da Fredrik Barth.Ethnic Groups and Boundaries. Boston: Little, Brown & Co. 1969.
Gli studi antropologici ricevettero un impulso decisivo con la pubblicazione, nel 1969, di Ethnic Groups and Boundaries dell’antropologo norvegese Fredrik Barth, che poneva in relazione il tema dei confini con quello dell’identità etnica nel saggio introduttivo di Barth a un volume di saggi a seguito di un convegno a Bergen nel 1967, in cui gettò le basi del cosiddetto “paradigma etnico”. Barth, che aveva condotto ricerche etnografiche in regioni dell’Asia centro-meridionale caratterizzate dalla compresenza in determinate aree di numerosi gruppi etnici in relazione di cooperazione e/o di conflitto, aveva notato come i “confini” tra gruppi venissero regolarmente “attraversati” e come, d’altra parte, tali confini persistessero nonostante i frequenti cambiamenti identitari che si determinavano in occasioni di questo tipo. Barth mise così in discussione la concezione classica del gruppo etnico.
Per gruppo etnico – dice Barth- si intende solitamente un insieme di individui rivendicanti origini storiche, linguistiche e culturali comuni. Per lungo tempo è prevalsa la tendenza a considerare il gruppo etnico come un’entità immutabile, dai confini netti e la cui continuità nel tempo è garantita da fattori di carattere essenzialmente demografico, in sostanza un’isola pelagica che può essere descritta per conto suo in un’etnostoria che spesso vede i cambiamenti proditti dall’interazione con altri gruppi, maggioritari, come ‘acculturazione’, termine ormai in disuso, ma che ha segnato i cosiddetti ‘acculturation studies’ in particolare dell’antropologia americana dell’inizio del XX secolo.
La rappresentazione classica del gruppo etnico si fondava sull’l’idea di una coincidenza tra “razza”, cultura e lingua, e aderiva al pregiudizio che le differenze culturali fossero conseguenza dell’isolamento sociale e geografico. La concezione classica dei gruppi etnici assumeva di fatto che le loro rappresentazioni tanto interne che esterne, e quindi le percezioni dei loro confini, fossero coincidenti.
“Osservando come in contesti caratterizzati dalla compresenza di gruppi etnici diversi fosse frequente il passaggio di individui da un gruppo ad un altro, con l’assunzione da parte dei soggetti di identità di volta in volta differenti, Barth si accostò al problema nella prospettiva dell’attore sociale. Tale prospettiva consentiva, diversamente da quella sostanzialista che considerava il gruppo etnico come definibile in base a caratteristiche “oggettive” riconducibili a fattori “razziali”, linguistici e culturali, di rappresentare i confini non come qualcosa di oggettivamente e definititivamente dato, ma piuttosto di strategicamente prodotto attraverso pratiche sociali e simboliche. In questa nuova prospettiva i gruppi etnici vennero considerati in primo luogo come categorie di ascrizione e identificazione da parte degli stessi attori che manipolano contestualmente pratiche e simboli allo scopo di definire sé stessi e così stabilire (o elidere) un confine nei confronti di altri.” (Fabietti 1999).
Discutendo le caratteristiche dei gruppi etnici, di fronte alle contraddizioni della teorizzazione tradizionale, Barth constata l’esistenza di casi ben documentati di un gruppo etnico, anche a un livello relativamente semplice diorganizzazione economica, che occupa diverse nicchie ecologiche, come i Chuckchi costieri e dell’interno, i Lapponi costieri, rivieraschi e allevatori di renne, e tuttavia mantiene l’unità culturale ed etnica basilare per lunghi periodi di tempo. La caratteristica che non è legata alle circostanze ambientali, ma che si concentra su ciò che è socialmente efficace è, secondo Barth, la caratteristica dell’auto ascrizione e dell’ascrizione da parte di altri.
Barth specifica che non si tratta di tratti culturali ‘oggettivi’ che vengono presi in considerazione per segnalare le differenze, ma solo di quelli che gli attori stessi reputano significativi e che usano come segnali ed emblemi di differenza, mentre altri tratti vengono ignorati. Ciò che importa non è quanto siano dissimili i membri nel loro comportamento, ma se dicono di essere A in contrasto con un’altra categoria B, se vogliono essere trattati e giudicati nel loro comportamento come A e non come B, cioè se dichiarano fedeltà alla cultura condivisa degli A. Come afferma Barth (p. 15) il focus critico da questo punto di vista diventa il confine etnico che definisce il gruppo, non gli articoli culturali che racchiude. Oltre a ciò, il confine implica un’accettazione da parte dei membri che si sta giocando allo stesso gioco, mentre la dicotomizzazione di altri come stranieri implica un riconoscimento di limitazioni su comprensione comune e una restrizione d’interazione a settori di comune comprensione e mutuo interesse.
Nei sistemi polietnici o società cosiddette plurali integrate nel mercato sotto il controllo di un sistema statale dominato da un gruppo esistono ampie aree di diversità culturale nei settori di attività domestica e religiosa. Ciò che è articolazione e separazione sul macro-livello corrisponde a sistematiche serie di costrizioni di ruolo a micro-livello. Cioè l’identità etnica implica una serie di costrizioni sul tipo di ruoli che un individuo può giocare e i partner che può scegliere per differenti tipi di transazioni, dal commercio al matrimonio. In questo l’identità etnica è uno status simile a sesso e rango, superordinata alla maggior parte di altri status e definisce le costellazioni di status permissibili o personalità sociali che un individuo con quell’identità può assumere. E’ imperativa, in quanto non può essere trascurata e messa da parte temporaneamente in alcune situazioni sociali definite. Nelle società multietniche le costrizioni al comportamento di una persona che nascono dall’identità etnica tendono ad essere assolute e pervasive, mentre la componente morale e le convenzioni sociali sono rese ancor più resistenti al cambiamento per mezzo dell’aggiunta di gruppi di caratteristiche stereotipate considerate tipiche di una singola identità.
Se questo non spiega come le differenze culturali emergono, spiegano però, fa notare Barth, perchè persitono. In tali società multietniche le sanzioni producono aderenza ai valori specifici di un gruppo, ma queste sanzioni non sono esercitate solo da colori che condividono una data identità, ma anche da quelli esterni a quel gruppo, perpetuando e rafforzando così la standardizzazione dell’interazione e l’emergenza di confini che mantengono e generano diversità etnica all’interno di sostemi sociali più grandi e articolati. I sistemi multietnici complessi si basano su questi meccanismi di generazione e mantenimento dei confini etnici altamente efficaci. Quando questi meccanismi funzionano, i gruppi etnici in una regione possono accettare l’entrata di nuovi gruppi etnci e fare aggiustamenti che rendano stabile e simbiotico il reciproco adattamento. Il settore dell’articolazione tra i gruppi, afferma Barth, fornisce aree che possono essere sfruttate per l’interscambio, mentre altri settori di attività sono ritenuti largamente irrilevanti da i membri dei vari gruppi.
U. Fabietti, Antropologia culturale. L’esperienza e l’interpretazione, Laterza, Roma-Bari,1999.