Nel 1670 il re d’Inghilterra concesse all’Hudson’s Bay Company il controllo di tutte le terre i cui fiumi sfociavano nella Baia di Hudson, che divennero note come Rupert’s Land. Quando Montreal cadde in mano agli inglesi nel 1760, ponendo fine alla guerra dei Sette Anni, al termine di un secolo di guerre per il dominio del Nordamerica e la Francia dovette rinunciare al Canada, la resa prevedeva che gli indiani filo-francesi non avrebbero dovuto essere penalizzati né disturbati nei loro possedimenti. Nel 1763 la Proclamazione Reale definiva i confini della nuova provincia del Lower Canada (Quebec) e delle colonie americane e precisava maggiormente i diritti degli indiani. La Proclamazione, in particolare, dichiarava specificatamente l’enorme area tra il Mississippi e i monti Appalachi “territorio indiano” (Indian country), in cui erano assolutamente proibiti acquisti di terre senza speciale permesso della Corona.
Dopo la Rivoluzione americana, la Proclamazione Reale del 1763 cessò di interessare i nuovi rapporti tra indiani e Stati Uniti, ma in Canada aveva istituito il quadro di riferimento per futuri insediamenti in terra indiana. Di qui divenne politica accettata che, mentre il titolo alla massa territoriale del Canada apparteneva alla Corona, gli aborigeni, come sono chiamati gli indigeni o anche Prime Nazioni (First Nations), mantenevano un titolo sottostante a usare e occupare la terra e quindi non si poteva fare alcuna colonizzazione se prima quel titolo aborigeno non fosse stato ceduto nei negoziati tra la Corona e gli occupanti indigeni. Tra il 1763 e il 1800 vennero firmati 24 trattati, la maggior parte dei quali riguardante le fertili terre agricole lungo la riva settentrionale del lago Ontario. All’inizio vennero effettuati pagamenti in denaro, in seguito la Corona decise di istituire delle riserve e di fornire delle annuità e altri benefici in pagamento del titolo ceduto dagli indiani sulle terre occupate.
La caccia commerciale indiana nel Canada orientale ebbe drammatiche conseguenze; sterminato il castoro già alla fine del Settecento, per il 1820 era stato estinto anche l’alce canadese nell’Ontario settentrionale, dove tornerà solo nel 1890. Gli indiani che vivevano di caccia commerciale, spinti sempre più a nord dagli agricoltori, si trovarono a migrare a ovest o a sopravvivere cacciando piccoli animali come martore, topi muschiati e lepri. Nell’Ovest, dove la selvaggina era ancora abbondante, la Hudson’s Bay Company e la North-West Company competevano ferocemente per il commercio indiano, istituendo una serie di forti commerciali che nel 1786 avevano raggiunto il Gran Lago degli Schiavi. Cominciò anche il massacro dei bisonti: indiani come i Piedineri, fieramente contrari alla caccia al castoro per motivi religiosi, entrarono come protagonisti nella caccia al bisonte, di cui vendevano le pelli e da cui producevano il pemmicam , un insaccato di polvere di carne secca e bacche, indispensabile per i cacciatori. Oltre alle tribù indiane, Piedineri, Cree, Assiniboin e Crow, competevano per il bisonte anche i Métis, così per la fine del decennio 1880 le mandrie delle praterie erano state erano state ampiamente sterminate nelle Pianure canadesi e il bisonte dei boschi estinto. Sulla Costa del Pacifico, visitata da commercianti spagnoli, inglesi, russi e americani fin dagli anni 1770, il commercio della lontra marina con la Cina portò alla totale estinzione dell’animale.
L’anno 1830 segna l’inizio del moderno sistema di amministrazione delle tribù canadesi, dato che in quella data cominciò il sistema delle riserve sotto la tutela del governo. Dopo la guerra anglo-americana del 1812 gli indiani non erano più utili come partner militari, quindi il dipartimento che li riguardava passò dai militari ai civili. Lo scopo della nuova amministrazione era di assimilare gli indiani, fino a farli diventare cittadini canadesi come tutti gli altri, anche se vi erano divergenze nei metodi su come raggiungere questo fine. Nel 1844 la Reale Commissione raccomandò vari miglioramenti nell’amministrazione delle terre indiane per impedire che venissero abusivamente occupate da coloni, taglialegna e cacciatori di frodo. Nel 1850 furono decise misure più severe contro l’entrata abusiva e approvate leggi sia nel Lower Canada (Quebec) che nell’Upper Canada (Ontario), che riservavano alcuni territori come riserve e rendevano un crimine entrare o insediarsi nelle terre indiane. Nel decennio 1850 l’interesse per i minerali scoperti lungo le rive del lago Superiore e del lago Huron portò ai trattati Robinson-Huron e Robinson-Superior con gli Ojibwa. Nel 1857 fu approvato un Atto che mirava esplicitamente a inserire le Prime Nazioni aborigene nella vita coloniale complessiva. Il concetto base era l’enfranchisement, l’affrancamento o acquisizione del diritto di voto, per cui ogni maschio indiano oltre i ventuno anni, che sapesse leggere e scrivere in inglese o francese, istruito a livello elementare, di buon carattere morale e privo di debiti, poteva essere dichiarato affrancato, cioè libero da tutela, avente diritto al voto e quindi da “non considerarsi più indiano”, ma un canadese. Per incoraggiare questo fine, agli indiani affrancati sarebbero stati assegnati un titolo di proprietà fino a 20 ettari di terra di riserva, più una somma in denaro uguale alla sua quota di annuità percepita dalla tribù a suo nome. Negli anni 1860 fu approvata tutta una serie di leggi incentivanti la trasformazione degli indiani in cittadini, ma anche leggi di protezione delle riserve dall’alienazione delle terre, contro la vendita di alcolici agli indiani, particolarmente efficaci nell’Ovest, sulla gestione delle scuole indiane e del denaro ricavato dalle terre aborigene. Questa legislazione venne ereditata dal Canada quando ottenne l’indipendenza dall’Inghilterra nel 1867. Nel 1871 la colonia più occidentale, la British Columbia, accettò di aderire alla federazione canadese a patto che venisse costruita una ferrovia transcontinentale entro dieci anni, così quell’anno il Canada cominciò ad acquisire il titolo delle terre da colonizzare per preparare la strada alla ferrovia.
Questa necessità di unificazione geografica diede così origine ai trattati “numerati”, conclusi in rapida successione lungo la cintura fertile di quello che, con l’arrivo dell’agricoltura meccanizzata, diventerà in breve uno dei granai mondiali. Per lo più i trattati, da n. 1 al n. 11 avevano clausole simili, anche se il n. 6 era l’unico a garantire trattamento medico e assistenza in caso di pestilenza o carestia. I trattati cominciarono in Manitoba, continuarono attraverso le Praterie e il Nordovest, poi tornarono indietro in Ontario; in essi gli indiani cercavano protezione dai coloni in luoghi dove poter vivere come nel passato, mentre il governo li considerava mezzi con cui le Prime Nazioni potevano imparare a diventare degli agricoltori e dei cittadini. Per questo e altri motivi i trattati hanno lasciato molte questioni in sospeso, che non sono ancora state risolte.
Nel 1876 il Parlamento canadese approvò il primo Indian Act e fu in questo periodo che venne formulata per la prima volta la distinzione tra Status e non-Status Indians, cioè gli indiani registrati secondo l’Indian Act e quelli non registrati nell’Indian Register, il registro ufficiale che identifica tutti gli Status Indians canadesi. Gli Status Indians hanno certi diritti e benefici non concessi ai non-Status e ai Métis, come benefici per le case in riserva e l’esenzione dalle tasse federali e provinciali in specifiche situazioni. Fin dal 1850 il governo coloniale britannico cominciò a tenere registrazioni allo scopo di identificare gli indiani e la banda a cui appartenevano. Questi registri davano la possibilità agli agenti della Corona di determinare chi aveva diritto a entrare in un trattato o a goderne specifici benefici. Tra il 1851 e il 1951 gli agenti del governo continuarono a mantenere liste di nomi indiani membri di banda. Nel 1951 alcuni emendamenti all’Indian Act ne includevano uno che creava l’Indian Register, cioè il registro centralizzato di tutti gli indiani registrati sotto l’Indian Act, il cui principale requisito era che fossero riconosciuti dal governo come membri di una banda, anche se vi erano altri fattori.
L’Indian Act del 1876 proibiva esplicitamente la vendita, l’alienazione o l’affitto di qualsiasi terreno di riserva, a meno che non fosse prima ceduto o affittato alla Corona. Un emendamento del 1889 dava al governo un controllo ancora maggiore sulle riserve, superando l’eventuale riluttanza che certe Prime Nazioni potessero avere ad affittare la terra al governo federale. L’Indian Act del 1876 forniva anche direttive sulle elezioni dei capi, dando loro un’autorità limitata all’assegnazione delle terre dentro le riserve e la manutenzione delle strade, trasformandoli essenzialmente in agenti del governo federale. Questo sistema uniforme, inoltre, ignorava la notevole diversità delle culture indiane e, in particolare, quelle abituate ai capi ereditari. L’Atto poggiava sul concetto di enfranchisement, anche se pochissimi indiani optarono per esso, così nel 1880 un emendamento decise che qualsiasi aborigeno che ottenesse una laurea automaticamente aveva il diritto di voto e perdeva lo status di indiano.
Nel 1933 un altro emendamento dava al governo il potere di ordinare la cittadinanza ad ogni aborigeno, anche senza sua richiesta. Nonostante da un lato il governo tentasse di “affrancare” le Prime Nazioni e spingerle alla cittadinanza, dall’altro boicottava la propria politica con una ferreo paternalismo che stringeva sempre più lo stato di “tutela minorile” e regolava ogni aspetto dell’esistenza nelle riserve. Un emendamento del 1884, su spinta delle lobbies religiose, bandì la celebrazione del potlatch come festa corrotta e distruttiva; fino al 1951, quando l’emendamento fu annullato, parecchi indiani della British Columbia andarono in prigione a causa dei potlatch vietati. Nel 1927 il governo impose un’altra vergognosa restrizione, in risposta a un’azione legale dei Nisga’a a proposito di un territorio contestato, facendo approvare un emendamento, ora abolito, che proibiva a chiunque di raccogliere denaro presso le Prime Nazioni allo scopo di intentare una causa su terre senza il consenso scritto del Soprintendente Generale agli Affari Indiani.
Nel giugno 1985 il Parlamento canadese approvò una serie di emendamenti noti collettivamente come Bill C-31, che ponevano fine a oltre cento anni di discriminazione dell’Indian Act e si basavano su tre principi. Il primo era l’eliminazione della discriminazione sessuale, per cui le donne indiane che sposavano non indiani e i loro figli non perdevano più lo status di indiani, mentre le donne non indiane che sposavano indiani non potevano più diventare indiane legali e quindi ottenere lo status. In sostanza la donna non seguiva più il marito anche nella razza! Inoltre, le Prime Nazioni potevano assumere il controllo della cittadinanza tribale e deciderne le regole. Finora 204 su 608 Prime Nazioni lo hanno fatto. Terzo, il legislatore restituiva lo status di indiano a chi lo aveva perduto a causa della legislazione precedente, oltre alle donne che avevano sposato non indiani e i loro figli, persone che avevano rinunciato allo status per poter votare alle elezioni federali o erano stati involontariamente affrancati a causa degli studi o per via del servizio militare o l’appartenenza al clero e ai loro figli. Oltre centomila nomi di non-Status Indians sono così stati aggiunti al Registro federale, ma molte bande tribali non vogliono questi nuovi cittadini, temendo nuovi competitori economici e, soprattutto, politici. Nel 1988 il governo approvò altri emendamenti, noti collettivamente come il Kamloops Amendment o Bill C-115, che permetteva alle Prime Nazioni di imporre tasse di proprietà su terre di riserva destinate all’affitto.
Quando fu stipulato il “rimpatrio” costituzionale dall’Inghilterra, i leader aborigeni ebbero un ruolo importante nei negoziati che portarono all’approvazione del Constitution Act del 1982, in cui, per la prima volta, il Canada otteneva una costituzione formale approvata dal Parlamento canadese. Attraverso gli sforzi dei leader delle Prime Nazioni l’Atto conteneva sezioni che riconoscevano i diritti aborigeni e per trattato esistenti degli indiani Inuit e Métis. Per questo motivo gli aborigeni canadesi sono all’interno della Costituzione canadese, mentre gli indiani degli USA sono al di fuori della Costituzione americana. Dopo il Constitution Act del 1982 ci sono stati molti tentativi di definire i diritti aborigeni e per trattato all’interno della Costituzione. Il più noto è il Charlottetown Accord del 1992, che includeva una clausola che riconosceva il diritto inerente aborigeno all’autogoverno. La questione aborigena è però influenzata negativamente dalla questione del Quebec e per questo motivo, oltre che per le divisioni interne al movimento aborigeno, come vedremo, l’Accordo fu respinto da un referendum.
Nel 1995 il governo lanciò un processo negoziale per giungere all’autogoverno delle Prime Nazioni, basato sul punto di vista che il diritto inerente all’autogoverno aborigeno già esiste all’interno della Costituzione. All’interno di questo processo negoziale, che dovrebbe rendere le Prime Nazioni un terzo grado di governo, sono coinvolti i governi delle province e dei Territori, che rappresentano interessi divergenti. Prima del 1995, comunque, il governo federale aveva negoziato degli accordi di autogoverno in congiunzioni ad accordi su questioni fondiarie: il Sechelt Indian Band Self-Government Act nella British Columbia, il Cree-Naskapi (of Quebec) Act e lo Yukon Self-Government Act. Le Prime Nazioni da tempo pensano che le clausole dell’Indian Act sulla gestione della terra indiana diano troppo potere e autorità ai funzionari del governo, impedendo lo sviluppo delle risorse nel senso voluto dagli aborigeni. Durante il 1994-1995, quindi, un gruppo di tredici Prime Nazioni svilupparono un sistema di gestione terriera che dà loro la gestione delle terre e delle risorse. Lo proposero al Ministero degli Affari Indiani e Sviluppo del Nord (DIAND) e nel febbraio 1996 il Ministero e le tredici Nazioni firmarono il Framework Agreement on First Nation Land Management (Accordo quadro sulla gestione fondiaria aborigena), come accordo-da-governo-a-governo.
Nel dicembre 1994 in Manitoba le Prime Nazioni e il governo federale furono d’accordo nello smantellare l’ufficio regionale del DIAND, un’idea nata nell’Assembly of Manitoba Chiefs, L’accordo prevedeva l’assunzione delle attività prima svolte dal DIAND e altri ministeri federali da parte aborigena a un passo deciso dalle Prime Nazioni (Manitoba Dismantling Framework Agreement). Nel 1995 il DIAND ha anche chiesto alle Prime Nazioni e alle organizzazioni aborigene di proporre emendamenti che eliminino sezioni considerate intrusive e offensive dell’Indian Act. In seguito alla crisi di Oka (o del Campo da golf) in Quebec nel 1990, il governo aveva promesso di rispondere ai leader aborigeni sul ruolo delle Prime Nazioni nel Canada contemporaneo e, nel 1991, istituì la Commissione Reale sui Popoli Aborigeni (RCAP), per esaminare le problematiche aborigene. La Commissione era presieduta da George Erasmus, ex Capo Nazionale dell’organizzazione indiana Assembly of First Nations e dall’Honourable René Dussaul, Capo della Corte d’Appello del Quebec. La Commissione tenne 178 giorni di udienze pubbliche in 96 comunità, consultò dozzine di esperti e commissionò più di 300 inchieste, finché pubblicò il suo Rapporto Finale nel novembre 1996. Il Rapporto fa 440 raccomandazioni che coprono un’ampia gamma di problemi aborigeni e propone un’agenda di vent’anni per sviluppare una nuova relazione tra aborigeni e non aborigeni. (segue)