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Etnicità 6: Chi è indiano e chi non lo è. I criteri del riconoscimento federale negli USA.

Creato il 30 ottobre 2013 da Davide

Prima di fare qualche considerazione sui criteri di appartenenza a un’etnia che è riconoscibile come etnicamente indiana abbastanza da essere riconosciuta come «tribù» dal governo federale e quindi ottenere fondi e servizi dal Bureau of Indian Affairs e da una lunga serie di altre agenzie federali, vale la pena di esporre i Criteri di Riconoscimento Federale (Ministero degli Interni: “Procedure per stabilire che un gruppo Indiano americano esiste come tribù indiana)”, 25 CFR Parte 83) (Schiedermair 1990).
Criterio (a): Una dichiarazione di fatti che stabilisce che il richiedente è identificato dai tempi storici fino al presente su base sostanzialmente continua come indiano americano o aborigeno. Un richiedente non fallirà nel soddisfare qualsiasi criterio qui esposto semplicemente a causa delle fluttuazioni delle attività tribali durante i vari anni … Definizioni: «”Storicamente”, “storico” e “storia” significa datare indietro nel tempo fino ai primi contatti documentati tra la tribù aborigena da cui discendeva il richiedente e cittadini o funzionari degli Stati Uniti, governi coloniali o territoriali o, se importante, cittadini e funzionari di governi stranieri da cui gli Stati Uniti acquisirono territorio» e «”continuativamente” significa che si estende da generazione a generazione per tutta la storia della tribù essenzialmente senza interruzioni».
Criterio (b): «Testimonianza che una sostanziosa porzione del gruppo richiedente abita una specifica area o vive in una comunità vista come indiana americana e distinta da altre popolazioni nell’area e che i suoi membri sono discendenti di una tribù indiana che storicamente abitava una specifica area». Definizione: «”Comunità” o “area specifica” significa qualsiasi gruppo di persone che vive entro una ragionevole prossimità da permettere interazione di gruppo e un mantenimento di relazioni tribali».
 Criterio (c): «Una dichiarazione che stabilisca che il richiedente ha mantenuto influenza politica tribale o altra autorità sui suoi membri come entità autonoma attraverso la storia fino al presente». Definizione: «”Autonomo” significa avere un consiglio tribale separato, un processo interno o altro meccanismo organizzativo che la tribù ha usato come proprio mezzo per prendere decisioni tribali indipendenti dal controllo di qualsiasi altra entità governante indiana. Autonomo deve essere inteso nel contesto della cultura indiana e dell’organizzazione sociale della tribù».
Criterio (d): «Una copia del documento attualmente governante o, in assenza di un documento scritto, una dichiarazione che
descriva in modo completo i criteri di appartenenza e le procedure attraverso le quali il gruppo attualmente governa i suoi affari e i suoi membri».
Criterio (e): «Una lista di tutti gli attuali membri conosciuti del gruppo e una copia di ciascuna lista precedente disponibile dei membri basata sui criteri di appartenenza definiti dalla tribù. L’appartenenza deve consistere di individui che hanno stabilito, usando testimonianze accettabili al Ministro, discendenza da una tribù che esisteva storicamente o da tribù storiche che si sono combinate e hanno funzionato come una singola entità autonoma».
Criterio (f): «L’appartenenza del gruppo richiedente è composta principalmente di persone che non sono membri di altra tribù indiana nordamericana».
Criterio (g): «Il richiedente non è, e non lo sono i suoi membri, soggetto alla legislazione del Congresso che ha espressamente terminato o proibito il rapporto federale».
Dal 1978 in poi i gruppi indiani non riconosciuti hanno la possibilità di fare domanda al BIA per ottenere il riconoscimento federale del loro status come “tribù indiana” , il che non solo darebbe titolo ai servizi del governo degli USA, ma garantirebbe anche una voce maggiore in rapporto a rivendicazioni di terre o controversie sui diritti di caccia e pesca. Per essere riconosciuti gli aspiranti devono soddisfare tutti e sette i criteri, che sono stati messi a punto grazie alla inconsueta collaborazione tra funzionari del BIA, rappresentanti di tribù riconosciute e non riconosciute e il Senate Select Committee on Indian Affairs. Vale la pena di ricordare che l’80-90% dei funzionari del BIA sono peraltro indiani cioè, secondo le direttive dell’ Indian Reorganization Act del 1934 e la legislazione successiva dai tempi di Nixon in poi, grazie alla politica della affirmative action e all’ideologia politically correct, devono avere un minimo di un quarto di sangue.
L’onere della prova spetta al richiedente, così come il costo della produzione di un testo espositivo di più di trecento pagine e migliaia di pagine di documentazione. Questo costo va dai 50.000 ai 150.000 dollari, ma se il riconoscimento è ottenuto il piatto è ricco: servizi federali di cui non usufruiscono gli altri cittadini americani grazie allo status speciale ottenuto, denaro dal processo di rivendicazioni che si mette in moto e altri fondi federali e statali. Se la fortuna sorride alla tribù, come nel caso dei Pequot, sepolti come estinti dalla storia entro il XVII secolo e resuscitati di recente, si può diventare miliardari grazie a uno dei casinò più grandi d’America (Las Vegas e Atlantic City comprese).
La decisione sullo status richiesto dalla petizione del gruppo indiano viene presa dal Branch of Acknowledgement and Research (BAR), composto da un capo settore, due storici, due antropologi culturali e due genealogisti; è il solo settore all’interno dell’Ufficio Centrale del BIA a Washington in cui sono impiegati degli antropologi, che possono anche funzionare come consiglieri pratici o addirittura come ricercatori a nome del gruppo che aspira al riconoscimento. I sette criteri fanno giustizia sia della definizione legale che di quella antropologica di tribù, sottolineandone maggiormente le caratteristiche interne più che quelle esterne. Infatti la sovranità indiana nei rapporti da governo-a-governo in ambito federale si basa sull’esistenza della tribù come entità politicamente indipendente, ma l’idea di tribalismo riflette per lo più una concezione euroamericana imposta agli indiani, che oggi si trovano a fare i conti con premesse inaccurate se non false. In passato il Congresso ha lasciato la definizione di tribù all’esecutivo e ai tribunali o ha incorporato una singola interpretazione di tribù in una legge o in uno statuto da approvare, data la varietà di forme di organizzazione socio-politica tra gli indiani. Perciò era diventato difficile stabilire chi dei richiedenti costituiva una «tribù»; questi nuovi criteri mettono in rilievo la continuità socio-politica di un gruppo e la discendenza genealogica dei suoi membri da una tribù o amalgama di tribù storicamente identificabili. Potrebbe sembrare un criterio di buon senso e tale da accontentare le più comuni definizioni di etnia e anche di nazione, ma non è così.
Bettina Schiedermair presenta i punti di discussione che soprattutto i criteri (a), (b), (c) e (e) hanno suscitato tra gli antropologi. Il criterio (a), che serve a verificare l’identità etnica in un continuum storico, è controverso; l’antropologo Jack Campisi suggerisce che venga considerato un continuum la presenza dimostrata durante due diversi punti nel tempo, mentre Raymond D. Fogelson sostiene che la dissoluzione tribale non è un processo irreversibile né uno stadio di sviluppo o un modello fisso di identificazione che non si possa riguadagnare una volta perso. Inoltre egli osserva che la documentazione su cui si fa affidamento è di solito scritta e che la storia orale dovrebbe essere considerata una fonte supplementare: infatti, le fonti scritte, secondo lui, riproducono una concezione euro-americana di storia. Il problema è che la storia orale in generale non risale a più di due o al massimo tre generazioni all’indietro e fa presto a scivolare nel mito (talvolta aggiustato ad hoc).
Il criterio (b) richiede che una notevole parte di un gruppo viva in una comunità percepita come indiana dai suoi vicini e distinta dalle altre popolazioni della zona. Il richiedente deve, cioè, dimostrare di essere una comunità coesiva, una questione che può essere problematica se si considera l’integrazione relativamente forte della maggioranza dei gruppi non riconosciuti in un ambiente non indiano, il basso tasso di popolazione, combinato con il fatto che questi gruppi non hanno proprietà della terra in comune. Nel Sud degli USA, poi, la presenza di sangue nero nel gruppo ha fatto spesso classificare queste comunità come nere.
Noi possiamo dire che si fa fatica a considerare un gruppo integrato da secoli nel tessuto sociale di una regione e che ha perduto tutte le caratteristiche che lo rendono etnicamente riconoscibile, a parte l’autoidentificazione, che può avvenire all’improvviso e di recente, una «etnia» storica. E’ più probabile che appaia una «nazione inventata», per usare la terminologia di Gellner e Hobsbawm o, come la chiama Anderson, una «comunità immaginata».
Il criterio (c) chiede un esercizio continuo e autonomo di autorità politica sui propri membri da parte del gruppo richiedente. E’ un concetto basato sull’idea di tribù come entità politica separata: ciò richiede un fondamento organizzativo, anche se sono fatte concessioni alle procedure di decisione informale di un gruppo e alle influenze acculturative. Molti gruppi però trovano difficile soddisfare questo criterio, specialmente quelli del Sud degli USA che per secoli sono stati soggetti a una legislazione anti-indiana che ne ha disorganizzato le strutture dell’autorità politica.
Il criterio (e) richiede che il gruppo sottoponga una lista di tutti i membri correnti noti e la prova genealogica che essi sono discendenti in linea diretta da un’entità tribale storica. Il fatto che l’adozione e l’esogamia fossero pratiche comuni tra gli indiani porta a mettere in dubbio, secondo la Schiedermair, l’importanza relativa della discendenza biologica per i membri tribali.
Premesso che il governo federale tiene conto, come ne tenevano conto i governi coloniali, della pratica delle adozioni, se però la madre era una prigioniera bianca, come accadeva, si pongono dei problemi in una identità che poggia in gran parte sul quantum di sangue e perciò su criteri biologici. Un altro aspetto problematico, che si scontra con questo criterio, è che tra le società indiane organizzate bilateralmente la conoscenza dell’ascendenza non va oltre le due o tre generazioni, anche se a quanto pare sono stati soprattutto gli antropologi a mettere in questione questo punto. E’ peraltro un punto importante per proteggere richieste legittime contro l’inflazionata professione di identità indiana attuale da parte dei cosiddetti wannabee (vorrei essere [indiano]). I gruppi indiani non riconosciuti incontrano particolari problemi su questo punto, dato che anche gli stessi indiani dell’Ovest o del Sudovest mettono in dubbio la loro identità.
Secondo Jack Forbes, uno dei primi ideologi nazionalisti indiani (nato in California dove vive e lavora all’Università, un tempo definito rapahannock e attualmente di ascendenze renape, lenape e saponi, tutte tribù della Costa Medio Atlantica) la «conquista delle tribù indiane americane da parte degli Stati Uniti ha teso a privare queste tribù della capacità di assorbire stranieri, come avevano fatto quando erano ancora libere (Forbes evita di dire che ciò veniva attuato, per lo più, razziando e uccidendo la famiglia dei futuri schiavi o degli adottandi e deculturandoli completamente, per ovviare ai problemi demografici, N. d. A.). Poiché le risorse lasciate alle tribù non erano sufficienti per sostenere la propria gente, i gruppi tribali hanno in genere tentato di restringere la «cittadinanza» piuttosto che dare il benvenuto ad esterni che potessero volere assimilarsi in direzione indiana» (Forbes 1969:123)21. Questo è un tipico ragionamento nazionalista che torce la realtà storica a proprio favore. E’ ben nota la presenza di molti bianchi all’interno delle tribù indiane, che avevano sposato donne indigene oppure erano là per lavoro (commercianti, braccianti, agricoltori, artigiani) durante il periodo delle riserve. Questi bianchi spesso si immischiarono nella politica locale: gli squaw men che abitavano presso i sioux crearono molti problemi all’agente indiano e spesso mal consigliarono i capi su molte questioni. In epoca precedente, durante il periodo che preluse alla espulsione delle cosiddette Cinque Tribù Civilizzate verso il Territorio Indiano, molti missionari furono cacciati dal governo federale o statale perché difendevano gli indiani. Quello che Forbes trova però grave è che «il governo federale e certi governi statali hanno assunto l’autorità di definire che cosa è un indiano». Vivendo in California ed essendo lui stesso un mixed blood, un meticcio sia biologico che culturale, Forbes sente molto il problema del riconoscimento etnico secondo «cultura» e, data la grande abbondanza di immigrati dal Messico e dal Centro e Sudamerica, sente come ingiusto che queste persone, spesso biologicamente indiane purosangue o meticci che negli USA sarebbero definiti «indiani» vengano definiti «bianchi con nome spagnolo», (cioè facciano parte di quella nuova categoria etnica americana definita come Hispanics). Egli afferma che «una definizione “culturale” di indianità è piuttosto difficile da applicare finché persone di discendenza tribale statunitense purosangue, che vivono uno stile di vita angloamericano in un ambiente urbano non indiano, sono considerate in pratica come ancora “indiane” (a causa delle loro caratteristiche fisiche, precedente affiliazione tribale, e/o, forse, autoidentificazione come “indiano”)» (Forbes 1969:124). Dato che oltre il 65% degli indiani vive in aree urbane, solo una minoranza vive in riserva.
«Queste persone sono comunemente pensate come «indiani» nella loro zona o pensano a se stessi come “indiani”, ma per vari aspetti sono un gruppo estremamente vario. I gruppi tribali variano, per esempio, da quelli i cui membri sono esclusivamente di ascendenza in parte indiana con poca o nulla eredità culturale pre-europea a quelli i cui membri sono virtualmente tutti sangue puro e la cui cultura è significativamente non europea. Inoltre, molti di tali “indiani” non appartengono, in effetti, a una specifica tribù o comunità indiana, ma appartengono solo a gruppi urbani intertribali, club di interesse indiano o alle categorie generali di popolazioni ibride detribalizzate come i «Mission Indians» della California o i «Lumbee»della North Carolina» (Forbes 1969:125).(segue)

Schiedermair, Bettina, “Federal Acknowledgement”: Anthropological Import and Bureaucratic Application, in European Review of Native American Studies 4:1 1990, pp. 47-50.

Forbes, Jack, Native Americans of California and Nevada. Healdsburg, CA: Naturegraph Publ. 1969.


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