“Etologia dell’interazione” di Goffman e l’Etoanalisi

Creato il 07 gennaio 2011 da Bruno Corino @CorinoBruno


Ho appena finito di leggere un saggio di Adam Kendon: L’approccio di Goffman all’interazione faccia a faccia (chi ha tempo e voglia lo può facilmente reperire su Internet), e ho trovato degli stimoli interessanti. Ho scoperto che anche Goffman tentava di fare dell’ordine dell’interazione «un campo di studio a sé». Secondo Kendon, ne’ Il comportamento pubblico c’è il chiaro tentativo «di giustificare lo studio dell’interazione come una branca della sociologia indipendente». Ne’ Il rituale dell’interazione, il sociologo americano scriveva: «Io parto dal presupposto che l’oggetto dello studio dell’interazione non debba essere l’individuo, ma piuttosto le relazioni sintattiche esistenti tra gli atti di persone che vengono a trovarsi a contatto diretto». Nelle Relazioni in pubblico Goffman nota che alcuni studiosi, in particolare alcuni linguisti ed etologi, erano impegnati in un’impresa parallela alla sua, e suggerisce di chiamare quest’area “Etologia dell’interazione”. Sino alla fine della sua carriera, secondo Kendon, Goffman dà l’impressione di tentare di stabilire qualcosa di completamente nuovo. Ne’ L’ordine sociale (1998), uno dei suoi ultimi scritti, discute ancora il posto che l’ordine dell’interazione occupa nella sociologia. Insomma, chi ha avuto modo di leggere alcuni miei scritti ispirati a questo tema, potrà trovare molteplici affinità tra il progetto di Goffman di tracciare un nuovo campo di analisi e la mia Etoanalisi. Tuttavia, al di là delle evidenti affinità, dovute anche e soprattutto a delle comuni fonti di pensiero (Simmel, Mead, Bateson), rilevo che esistono delle divergenze fondamentali tra i due approcci all’interazione, che potrei sintetizzare in quattro o cinque punti. In primo luogo, noto un’assenza descrittiva degli ambiti interazionali, vale a dire mancano la definizione dei limiti della relazione, limiti che segnano il dominio entro il quale gli agenti possono interagire. Ho sfiorato questo problema nello scritto Goffman: l’interazione focalizzata. Se non vengono tracciati dei limiti all’interno di ciascuna relazione tali da essere riconoscibili dagli agenti che vi partecipano, non è possibile neanche osservare (come osservatore esterno all’interazione) un tipo di interazione differente da un altro, e quindi non è possibile neanche stabilire come una qualsiasi relazione possa nel tempo essere modificata sino a far emergere relazioni nuove. In secondo luogo, noto un’assenza sulla modalità in cui il “potere” si distribuisce all’interno di ciascuna relazione. Nello scritto Distacco e coinvolgimento ho tentato di differenziare il piano della “aspettativa sociale” dal piano della specifica “modalità interattiva”: mentre nel primo ad “agire” è la pressione sociale, nella seconda, invece, è la “pressione del Sé”. Fin quando si interagisce sotto la pressione sociale è possibile mantenere un certo distacco. Invece, quando si esercita una qualsiasi pressione “personale” il coinvolgimento del Sé diventa inevitabile. Per me il tema del potere all’interno di una relazione diventa un punto centrale per capire come si sviluppano le dinamiche interazionali tra gli agenti. Non può essere un elemento trascurabile quando si vuole effettivamente comprendere le dinamiche del comportamento interattivo tra gli agenti, perché è qui che hanno luogo i conflitti, i contrasti, i tentativi di manipolazione o di suggestione. Il tema del potere è legato infatti all’affermazione del sé sul sé altrui. A questo punto si comprende come anche lo stesso “Sé” non possa essere inteso come un’entità “mentalistica”, come un qualcosa di cui si ha coscienza a livello mentale o percettivo. Il Sé si definisce soltanto in rapporto all’altro, altrimenti possiamo confinarlo all’ambito della coscienza, cioè se nell’interpretazione del sé viene a mancare la relazione con l’altro, allora non vedo alcuna differenza tra il Sé e il concetto di autocoscienza. Voglio dire che una qualsiasi percezione del Sé si ha soltanto ci si rapporta a qualcos’altro. Per concludere potrei scrivere che: la definizione di relazione, di ambito interattivo, di potere, di affermazione del Sé, la definizione del Sé, nonché il concetto di pressione esercitata sul Sé, ecc, sono i capisaldi che stanno alla base dell’Etoanalisi. Senza questa costellazione di concetti è impossibile arrivare a tracciare una disciplina che sia completamente autonoma ed autosufficiente.


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