A rigor di norma, il racconto dell’inquietante e insoluto mistero della scomparsa nel nulla del più brillante dei sette ragazzi di via Panisperna, non è, certamente, una storia di cultura salentina; meridionale lo è senza dubbio, ma non salentina… Tuttavia, ci sono tre “elementi logici” che mi hanno spinto a scrivere queste righe ed a proporle ai lettori di “Cultura Salentina”:
- 1. Il primo elemento è strettamente personale e riguarda, fatte le debite proporzioni e sgombrando il campo da qualsiasi idea di narcisismo patologico o di proiezione freudiana, una certa affinità tra la sofferenza psicologica di Ettore Majorana e quella che personalmente sto vivendo da qualche tempo in qua per l’incapacità di riuscire a portare a compimento e realizzazione alcune idee di revisione sostanziale dei processi assistenziali: ma la mia insulsa vicenda, in fondo, a chi volete che importi? Avete perfettamente ragione: vi chiedo scusa e passo agli altri due, più importanti, elementi.
- 2. Il parallelismo della vicenda di Ettore Majorana con quella di un grande matematico salentino, Ennio De Giorgi, i cui studi ed, in particolare la soluzione del XIX problema di Hilbert (1957), posero le basi per lo sviluppo di una ricerca innovativa in molti settori dello scibile umano, ma senza mai il riscontro del riconoscimento del giusto merito e dei dovuti onori al nostro grande conterraneo… Non a caso, il valore delle scoperte di Ennio De Giorgi fu pubblicamente riconosciuto dal premio Nobel per l’economia John Nash, noto per aver ispirato il best seller “The Beautiful Mind”. Nel ricevere l’ambito premio nel 1994, Nash dichiarò, infatti, di essere riuscito a formulare la sua “Teoria dei Giochi” proprio grazie al lavoro di Ennio De Giorgi.
- 3. La scomparsa di Ettore Majorana, probabilmente il più grande genio di tutti i tempi nel campo della fisica, potrebbe aver avuto a che fare con i (tanti) suoi dubbi sull’energia nucleare e la causa della sua morte, forse non auto-indotta, fu invece la sua “feroce” avversione verso una ricerca finalizzata (anche) alla costruzione di una terribile e devastante arma di distruzione di massa… E allora, in questi giorni di dolore cosmico, in cui è stato dimostrato, ancora una volta (e stavolta non nella derelitta Ucraina, ma in un Paese dalla tecnologia avanzatissima), il rischio assolutamente non sostenibile legato all’uso sia pur pacifico dell’energia atomica, ho scritto di getto queste righe, affinché possano leggerle coloro i quali insistono nell’affermare dogmi improponibili, fino ad individuare (e c’è, fra costoro, una agguerritissima conterranea di Majorana) nella penisola salentina due potenziali siti ritenuti idonei ad ospitare una centrale nucleare…
Lascio ai lettori ampia libertà di commenti e riflessioni.
Ettore Maiorana, il genio misantropo
Quella di Ettore Majorana è la storia di un giovanissimo e brillantissimo scienziato che sparì nel nulla. E che ci fa chiedere: esiste una terza dimensione, oltre alla vita e alla morte?
“Al mondo ci sono varie categorie di scienziati; gente di secondo e terzo rango, che fanno del loro meglio ma non vanno lontano. C’è però anche gente di primissimo rango, che arriva a fare scoperte di grande importanza, fondamentali per lo sviluppo della scienza. Infine, ci sono anche i geni come Galileo e Newton. Ebbene Ettore era uno di quelli. Majorana aveva quel che nessun altro al mondo ha. Sfortunatamente gli mancava quel che è invece comune trovare negli altri uomini: il semplice buon senso” (Enrico Fermi).
“Bastano comuni artifici di laboratorio per preparare una catena comunque complessa e vistosa di fenomeni che sia comandata dalla disintegrazione accidentale di un solo atomo radioattivo. Non vi è nulla dal punto di vista strettamente scientifico che impedisca di considerare come plausibile che all’origine degli avvenimenti umani possa trovarsi un fatto vitale ed egualmente semplice, invisibile e imprevedibile”.
Questo è il racconto sintetico dell’esistenza inquieta e solitaria di un genio, dilaniato da un’intensa sofferenza psicologica e tormentato dall’atroce e tremendo dubbio delle possibili implicazioni ad uso bellico delle scoperte scientifiche in campo atomico.
L’esistenza breve di una mente brillante, capace di avere in pugno il mondo intero, di risolvere in pochi istanti problemi di complessità estrema con il solo aiuto del calcolo mentale: un autentico genio, insomma, per dirla come il suo grande maestro Enrico Fermi. Andiamo a conoscerlo…
Nell’eterna manichea dicotomia tra l’essere e il non essere, tra la vita e la morte, Ettore Majorana trovò forse una terza via e così il 26 marzo 1938 sparì nel nulla, lasciando il mondo intero sospeso nell’incertezza…
L’esistenza di un’anima inquieta, ancor oggi avvolta nel mistero, quasi protetta dalla densa, aspra e grigia cortina delle tante, innumerevoli sigarette, delle quali usava l’involucro per eseguir calcoli di incredibile difficoltà. Una figura unica, difficilmente inquadrabile in uno schema fisso: da un lato, il giovane ricercatore impertinente, capace di criticare persino i suoi docenti; dall’altro, il fratello premuroso, che aiutava la sorellina Maria nei compiti di matematica e le insegnava i nomi delle stelle. In una parola, l’altra faccia dello scienziato: l’uomo!
Laura Fermi così lo descrive: “Ettore Majorana aveva un carattere davvero strano: era eccessivamente timido e chiuso in sé. La mattina, nell’andare in tram all’Istituto, si metteva a pensare con la fronte accigliata. Gli veniva in mente un’idea nuova, o la soluzione di un problema difficile, o la spiegazione di certi risultati sperimentali che erano sembrati incomprensibili: si frugava le tasche, ne estraeva una matita e un pacchetto di sigarette su cui scarabocchiava formule complicate. Sceso dal tram se ne andava tutto assorto, col capo chino e un gran ciuffo di capelli neri e scarruffati spioventi sugli occhi. Arrivato all’Istituto cercava di Fermi o di Rasetti e, pacchetto di sigarette alla mano, spiegava la sua idea”.
Ettore Majorana era nato a Catania il 5 agosto 1906, in via Etnea 251, dal valente e poliedrico ingegnere, fisico e matematico Fabio Massimo Majorana e dalla rigida e autoritaria Dorina Corso. Penultimo di 5 fratelli, Ettore aveva manifestato una spiccata e precocissima attitudine per la matematica, svolgendo a memoria e in pochissimi istanti calcoli assai complicati fin dall’età di 5 anni.
Ragazzo incredibilmente introverso, timido e schivo, fino a sembrare persino pigro, Ettore era pervaso da una misantropia radicata, che lo portava ad isolarsi completamente, non appena possibile; inoltre, aveva un carattere perennemente ombroso e spigoloso.
Nemmeno la sua carriera universitaria fu del tutto lineare. Dopo un approccio con ingegneria, passò alla facoltà di fisica, su suggerimento dell’amico Emilio Segrè e del giovanissimo docente Enrico Fermi, che ne aveva intuito le straordinarie qualità e che lo accolse come allievo prediletto; proprio il Fermi fu il relatore della sua tesi di laurea sulla teoria quantistica dei nuclei radioattivi, discutendo la quale Majorana ottenne la laurea in fisica con il massimo dei voti il 6 luglio 1929.
Emilio Segrè riuscì a convincere Majorana a trasferirsi alla facoltà di Fisica, facendogli conoscere il giovane e brillante professor Enrico Fermi. Questo è il resoconto che Edoardo Amaldi fa di quell’incontro: “Egli venne all’Istituto di via Panisperna e fu accompagnato da Segrè nello studio di Fermi, nel quale si trovava anche Rasetti. Fu in quella occasione che lo vidi per la prima volta. Da lontano appariva smilzo, con un’andatura timida, quasi incerta; da vicino si notavano i capelli nerissimi, la carnagione scura, le gote lievemente scavate, gli occhi vivacissimi e scintillanti: nell’insieme, l’aspetto di un saraceno”.
A quel tempo Fermi lavorava al modello statistico dell’atomo che prese in seguito il nome di Thomas-Fermi. Il discorso con Majorana cadde subito sulle ricerche in corso all’Istituto e Fermi espose rapidamente le linee generali del modello, mostrando al suo allievo gli estratti dei suoi recenti lavori sull’argomento ed, in particolare, la tabella in cui erano raccolti i valori numerici del cosiddetto potenziale universale di Fermi. Majorana ascoltò con interesse e, dopo aver chiesto alcuni chiarimenti, se ne andò senza manifestare i suoi pensieri e le sue intenzioni.
Il giorno dopo, nella tarda mattinata, Majorana si presentò all’Istituto, entrò diretto nello studio di Fermi e gli chiese, senza alcun preambolo, di vedere la tabella che gli era stata posta sotto gli occhi per pochissimi istanti il giorno prima. Avutala in mano, estrasse di tasca un foglio con un’analoga tabella da lui calcolata a casa nelle ultime ventiquattro ore; poi confrontò le due tabelle e, constatato che erano in pieno accordo fra loro, si complimentò con uno stupefatto Fermi per l’esattezza dei suoi calcoli e se ne andò soddisfatto dall’Istituto; in effetti, il Majorana era tornato non già per verificare se andava bene la tabella da lui calcolata in poche ore, bensì per controllare se fosse esatta quella fatta da Fermi in svariati mesi di lavoro! Il sorriso di Majorana stava a significare che si era convinto di poter cambiare corso di laurea da ingegneria a fisica e la sua convinzione lo portò ad una scelta, come al solito, immediata.
Le sue straordinarie capacità, apprezzate da Enrico Fermi al punto da paragonarlo ai più grandi geni della storia, lo fecero presto inserire nel ristrettissimo gruppo dei cosiddetti “Ragazzi di via Panisperna”, fortemente voluto da Orso Mario Corbino, direttore dell’istituto di Fisica, senatore e ministro della pubblica istruzione, per mettere insieme le più brillanti giovani menti nel campo della fisica e della chimica…
Il fenomenale e leggendario gruppo dei “Ragazzi di via Panisperna” era formato da Enrico Fermi, Oscar D’Agostino, Emilio Segrè, Edoardo Amaldi, Franco Rasetti, Bruno Pontecorvo ed Ettore Majorana, ma in realtà il “saraceno” partecipò solo ai lavori di interesse teorico, mantenendo fede alla sua natura solitaria.
I Ragazzi di via Panisperna è anche un film del 1988, per la regia di Gianni Amelio. Film colmo di rimandi impliciti (non a caso i “ragazzi” si chiamano soltanto con il nome proprio – Enrico, Ettore, Franco, Emilio, Edoardo), il nucleo della messa in scena è nel bel rapporto di Ettore (Majorana), ribelle genio della matematica, con il fisico Enrico (Fermi), in cui cerca un padre ideale e/o un fratello maggiore.
Majorana era una persona dotata di un’intelligenza esplosiva, che gli consentiva di formulare in brevissimo tempo le diagnosi più complicate, ma anche di un carattere sempre molto diretto e frontale, che lo portava a chiosare, con innocente ironia, lo stupore di molti colleghi di fronte alla difficoltà nell’interpretazione dei fenomeni; in particolare, Majorana non esitò a commentare, con ironico stupore, la sorpresa dei coniugi Juliot-Curie di fronte all’eccezionale produzione di energia ottenuta bombardando campioni di boro e di berillio con particelle α o elioni (nuclei di elio), altamente ionizzanti e con un basso potere di penetrazione dovuto all’elevata velocità e sezione d’urto; infatti, quando seppe dell’esperimento dei coniugi francesi, Majorana esplose in una fragorosa risata, esclamando: “Che stupidi, si sono visti passare sotto il naso il neutrone e non se ne sono accorti!”. Subito dopo, però, analizzando l’esperimento dei due coniugi francesi, Majorana tornò serio e commentò con grande preoccupazione le possibili catastrofiche conseguenze della fissione nucleare…
Ma chi fu, veramente, Ettore Majorana?
L’essere umano, da sempre in bilico tra ordine e disordine, è la copia vivente di una delle più importanti (e, insieme, delle più inquietanti) divinità latina, quel Giano bifronte, simbolo dell’ambivalenza universale, che contempla insieme il bene e il male, il giorno e la notte, la guerra e la pace…
Majorana fu, probabilmente, uno degli esempi più eclatanti di questa che definiremo “dualità pitagorica”, piuttosto che “dualismo manicheo”: una doppia valenza, che ha bisogno di essere studiata in profondità, per farla uscire dall’oscurità e per renderla comprensibile nella sua interezza…
Premesso che tutti concordano sul suo indiscusso genio, chi era, in realtà, Ettore Majorana? Solo uno strano miscuglio tra uno scostante misantropo e un irritante spaccone, che godeva a beffarsi degli scienziati più accreditati, oppure solo un timido ragazzo del Sud, costituzionalmente incapace di legare con gli altri?
Era davvero quello squallido sostenitore della necessità storica della rivoluzione nazional-socialista che aveva fatto indispettire Fermi e Segrè, o non, piuttosto, l’esatto contrario, visti i contenuti della lettera spedita il 7 giugno 1933 all’amico Giovanni Gentile jr., nella quale parla di sciocca ideologia della razza?
Era uno spirito arido ed asociale, assolutamente incapace di stabilire solidi legami relazionali con l’esterno, ad eccezione delle sue inseparabili sigarette, o un timido e tenero sognatore, segretamente e perdutamente innamorato della sua giovane e bellissima allieva salernitana Gilda Senatore?
Era un uomo affetto da grave depressione che aveva davvero deciso di suicidarsi, al punto da respingere al mittente tutta la corrispondenza, scrivendoci di proprio pugno “Si respinge per morte del destinatario!”, oppure un simpatico burlone, che prendeva in giro persino il grande Niels Bohr, che definì umoristicamente “Il maggior ispiratore della fisica moderna, oggi un po’ invecchiato e sensibilmente rimbambito”?
Era, infine, un gelido e gretto uomo di scienza in grado di elaborare solo aridi calcoli e sterili teorie, oppure, al contrario, un animo buono e una persona timorata di Dio, capace di contestare e di contrastare aspramente persino i suoi amici di via Panisperna, poiché riteneva che le loro ricerche sull’atomo stessero portando l’umanità ad un passo dalla costruzione di una terribile arma di distruzione di massa?
Sulle tracce di Ettore Majorana scomparso nel nulla…
All’inizio della primavera del 1938, si verificò la scomparsa nel nulla di un’anima complessa ed inquieta, che già nel 1927 scriveva all’amico G. Piqué queste frasi tanto ermetiche quanto inquietanti: “Ma benché vasto ed insondabile sia il mare del mio disprezzo per tutto il mondo sublunare non è senza giubilo che mi appresto a varcare la soglia della rinomata saletta in via Montecatini, né senza trepidazione berrò il calice amaro, sino all’ultima goccia”.
Ettore Majorana ha attraversato la fisica teorica rapido e fugace come una meteora, però di incomparabile lucentezza. I lavori a lui ascrivibili sono soltanto nove, tutti prodotti tra il 1928 ed il 1933, più lo scritto postumo curato da G. Gentile Jr. su “Il valore delle leggi statistiche in fisica e nelle scienze sociali”. A causa della sua straordinaria funzione di faro e di nocchiero per l’innovazione nella ricerca, la sua misteriosa scomparsa nel nulla lasciò un vuoto incolmabile in campo scientifico ed accelerò la fine del gruppo dei ragazzi di via Panisperna.
Figura complessa e misteriosa nella vita, Majorana non si smentisce neppure nella sua scomparsa nel nulla, nei confronti della quale sono nate 7 principali ipotesi (7 come i componenti del gruppo dei ragazzi di via Panisperna e 7 come i lati del poligono più instabile e misterioso): il suicidio in mare (ipotesi accreditata da due lettere scritte, nei giorni immediatamente precedenti la scomparsa, all’amico Carrelli ed ai familiari, ma smentita seccamente da un telegramma), la fuga esule in Argentina, la fuga in Germania, il delitto di Stato, il ritiro in convento, la sordida congiura dei colleghi, la vita da eccentrico clochard a Mazara del Vallo…
- 1. Ipotesi n. 1, il suicidio in mare: resta l’ipotesi più accreditata, a causa di due lettere scritte nei giorni precedenti la scomparsa, rispettivamente all’amico Carrelli e ai familiari; nella seconda, il suo terribile disegno appare chiaro: “Ho un solo desiderio: che non vi vestiate di nero. Se volete inchinarvi all’uso, portate pure, ma per non più di tre giorni, qualche segno di lutto. Dopo ricordatemi, se potete, nei vostri cuori e perdonatemi”. Il 26 marzo, però, Carrelli ricevette da Majorana un telegramma in cui gli diceva di non preoccuparsi di quanto scritto nella lettera che gli aveva inviato in precedenza. L’ipotesi del suicidio è smentita, inoltre, dal fatto che è inverosimile che un aspirante suicida si faccia il passaporto e corra in banca a prelevare una somma ingente, pari all’ammontare delle prime mensilità di stipendio; infine, talune testimonianze lo portano avvistato a Napoli giorni dopo la scomparsa.
- 2. Ipotesi n. 2, la fuga da esule in Argentina: è la prima delle tante ipotesi di fuga tutte degne del miglior Mattia Pascal “Chissà quanti sono come me, nelle mie stesse condizioni, fratelli miei. Si lascia il cappello e la giacca, con una lettera in tasca, sul parapetto d’un ponte, su un fiume; e poi, invece di buttarsi giù, si va via tranquillamente: in America o altrove”. Ed è proprio in America, nella splendida Buenos Aires, che lo studioso Erasmo Recami scopre numerose tracce della sua probabile presenza, soprattutto nel periodo degli anni sessanta… la presenza di Majorana in Argentina è legata a varie testimonianza. La madre di Tullio Magliotti disse che il figlio le aveva parlato di esserne diventato amico; la moglie di Carlos Rivera raccontò di un cameriere dell’Hotel Continental che parlava di un tale con le caratteristiche di Majorana che prendeva appunti sull’involucro di un pacchetto di sigarette… in una conversazione con amici a Taormina nel 1974, la signora Blanca de Mora, vedova dello scrittore guatemalteco Asturias, dice: “Ma come mai vi ponete dei problemi su Majorana? A Buenos Aires lo conoscevamo in tanti: fino a che vi ho vissuto, lo incontravo a volte in casa delle sorelle Manzoni, discendenti del grande romanziere”. Recami annota: “La signora Blanca Asturias era stata a Buenos Aires fino ai primi anni 60. Le sorelle Eleonora (matematica) e Lilò (letterata) Cometta-Manzoni, pare discendenti del grande scrittore, vi tenevano un salotto culturale: Ettore era un amico di Eleonora”.
- 3. Ipotesi n. 3, la fuga in Germania e la bomba tedesca: questa ipotesi è una delle meno accreditate in termini di fonti e di testimonianze e si basa sul fantasioso assunto di un Majorana tornato in Germania (dopo un prima permanenza a Lipsia) per mettere a disposizione del regime nazional-socialista le sue conoscenze e le sue intuizioni, al fine di facilitare la costruzione di una terribile arma di distruzione di massa.
- 4. Ipotesi n. 4, il delitto di Stato: neanche questa ipotesi gode di grande credito storico e si fonda solo sull’assunto, peraltro di significato opposto rispetto al precedente, che il giovane Majorana sarebbe stato eliminato a causa del suo totale e deciso dissenso non tanto contro l’energia nucleare in sé, quanto contro un certo tipo di ricerca scientifica (oggi la definiremmo “non sostenibile”), fortemente proiettata verso la costruzione di una terribile arma di distruzione di massa.
- 5. Ipotesi n. 5, il ritiro spirituale in comunità monastica: questa ipotesi è stata fortemente caldeggiata da Leonardo Sciascia, che nel suo libro “La scomparsa di Majorana” assume che egli si sarebbe rinchiuso in un monastero, per sfuggire all’odiata vita sociale nonché alla presenza opprimente della madre. Su questa pista si erano già indirizzate le ricerche dei familiari, che avevano scritto a Papa Pacelli (Pio XII), promettendo di non voler affatto interferire sulle scelte eventualmente maturate da Ettore, ma di voler sapere dal Vaticano soltanto se egli fosse vivo: ma nessuna risposta, di alcun segno, venne mai fornita.
- 6. Ipotesi n. 6, la sordida cospirazione dei colleghi: nel 1999 lo storico Umberto Bartocci avanzò l’ipotesi che Majorana potesse essere stato vittima di un piano maturato nell’ambiente dei fisici da lui frequentato, teso ad eliminare un pericoloso rivale in vista dell’imminente conflitto mondiale. Le argomentazioni di Bartocci, di tipo logico, psicologico e indiziario, sono state accolte da grande scetticismo (se non con assoluta ripugnanza) nell’ambiente dei fisici, ma hanno anche attirato l’attenzione di un gran numero di studiosi (storici e non).
- 7. Ipotesi n. 7, la vita da barbone errante per le strade della Sicilia: un clochard, tale Tommaso Lipari, detto l’omu cani, vagava per le strade di Mazara del Vallo, dove trovò la morte il 9 luglio 1973. Era uno strano tipo di barbone, dotato di una straordinaria conoscenza delle materie scientifiche tale da fargli risolvere i compiti degli scolari che incontrava. Un abitante del paese, Armando Romeo, disse che il Lipari gli aveva mostrato una cicatrice sulla mano destra, tipica del Majorana; inoltre usava un bastone con incisa la data del 5 agosto 1906, ovvero la data di nascita del fisico.
La scomparsa misteriosa di un uomo misterioso, in una ridda di ipotesi estreme, persino bipolari… Ma esiste una logica più semplice?
Don Tonino Bello ci viene in aiuto con le sue riflessioni sull’incapacità di con-dividere le sofferenze altrui, perché il muro di incomunicabilità che ci separa dagli altri deforma la realtà fino a non farci cogliere le disperate richieste d’aiuto di chi soffre… “La condivisione – dice don Tonino – è avere occhi aperti per accorgersi dei poveri e dei sofferenti; non so se ricordate ‘Il muro’ di Sartre o ‘Il mito di Sisifo’ di Camus”…
Il Muro ci parla di storture interpretative e ipocrisie sociali. È la storia di un commesso viaggiatore che gira per lavoro da una città all’altra; quando arriva la sera in una città nuova, va a dormire in un albergo, poi il giorno dopo riprende a viaggiare. Una sera arriva in una grande città, si reca in un albergo e chiede una camera. È un uomo triste, perché dalla vita non ha avuto nulla; è solo, senza moglie, senza figli, senza affetti… Ormai del tutto abulico, attende solo la fine…
A un certo punto, mentre, chinato sul bancone della reception, sta per fornire la carta di identità, arriva una coppia di giovani sposi felici e sorridenti… Si vede che si tratta di sposi freschi, perché sono vestiti tutti e due in jeans, si scambiano sorrisi e coccole in continuazione e si trascinano dietro a fatica un’enorme valigia… Anche loro chiedono una stanza per dormire.
L’albergatore ritira i documenti e consegna loro le rispettive chiavi. All’anziano commesso viaggiatore, che nel frattempo non si stanca di contemplare quei due giovani felici, consegna la chiave n. 23; ai due sposi la n. 24… Se ne vanno a dormire. Il commesso viaggiatore non riesce a chiuder occhio, si gira e si rigira nel letto, prima di tutto per il caldo, poi perché pensa in continuazione alla sua sorte così triste e malinconica ed infine perché, in effetti, al di là della parete, si ode un gran rumore di sedie, di pianto, di lamenti…
Alla sua fantasia accesa non è difficile immaginare quale grande festa d’amore si stia celebrando al di là della parete… Poi riesce, finalmente, a prender sonno, ma per poco tempo, perché è svegliato di soprassalto da un gran via vai nel corridoio, un clamore in tutto l’albergo. Allora si alza, apre la porta, tira fuori il capo e ad una domestica che passa chiede cosa sia successo. La donna gli risponde con un gesto come per dire: “Lascia stare, possibile che tu non ti sia accorto di nulla?” e se ne scappa via…
Subito dopo passa un secondo cameriere e chiede anche a lui cosa fosse successo. “Come, ma davvero non sa niente? È morto un uomo stanotte, qui nell’albergo, nella camera n. 24. C’era un vecchio, si è sentito male nella notte e non è riuscito a chiedere aiuto, ha cercato di muovere un tavolino, si è lamentato, ha pianto, abbiamo visto il lume per terra, sedie rovesciate… Quel poveretto ha fatto di tutto per far giungere i segnali della sua sofferenza, ma non gli è riuscito a farli intendere a nessuno ed è morto”.
“Un vecchio? Dove?”.
“Qui accanto, nella stanza n. 24″.
“Ma non c’era una coppia di sposi?”
Il cameriere “Sì, alla n. 24, ma del piano di sopra!”…
La conclusione, nell’amarezza dell’esistenzialismo francese dell’epoca, è che quando vogliamo giudicare una persona in genere ci sbagliamo sempre di un piano; pensiamo che nella stanza accanto ci sia una festa d’amore e invece c’è un uomo che sta morendo. Così anche noi spesso passiamo davanti alla gente, la vediamo sorridere, ma ci sbagliamo di un piano, perché ci fidiamo delle apparenze, ma non comunichiamo…
È vero – commenta don Tonino – che si tratta di un tipo di letteratura sorta in un ambiente particolare, quando anche nel cinema andava di moda l’incomunicabilità… Come non pensare alla canzone di Modugno “L’uomo in frac”: il vecchio che cammina lungo il fiume e saluta tutti quanti, dice addio alla vita, vestito con il frac, un candido gilè, un papillon di seta blu e dice addio al mondo… Al mattino, sul pelo dell’acqua si vedono galleggiare un cilindro, un fiore e un frac… Un uomo che ha finito di vivere perché non ha trovato la possibilità di comunicare con nessuno…
Indipendentemente dalle ipotesi, di certo anche Ettore Majorana fu vittima dell’incomunicabilità umana… Un genio triste e solitario… Un uomo alla ricerca di una ragione per vivere, che la vita (e la gente) gli negarono sempre… Forse solo la profondità degli abissi, o una terra straniera, o la ritrovata serenità dello spirito nella quiete della solitudine monastica o una vita libera e libertaria da eccentrico nomade errante tra le polverose contrade dell’amata sua terra natia riuscirono, forse, a fargli compagnia…
Bibliografia
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