Eugenio Müntz, Firenze – San Marco

Da Paolorossi

Il convento di San Marco non ha il carattere monumentale di quelli della Vernia, d'Assisi, di Montecassino. Situato in una pianura, nell'interno d'una città, sarebbe stato difficile dargli l'aspetto d'una fortezza. Tutto vi respira la grazia più della potenza; per cui non fu difficile mutarlo in un museo : non si trattava che di render accessibili al pubblico i capolavori di cui 1′ ha popolato Fra Angelico. Nove anni della vita del pio domenicano scorsero tra queste mura, e per nove anni il suo pennello non cessò un istante di lavorare.

Dell'edificio, sebbene ne sia fondatore un mecenate quale Cosimo dei Medici, architetto ne sia stato un maestro del valore di Michelozzo, dirò brevemente : claustri, sale e cappelle ci offrono la forma leggiera e graziosa a cui ci abituò il Primo Rinascimento. Nulla di severo, nè d'ascetico; era la vera dimora conveniente a dei frati pii ed attivi, destinati a vivere, non già in un deserto, ma nel mezzo d'una vasta città affaccendata. La devozione e il raccoglimento non dovevano tuttavia perdervi i loro diritti. San Marco vanta innanzi alla posterità due nomi celebri, un grande artista ed un riformatore candido e violento ad un tempo, quali il Beato Angelico e Frate Girolamo Savonarola. Ambedue hanno onorato l'Ordine dei Domenicani, l'Ordine dei Frati Predicatori, col loro talento e le loro virtù, ma se il primo ha adornato quelle pareti d'immagini tenere e mistiche, di visioni paradisiache, il secondo v'ha lasciato dei ricordi tragici, poiché sotto il velo dell'umiltà egli nascondeva un orgoglio immensurabile, considerandosi un vaso d'elezione, il giusto tra i giusti.

Non starò qui a ricordare i suoi principii, la sua ostilità contro i Medici, che avevano costrutto il convento che lo ospitava, i suoi attacchi contro i costumi dei suoi concittadini, e contro la corte di Roma, il suo contegno rispetto a Carlo VIII di Francia, la sua deplorevole fine; sono tutti ricordi famigliari a coloro che hanno soltanto sfogliato la storia della Repubblica fiorentina.

Il convento di San Marco non si rialzò più dopo il colpo ricevuto; la sua storia, altrettanto breve quanto brillante, termina colla morte del Savonarola. Visto di cattivo occhio dai Medici del secolo XVI, che vi indovinavano un sordo rancore, non fece più che vegetare. Un viaggiatore della fine del XVII secolo, Misson, ci mostra i monaci intenti alla composizione dei balsami e dei profumi: "Ce ne siamo fatti una provvista presso di loro, aggiunge il Misson, ed ebbimo spesso il piacere di aggirarci nei loro claustri e nei loro giardini ove tutto è profumo in tale stagione; ove non si respira che effluvii di cedri e gelsomini!". Come siamo lontani dal Savonarola e da Frate Angelico!

Soppresso nel 1866 come convento, San Marco fu riunito alla direzione dei Musei fiorentini; bastò lasciarlo tale e quale per farne un santuario dell'arte.

Qui nessuna barriera tra il mondo esterno e la vita contemplativa, che presupponga qualsiasi clausura. Appena varcata la soglia, ci ritroviamo nel chiostro principale, detto di Sant'Antonino; un semplice muro lo separa dalla piazza San Marco. Si fa sentire il canto soave del Beato Angelico; qui , sopra una porta , egli ha dipinto san Domenico, a mezzo corpo, col libro della regola e la disciplina; altrove san Domenico ai piedi della croce, o Cristo in abito da pellegrino. Un delizioso lembo di giardino, con rosai, mirti, trifogli e varie erbe alla rinfusa, corrisponde alle nobili creazioni del mistico pennello.

Il chiostro di Sant'Antonino comunica direttamente, o per mezzo di vestiboli, colla sala capitolare, il gran refettorio e il piccolo refettorio. La sala capitolare deve la sua fama ad un affresco del Beato Angelico, certo la composizione più monumentale fra quelle del pio pittore domenicano: la Crocifissione. Egli ha riunito agli attori e agli spettatori di questo gran dramma tutti coloro che il fervore della fede mise in qualche modo a contatto col martire del Golgota: san Domenico, san Francesco e parecchi altri santi dimostrano la loro venerazione, il loro dolore cogli atteggiamenti ed i gesti più varii e commossi.

Continuando la nostra esplorazione , noi penetriamo nel gran refettorio per mezzo d'un vestibolo affatto nudo. Come il refettorio grande, anche il piccolo non ha altro ornamento che un affresco, firmato però con nome celebre: la Cena, di D. Ghirlandaio.

Al primo piano del convento stanno tre vasti corridoi, dei quali due hanno ai lati una fila di celle: una quarantina in tutto. Queste sono a volta, e ciascuna di esse forma un'abitazione a parte; ma un soffitto di legno le ricopre tutte come sotto un'egida comune. Trattasi di stanze anguste (cinque passi di lunghezza per quattro di larghezza).

La luce che vi penetra da una piccola finestra centinata non serve che a tradirne la nudità. Unico ornamento, ma un gioiello inestimabile, alcuni affreschi di Fra Angelico, come il Cristo in croce.

L'estremità del secondo corridoio è occupata da tre celle che servirono di dimora al Savonarola. La divozione dei posteri v'accumulò le reliquie del martire: libri che gli appartennero, un rosario, delle stoffe, ecc. Come opere d'arte, delle Madonne, abbastanza grossolane, dipinte ad affresco da Fra Bartolomeo, e un bassorilievo moderno (1873) rappresentante Savonarola che predica.

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( Eugenio Müntz, brano tratto da "Firenze e la Toscana", Fratelli Treves Editori, 1899 )

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