Le creazioni di Arnolfo del Cambio, il Duomo, come il Palazzo Vecchio , colpiscono tanto per le loro dimensioni, quanto per la scienza architettonica che vi risplende. Esse si presentano a noi circondate da tale aureola di celebrità, da tanti ricordi storici, da non pensare affatto a sottometterli ad una analisi severa, quanto allo stile.
Chi avrebbe il coraggio di criticare il gigantesco palazzo della piazza della Signoria, colla sua grandiosa facciata nuda e severa, col suo campanile vertiginoso, oppure, per parlare con H. Taine, "quell' enorme quadrato di pietra, forato da rare finestre a trifoglio, munito d'un grand'orlo di merli sporgenti, con un'alta torre simile, vera cittadella domestica, buona per la lotta e per la parata, che si difende davvicino e si annuncia da lontano, insomma un' armatura chiusa, sormontata da un cimiero visibile".
Avviene del Palazzo Vecchio , come di molte altre opere , nella cui ammirazione fummo educati: il criticarle sembrerebbe quasi un rinunciare a delle care illusioni, un diminuire il nostro patrimonio intellettuale, un rimpicciolire noi stessi.
Lungo tempo prima di Arnolfo il ricordo degli Etruschi riempiva l'immaginazione e lusingava l'orgoglio dei Toscani, dei Fiorentini in ispecial modo, che si compiacevano opporre ai Romani gli antenati da cui pretendevano discendere ed a rivendicare un'antichità infinitamente più remota. Le mura gigantesche di Fiesole, la città madre da cui usciva Firenze, figlia poco riconoscente, queste mura che ancor oggi colpiscono per la loro grandiosità, come per la loro irregolarità, furono i modelli che i rinnovatori dell'architettura fiorentina si tennero onorati d'imitare.
Questo patriottismo sui generis brilla per la prima volta con certezza nel Palazzo Vecchio di Firenze. Da allora in poi gli artisti ne usarono ed abusarono.
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( Eugenio Müntz, brano tratto da "Firenze e la Toscana", Fratelli Treves Editori, 1899 )Categories Tags