Uscendo da Firenze per la Porta Romana, cioè per la porta che guarda verso Roma, in capo a pochi passi, a sinistra, si incontra il Viale di Poggio Imperiale. L'animazione che regna nei pressi di Porta Romana non mi dà agio di osservare le cose troppo minutamente: è giorno di mercato. I mercanti girovaghi offrono ai campagnuoli, in baracconi improvvisati, chi utensili per l'uso domestico, chi cappelli o scarpe, e chi arnesi agricoli; i campagnuoli dal canto loro sfoggiano una quantità di gabbie popolate di cardellini, di canarini, e particolarmente di una specie di civette, piuttosto piccole, di cui invano cerco indovinare i meriti nascosti. Questi sventurati prigionieri si contano a migliaia: chi avrebbe mai supposto nei Fiorentini una tal passione per l'ornitologia ?
L' ingresso al viale è ornato di statue che gli danno un aspetto monumentale. A destra s'erge la lupa che allatta i futuri fondatori di Roma, a sinistra un leone, dalla zampa fieramente posata sopra un globo; un po' più lungi - quando feci la mia gita nel 1883 c'erano ancora - le quattro statue provenienti dall'antica facciata del Duomo.
Sin dai primi passi la via comincia a salire. E' un magnifico viale, ombreggiato da un doppio e qualche volta triplo giro d'alberi secolari: cipressi, querce e castagni. Ad una certa altezza, i cipressi dominano e danno al viale un carattere di severità e di grandezza straordinaria. A destra ed a sinistra degli splendidi punti di vista: qui, San Miniato, a qualche distanza dalla Torre del Gallo; e più in là le ville, letteralmente seminate sui fianchi delle colline. Queste note bianche o giallastre, gettate su questo paesaggio così vario , lo riscaldano, l'animano o temperano la sua fierezza con una squisita dolcezza.
Il viale sbocca direttamente sulla spianata, in fondo a cui sorge il palazzo di Poggio Imperiale, colla sua tinta gialla verdastra, e le sue persiane grigie. I pressi dell'edifizio, per l'addietro protetti da una cinta di muri, sono oggi aperti da tutti i lati. Solo due statue. Giove che fulmina i Titani ed Ercole che regge il globo, indicano il luogo dell'antica porta d'ingresso. Più innanzi si stende un muricciolo, alto cinquanta centimetri al più, e due prati. Il palazzo, giacchè il nome di villa non risponderebbe che molto imperfettamente al gruppo di fabbriche, che si spiegano innanzi a noi, ricorda per la sua pesantezza lo stile del primo Impero, anziché quello del Rinascimento.
La via che comincia alla sinistra del palazzo passa dapprima innanzi ad una caserma di cavalleria; poi, sotto i nomi di Via del Pian dei Giullari, Via Vincenzo Viviani, ecc., essa continua, con un dolce pendio, in mezzo a basse mura, così da non togliere la visuale, verso le colline coronate da un monumento storico, la Torre del Gallo.
Siamo in piena campagna; solo di tanto in tanto si scorge un gruppo di case. Dopo un quarto d'ora di cammino si giunge ad un piccolo villaggio, situato sopra una specie di piattaforma, da cui uno stretto sentiero conduce in pochi minuti alla Torre del Gallo o di Galileo, e alla villa Galletti. Si passa sotto un portico moderno ornato d'un'iscrizione, in lettere gotiche, e d'un gallo scolpito, allusione al nome del proprietario, erudito insigne. Questo capriccio archeologico colpirà peraltro meno del disordine veramente pittoresco del giardino posto più lungi, colle sue piante destinate ad uso domestico che sorgono accanto ai fiori brillanti e alle siepi di lauro.
Qualche passo ancora, e ci troviamo dinanzi ad una specie di castello medievale, fiancheggiato da una torre imponente. Questo edifizio ebbe la sua parte nella storia tanto agitata della Repubblica fiorentina; ma esso ci interessa molto più pel ricordo di Galileo, che lo scelse per teatro delle sue osservazioni, e per la splendida vista ch'esso ci offre sui dintorni di Firenze.
La corte interna colle sue colonne che sostengono arcate, e coi suoi scudi dipinti o scolpiti, ha un aspetto piuttosto superbo; malgrado i restauri, intrapresi nel 1877 dal suo proprietario, il conte Paolo Galletti, non si può a meno di riconoscervi l'immagine di quei castelli fiorentini del medio evo, in cui la preoccupazione della difesa la vinceva su quella delle comodità.
Frattanto il custode m'introduce in una sala, altra volta occupata da Galileo, e recentemente trasformata in museo. Le pareti sono ornate di quadri, d'incisioni, di fotografìe, che si collegano al grande toscano: ritratti, facsimili d' autografi e diverse reliquie. Non si può che approvare il pio zelo che fece rivivere in questo luogo appartato il ricordo delle scoperte, per le quali Firenze acquistò dei sacrosanti diritti alla riconoscenza dell' umanità.
Una scala di legno conduce sulla sommità della torre. Dalla sua merlata piattaforma lo sguardo spazia senza ostacolo su un vasto orizzonte. La Torre del Gallo è completamente isolata, e il vantaggio della sua posizione non dovette essere senza influenza nella scelta fattane da Galileo. Montagne, valli, colline, chiese, ville si stendono a noi dinanzi, formando un panorama abbagliante.
Ma il vento che infuria su quest'altura, ove nessun ostacolo lo trattiene, non tarda a dare un altro corso alle mie idee: esso annuncia l'avvicinarsi d'una bufera; non c'è un istante da perdere se ci tengo ad essere di ritorno in città prima eh' essa scoppi. Mi metto la via tra le gambe, e giungo in piazza della Signoria a mezzogiorno in punto, tre ore dopo averla lasciata.
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