci sono ancora due gradi di giudizio che non si preannunciano una passeggiata e, se non sarà all’altro mondo entro la fine, di certo non verrà a passare i suoi ultimi giorni in una polverosa cella italiana.
Ancora più bizzarra la storia dell’altro condannato di lusso Stefan Schmidheiny che si potrebbe definire una sorta di pentito dell’amianto. Già negli anni 60 affermava:
Questa è un’industria senza futuro perché progressivamente ci impediranno di lavorare.
Successivamente, resosi conto della pericolosità dell’amianto, scriverà a sua difesa:
Quando mi guardo indietro e mi rendo conto delle vittime causate dall’amianto, mi consola il fatto di essermi mantenuto saldo nella decisione di interrompere la produzione di questo materiale. Né i governi né l’industria si erano resi conto dei problemi che avrebbe provocato.
Oggi è un filantropo, ha ricevuto due lauree ad honorem negli Usa ed è stato consulente del presidente Clinton. È il fondatore del Business Council fo Sustainable Growth che riunisce ogni anno nella penisola di Hurden, sul lago di Zurigo, 48 dei principali industriali del mondo per discutere di sviluppo sostenibile.
Da vent’anni finanzia associazioni e fondazioni ambientaliste e si occupa di vigneti in America e in Australia. Ha addirittura fondato un premio per la pace, intitolato al padre Max, vinto in passato anche da Kofi Annan e da Romano Prodi.
Quale nazione oserebbe estradare un individuo del genere?
Fonte: La Stampa e Il Fatto Quotidiano