Da: Cohen, A. Custom and Politics in Urban Africa, Berkeley: University of Californa Press, 1959, pagg. 198-201.
Ebreo di Baghdad, Cohen (1921-2001) migrò in Israele con la famiglia nel 1949, ma dopo la laurea in antropologia andò a insegnare in Inghilterra per tutta la vita, specializzandosi nell’Africa occidentale. Benchè Cohen abbia sempre riconosciuto la sua appartenenza alla cosiddetta e assai influente Scuola di Manchester, egli sviluppò un approccio personale, che rese le sue opere sull’organizzazione sociale informale e il ruolo dell’etnicità e della religione in tali organizzazioni molto influenti sugli studi successivi. All’interno del dibattito tra primordialisti (di cui un esponente è Cifford Geerz) e strumentalisti, Cohen si schiera decisamente per l’approccio strumentalista, che nega il punto di vista primordialista sui legami etnici visti come legami esterni collettivi e costrittivi. L’approccio strumentalista tratta invece l’etnicitò soprattutto come un elemento ad hoc di strategia politica, usato come risorsa da gruppi d’interesse per ottenere degli scopi secondari, come un aumento di ricchezza, potere o status.
L’etnicità contemporanea, scrive Cohen, è il risultato di un’intensa interazione tra gruppi etnici e non il risultato di un intenso separatismo. In sostanza, afferma lo studioso, è l’esatto contrario di quello che afferma la cosiddetta ‘teoria collante del tribalismo’ (the glue theory of tribalism), peraltro teoria cara a giornalisti e opinionisti italiani non solo a proposito dell’Africa, ma anche dei paesi ex sovietici, ma. Guarda caso, non delle spinte etniche in Italia. Questa teoria afferma che durante il periodo coloniale le potenze coloniali agivano come collante nell’appiccicare insieme all’interno del quadro di stati centralizzati nuovi e artificialmente stabiliti, vari gruppi ‘tribali’ e che una volta che il collante è stato rimosso con il ritiro delle potenze coloniali, ogni stato ha cominciato a disintegrarsi e a tornare alle sua parti costituente originarie. Cohen, mentre riconosce che molti stati sono una creazione coloniale, osserva però che durante il periodo coloniale vi è stata un’intensa interazione tra gruppi che ha portato a una notevole integrazione rispetto alla situazione precedente la colonia. Anche se l’Indirect Rule britannica in Africa occidentale ha limitato questa interazione, tuttavia il suo ombrello protettivo ha favorito gli interessi vitali di certi gruppi, mentre ne marginalizzava altri. Al momento della decolonizzazione, I gruppi privilegiati sono stati minacciati dal riposizionamente dei gruppi meno favoriti che aspiravano al potere e hanno reagito a difesa dei propri interessi. Abbiamo visto un fenomeno simile nella serie sui Luba nell’Africa coloniale belga.
Le lotte per la conservazione di una posizione elitaria o per l’ascesa al potere di nuovi gruppi si sviluppa anche attorno alle articolazioni dei nuovi stati attraverso il controllo dei posti di lavoro, dello strumento fiscale, dell’istruzione, dell’occupazione della politica e anche, molto importante, nell’accesso alla gestione degli aiuti internazionali. Contrariamente a quanto le anime belle credono, questi aiuti allo sviluppo, le varie onlus e organismi umanitari, ONU, ecc sono essenziali nel fomentare guerre e disordini, non nel limitarli, nell’aumentarne, non a diminuirne gli effetti, portando negli angoli più sperduti del pianeta l’economia monetaria e il capitalismo, oltre a essere, ovviamente, un business miliardario per chi li gestisce.
Tornando a Cohen, Il processo di mobilitazione scaturito dalla decolonizzazione vede una nuova enfasi posta su parti della cultura tradizionale e questo fatto può dare l’impressione che vi sia un ritorno alla tradizione tribale e al separatismo tribale, quando in realtà nella situazione contemporanea il tribalismo era solo un tipo di raggruppamento politico all’interno della struttura del nuovo stato. Oltre a ciò, aggiunge Cohen, il tribalismo implica una riorganizzazione dinamica delle relazioni e dei costumi e non è affatto il risultato di conservatorismo o continuità culturale, dato che se esiste una certa continuità di usi e formazioni sociali, le loro funzioni sono cambiate.
L’etnicità, scrive Cohen, è essenzialmente un fenomeno politico, dato che gli usi tradizionali sono usati come idioma e come meccanismo di allineamento politico, dato che la gente non uccide perchè ha usi diversi, anche se può scherzarci sopra, ma uccide quando le differenze culturali sono associate a serie fratture politiche. Infine, i gruppi etnici sono essenzialmente informali e non fanno parte della struttura ufficiale del potere politico ed economico all’interno dello stato. Se ne fanno parte, cioè se un raggruppamento etnco è riconosciuto ufficialmente, sia come stato o come regione all’interno di una struttura federale, allora non stiamo più parlando di etnicità, ma di politica nazionale o internazionale. Facendo un parallelo italiano, è la differenza tra sudtirolesi o valdostani, ufficialmente riconosciuti, e quindi non ‘etnici’ e veneti, cui si applica bene l’etichetta etnica come definita da Cohen. “E’ solo quando, all’interno della struttura formale di uno stato nazionale o di una qualsiasi organizzazione formale, un gruppo etnico si organizza informalmente per l’azione politica, che possiamo dire che stiamo trattando di etnicità.”
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