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Etnicità 22. Il caso: I nuovi vichinghi scandinavo-americani

Creato il 24 maggio 2014 da Davide

Parallelamente alla scienza ufficiale esiste una rete di entusiasti che ha creato una storia antica parallela, che rappresenta un esempio notevole di creatività identitaria etnica scandinava americana. «Ero un vichingo antico!/ Le mie gesta, benché molteplici, /niuno scaldo in canzone ha cantato, / niuna saga le insegnò!», così Henry W. Longfellow scriveva nel suo “Lo scheletro in armatura” (1841), sull’onda della sensazione creata dalla “scoperta” di un guerriero vichingo sepolto con l’armatura presso Fall River e pubblicizzata dallo studioso danese Carl Christian Rafn (1795-1864) nella versione inglese delle sue Antiquitates Americanae del 1837, in cui traduceva parti delle saghe di Vinland e le descrizioni di possibili siti e ritrovamenti vichinghi in Nuova Inghilterra.
Da almeno due secoli esiste una specie di guerra tra gli studiosi e gli storici e archeologi dilettanti, che rischia di oscurare qualche vera scoperta, come quella di L’Anse aux Meadows. Gli studiosi professionisti, infatti, hanno continuamente smentito la veridicità di queste scoperte e “studi”, tutti risalenti al XIX secolo e inizio del XX secolo, quando l’archeologia era appena nata e migliaia di immigrati scandinavi si apprestavano a diventare cittadini americani. La frustrazione creata dal mancato riconoscimento del passato “vichingo” dell’America ha favorito il fiorire di una parallela “archeologia fantastica”, secondo la definizione di Williams (1991) e Gilmore-McElroy (1998). Questa “archeologia” continua a ispirare il dibattito e la rivalità con gli italiani, anche se di recente si sono fatti avanti altri aspiranti colonizzatori precolombiani, come gli “egiziani” e i “mori” degli afrocentristi, i cinesi, ecc. Sul sito web dei Minnesota Vikings, per esempio, è dato per scontato che i vichinghi avessero colonizzato il Minnesota, uno stato del Midwest, cioè della fascia centrale degli USA, dove gli immigrati scandinavi sono molto numerosi.
Questa squadra della National Football League nata nel 1961 ha come logo un guerriero dai lunghi capelli biondi e la mascella quadrata, baffi a manubrio ed elmo cornuto. La mascotte sui campi di calcio è rappresentata da un pezzo d’uomo vestito di pelliccia di cuoio, con l’immancabile elmo “vichingo” con le corna bovine e l’ascia da battaglia. Il sito ufficiale spiega che il nome della squadra deriva dagli antichi norvegesi (Norsemen), i guerrieri che colonizzarono il Minnesota. E’ curioso che nella realtà non esista alcun esempio di elmo cornuto, o anche senza corna, proveniente dai siti dell’Età Vichinga. Sembra che questo copricapo, inseparabile dall’icona del guerriero nordico, che ha avuto tanta fortuna nell’immaginario popolare, abbia avuto origine dal pasticcio che fecero tra vichinghi e celti gli antiquari del XIX sec. e i costumisti delle opere di Wagner sugli eroi germani, che peraltro mostrano anche elmi alati, come nel noto fumetto Thor (Orrling 2000:364). Il pirata supervirile è diventato l’icona aggressiva di una squadra sportiva e anche, più tetramente, di certe frange “ariane” americane, ispirate ai simboli del nazionalismo scandinavo e più in generale germanico che sono stati sfruttati anche dal nazismo. Anche se il pirata biondo stupratore di monache e saccheggiatore di villaggi è certo una delle immagini più care agli scandinavo-americani, esiste un altro logo, virile e aggressivo, ma meno compromesso con il lato oscuro dell’Europa e più adatto allo spirito americano della frontiera, della saga del commercio e delle esplorazioni: la lunga nave guidata da Leif il Fortunato e altri eroi maschi e solitari come lui.
L’inizio della creazione dell’immagine vichinga nasce con il nuovo apprezzamento operato dalla Riforma protestante del passato nordico, in alternativa al modello greco-romano e cattolico. Furono rilette le opere di scrittori medievali del XIII sec. come il danese Saxo Grammaticus e l’islandese Snorri Sturluson e di scrittori rinascimentali del XVI sec. come i fratelli Magnus. Nel XVII e XVIII sec. la pubblicazione a stampa diffuse non solo in Scandinavia, ma anche in Europa, queste opere e altre, come le traduzioni latina, francese, inglese e tedesca dell’Edda. Lo scopo era innalzare la considerazione della Scandinavia in Europa, dove però questo passato si combina con la letteratura celtica: l’amore antiquario crea uno stile composito, ben rappresentato dal “meandro dragonesco” che appare ovunque, dalle tazzine da tè ai tessuti, nelle case della borghesia romantica e nazionalista. All’inizio del XIX sec., mentre i contadini inurbati formano nuovi ceti sociali, gli scandinavi cominciano a dividersi e a identificarsi secondo nuove identità: svedesi, norvegesi, danesi, islandesi, finlandesi, aiutati anche dal sorgere dell’archeologia nordica.
Tra il 1850 e il 1875 soltanto emigrarono dalla Svezia, Norvegia e Danimarca negli USA circa 370.000 persone; l’emigrazione finlandese, un po’ più tardi, fu altrettanto imponente, mentre oggi esistono tanti islandesi americani negli USA quanti in Islanda. I loro eredi abitano cittadine come New Sweden, Maine, Moorhead, Minneosta e Walhalla, North Dakota e scolpiscono nel legno a grandezza naturale repliche di chiese “stave” come la copia della Hopperstad Stave Church di Vik, Norvegia, dell’XI sec., appena dopo l’Età Vichinga, regalata all’Hjemkomst Center di Moorhead, Minnesota nel 1998 o quella di Gol, Norvegia allo Scandinavia Heritage Park di Minot, North Dakota dal 1999.

«Questi immigrati portavano con sé un orgoglio nazionalista in un passato nordico. Negli Stati Uniti, quel passato è il perno centrale della loro etnicità nordica; bianchi e protestanti come la cultura anglosassone dominante, gli scandinavi americani confidano nelle loro tradizioni culturali e nel passato vichingo come mezzo per autodefinirsi» (Ward 2000:366).

Un impulso identitario simile spiega come un mulino coloniale e un indiano americano della tribù Narragansett diventarono vichinghi improbabili. Antiquari locali e storici dilettanti della Nuova Inghilterra, non contenti che i Padri Pellegrini fossero sbarcati a Plymouth “soltanto” nel 1620, e disturbati dal fatto che Cristoforo Colombo fosse un mediterraneo cattolico, cercarono radici più antiche per la Nuova Inghilterra e le descrizioni delle saghe sono abbastanza vaghe da permettere voli di fantasia. Così il danese Rafn identificò la Torre di Newport, un mulino fatto costruire nel 1677 dal governatore del Rhode Island, come prova che i vichinghi avevano colonizzato la Narragansett Bay. Il “guerriero in armatura” di Fall River, che tanto aveva impressionato il poeta Longfellow, si rivelò essere un indiano narragansett sepolto alla fine del XVI o all’inizio del XVII secolo con il suo tesoro di pezzi di rame, una merce pregiata tra i nativi, ricavati da pentole europee, che sarebbero le placche della supposta corazza!
Da quel momento in poi le “scoperte” sono avvenute a ritmo continuo, con due epicentri: la Nuova Inghilterra e il Minnesota.

«Le testimonianze della Nuova Inghilterra sono generalmente associate ai viaggi a Vinland dell’XI secolo, mentre quelle del Midwest sono collegate con una supposta spedizione norvegese del 1354 in Groenlandia. Le rivendicazioni della Nuova Inghilterra e delle Province Marittime canadesi sono state associate a letterati, storici dilettanti e società antiquarie; quelle del Midwest sono cominciate con la comunità immigrata svedese» (Wallace-Fitzhugh 2000:378).

Alcune “scoperte”, come le iscrizioni di Dighton, Massachusetts o quelle di Martha’s Vineyard, erano in realtà opera di indiani algonchini locali, altre erano semplici frodi, come le pietre scolpite di Spirit Pond, Maine o i tre martelli di Thor del Connecticut, copiati da una foto di National Geographic priva di scala del 1971, mentre altre fanno parte della ricerca di città mitiche, in questo caso Norumbega. Anche il noto scrittore di fantascienza di origine danese, Frederick J. Pohl, ha pensato di aver scoperto il luogo dove ebbe luogo l’ultima spedizione a Vinland della Saga dei Groenlandesi, quella dei fratelli Helgi e Finnbogi e della terribile Freydis, a Follins Pond, Cape Cod, Massachusetts. In realtà si trattava di un sito del XVIII secolo usato dai pescatori locali. Anche uno storico dilettante ed ex rappresentante al Congresso statale del Massachusetts, l’irlandese americano Robert Ellis Cahill nel suo “Viking and Indian Wars” identifica Cape Cod con Vinland e approfitta per re-inventare a modo suo la saga descrivendo come i due schiavi gaelici di Leif capissero benissimo la lingua parlata da due ragazzi indigeni presi prigionieri:

«Questi non erano indiani, ma bianchi che parlavano gaelico e furono capiti da Haki e Haekia ¼Poi essi rivelarono che erano “governati da due re, Avaladamon e Valdidia, che vestivano abiti bianchi”. Questa descrizione si adatta ai primi monaci irlandesi Culdee, che quando furono costretti a lasciare l’Islanda, possono essere andati in Nova Scotia» (Cahill n.d.:8).

In questo modo Cahill riesce destramente a mostrare come gli irlandesi in realtà fossero giunti in America prima dei Vichinghi!
Forse il reperto più famoso dell’archeologia fantastica vichingo-americana è la Pietra di Kensington, una località presso Alexandria, Minnesota, connessa con la spedizione già citata del 1354 e nata probabilmente nel clima influenzato dal fascino nazionalista per il passato scandinavo, rappresentato da libri popolarissimi come “America Non Scoperta da Colombo” (1874) di Rasmus B. Anderson, professore di lingue scandinave all’Università del Wisconsin. Mentre le Saghe di Vinland, sia in norvegese che in inglese, trovavano ampio spazio nei giornali scandinavo americani, nel 1879 un immigrato svedese, Olof Ohman, giungeva in Minnesota e nel 1891 comprava una fattoria a Kensignton. Intanto, nel 1893 l’interesse per i vichinghi riceveva risonanza nazionale con l’arrivo della Viking di Magnus Anderson, una copia della nave di Gokstad, che aveva attraversato l’Atlantico, provando per la prima volta che i viaggi dei vichinghi erano tecnicamente possibili. Costruita in Norvegia, la Viking entrò nel porto di New York e andò poi, passando per i Grandi Laghi, all’Esposizione Colombiana Mondiale di Chicago dell’estate del 1893, in occasione del quattrocentenario della scoperta di Cristoforo Colombo, come polemico contributo nel padiglione della Norvegia. Da allora parecchie altre repliche hanno solcato l’Atlantico, compresa la Saga Siglar, altro polemico viaggio per il Cinquecentenario del 1992, mentre un’intera flotta vichinga è giunta in America da tutta la Scandinavia come parte del Millennio Vichingo del 2000.
Tornando a Olof Ohman, l’idea che i vichinghi si fossero stabiliti molto a sud, nel Canada meridionale e negli USA orientali e che ci fossero stati viaggi successivi a quelli di Leif Eiriksson e Thorfin Karlsefni, era perfettamente sensata per gli immigrati scandinavi del XIX sec.. Così, mentre cercava di estirpare un albero dal suo campo, Olof scoprì una pietra tabulare insolita, ricoperta di rune, che creò sensazione nei giornali locali e anche in due quotidiani di Chicago. Ispezionata da alcuni specialisti, il testo runico venne dichiarato moderno e Ohman accettò il verdetto senza protestare. A questo punto entrò in gioco un giovane storico dilettante di origine norvegese, Hjalman Holand, che prese la pietra e fece una vigorosa campagna presso la Minnesota Historical Society, lo Smithsonian Institution, per non parlare dei giornali, promuovendo conferenze e pubblicando libri e, infine, riuscendo a vendere la pietra alla Camera di Commercio di Alexandria, tenendosi i soldi. Lo Smithsonian, anche se gli studiosi dichiararono senza appello che la pietra era un falso, la espose per un certo periodo come pezzo di interesse culturale e non fu subito categorica nell’affermare la sua inautenticità, forse per ragioni “politiche”. Quel che è chiaro in tutta la storia è che la pietra fu materialmente scolpita da Ohman con due amici: egli conosceva le rune, un fatto non insolito nella campagna scandinava del XIX sec. e quelle della pietra appartengono alla varietà usata in Dalecarlia, la provincia della madre di Ohman. Secondo uno dei tre burloni, Jonas P. Gran (l’altro era un ex pastore luterano, Sven Fogelblad), l’iscrizione fu ispirata da un articolo di giornale, trovato poi tra le carte di Ohman, a proposito di una pietra antica trovata tra le radici di un albero in Svezia. I tre amici si divertirono molto per il successo della loro burla e la cosa sarebbe finita lì se non fosse intervenuto Holand, che possiamo considerare il padre spirituale della Pietra di Kensington e quello che ci guadagnò sopra.
Oggi la pietra è conservata, insieme ad altri “reperti” vichinghi come amboni di scudo, alabarde, spade, pietre d’attracco e acciarini, nel museo adiacente alla Camera di Commercio di Alexandria, Minnesota, curato dall’amore fervidamente credente degli eredi degli immigrati scandinavi. Di fronte al museo si erge l’immensa e coloratissima statua di un vichingo con l’immancabile elmo cornuto e lo scudo che recita: Alexandria, luogo di nascita dell’America. La scritta runica della pietra afferma:

«Otto goti (svedesi) e ventidue norvegesi in esplorazione da Vinland verso ovest. Ci siamo accampati presso due ripari di roccia una giornata a nord da questa pietra. Stavamo pescando un giorno. Dopo che siamo tornati al campo abbiamo trovato dieci uomini rossi di sangue e morti. Ave Maria salvaci dal male»

e sul lato:

«Ho dieci uomini per mare a badare alle nostre navi, dieci più quattro giorni da questa ricchezza. Anno di Cristo 1362».

Secondo i sostenitori dell’archeologia fantastica, di cui la Pietra di Kensington è un caposaldo, la supposta spedizione norvegese di Paul Knutson verso la Groenlandia continuò fino al Rhode Island, per cercare i norvegesi perduti e riconvertirli al cristianesimo. Di qui risalì nella Baia di Hudson, su per il fiume Nelson fino al lago Winnipeg e giù seguendo il Fiume Rosso fino al Minnesota, dove un attacco degli indiani o una malattia uccise dieci uomini. La debolezza intrinseca di questa tesi è che non ci sono ritrovamenti dal Labrador fino al Minnesota, da un lato (mentre nei siti archeologici autentici canadesi ve ne sono molti), che questi reperti provengono da zone lontane dal mare e che sono state ritrovate troppe armi e nessun oggetto “civile” e personale, a parte gli acciarini, che farebbero pensare a un grosso esercito. Se consideriamo che la spedizione spagnola di De Soto del 1541, che aveva con sé centinaia di uomini d’arme, servi, donne, animali da soma, cavalli da guerra, bestiame e carriaggi di rifornimenti, ha girato gran parte degli Stati Uniti meridionali e ci ha lasciato una cronaca scritta, non ha lasciato dietro di sé che deboli tracce archeologiche, è ben strano che un pugno di scandinavi abbia lasciato tante tracce, anche in luoghi improbabili come l’Oklahoma, privi, a quanto pare, di scopi utilitari visibili che non sia la soddisfazione identitaria dei loro lontani discendenti.
Dopo la “scoperta” della Pietra di Kensington un’ondata di ritrovamenti percorse il Midwest degli USA e il Canada, seguendo la mappa degli stanziamenti di scandinavi: alcuni di questi confusero gli studiosi, perché erano eredità di famiglia portate in America dagli immigrati e sepolte vicino alla nuova casa americana, oppure erano oggetti appartenuti ai commercianti di pellicce e agli esploratori europei dal XVII sec. in poi; altri erano semplici frodi recenti e altri ancora, come le “fortificazioni vichinghe” sul fiume Missouri, erano in realtà resti di villaggi degli indiani Mandan.
Le polemiche e l’incomprensione ostile che dividono accademici e dilettanti entusiasti e frustrati nascondono però il significato reale della Pietra di Kensignton e delle altre “eredità” vichinghe in America , il fatto che rappresentano

«un sacrario alla creatività degli immigrati scandinavi e alla tradizione viva della conoscenza delle rune che portarono con sé nel Nuovo Mondo ¼ un notevole esempio di cultura popolare nordico americana iniziale, ma non ¼ una pietra miliare dell’archeologia americana» (Wallace-Fitzhugh 2000:383-84).

Oggi sappiamo per certo che i vichinghi si fermarono in Canada e che, attraverso le vie commerciali indigene un penny norvegese dell’XI sec. giunse in Maine. In America le genti scandinave, che nel XIX secolo si erano divise in Europa, acquisendo cinque nuove identità nazionali, anche se al loro interno conservano quelle reciproche differenze, si sono però ricomposte in una nuova identità unitaria, quella scandinavo-americana, che ha nei musei folk, nelle associazioni, nei giornali etnici e nell’archeologia, autentica e fantastica, le proprie radici fondanti. E’ in questo ambiente che è nata la religione neo-pagana che riprende il culto degli dei dell’Edda, con associazioni come la Asatru Folk Assembly, che ha contribuito a fermare per anni la restituzione dei resti di 9000 anni fa dell’Uomo di Kennewick agli indiani dello stato di Washington in base al fatto che poteva essere un vichingo, dato che gli scienziati avevano identificato nello scheletro tratti simili a quelli di un bianco.
Il vichingo, come icona dell’intrepido viaggiatore, forte, maschio e indipendente, ha lasciato traccia nell’immaginario popolare americano in generale, soprattutto dopo la scoperta del sito a Terranova, tanto che nel 1966 ha influenzato la scelta del nome della missione per Marte della NASA, Viking, che ha ricevuto un’enorme copertura mediatica quando venne lanciata nel 1976 come il successivo grande passo nell’esplorazione dello spazio. Questo è, probabilmente, il contribuito reale dei vichinghi all’America. Quanto al contributo culturale, l’eterno favore che continuano ad avere il personaggio di Thor e in generale gli dei di Asgard nei fumetti, nel cinema e nelle serie TV americane, testimoniano come il fascino della mitologia nordica importata dagli immigrati scandinavi e nata negli studi degli antiquari ottocenteschi, sia ancora assai vivo e produca notevoli profitti economici.

Bibliografia
Gli articoli di Fitzhugh, W.W.-Ward, E.I., ‘Celebrating the Viking Millennium in America’; Ward, E.I., ‘Reflections on an Icon: Vikings in American Culture’; Wallace, B.L.-Fitzhugh, W.W., ‘Stumbles and Pitfalls in the Search for Viking America’; Hertz, J. ‘The Newport Tower’; in Fitzhugh, W.W. e Ward, E.I. (a cura), Vikings. The North Atlantic Saga, Smithsonian Institution Press, Washington, DC 2000.


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