L'indomani, dopo essermi riposato dalle mie fatiche in un morbido letto, ove avrebbe potuto comodamente stare un'intera famiglia, intraprendo tosto l'esplorazione di Pienza antica e moderna.
M'affretto ad aggiungere che non ci vuole molto ad attraversare la città nella sua lunghezza, nè per farne il giro. Eppure la popolazione, secondo le statistiche, comprende 3423 anime, evidentemente calcolando i comuni suburbani. Malgrado la meschinità del luogo, e la modicità delle risorse, il municipio fa ogni sforzo per mantenere a Pienza il suo carattere di capoluogo di diocesi, e per innalzarla al grado di città.
Ovunque si trovano delle prove della sua sollecitudine; ogni piazza, ogni via ha il suo nome distinto, tracciato in grossi caratteri (come la via del Bacio), ed ogni casa porta il numero. Allorché i numeri si seguono internamente per un gruppo di case, gli edili hanno avuto cura d'indicarlo con un'iscrizione: "Segue la numerazione". Menzioniamo inoltre, ad onore di questo municipio modello, l' illuminazione a petrolio delle vie principali.
Pienza, come ogni città italiana che si rispetti, possiede la sua via chiamata Corso ; questa via lastricata, ma ben poco ampia, contiene i principali monumenti pubblici, e i negozi migliori; essa mette capo, dal lato opposto a Buonconvento, alla Porta del Giglio, fiancheggiata da due grosse torri, oggi rovinate. Ricorderò il Municipio moderno, la Cassa di Risparmio, il Seminario con un chiostro fra il XVI e il XVII secolo, la chiesetta di San Francesco, 1′ ufficio della Posta, il Palazzo Piccolomini, il Duomo, il Palazzo dei Canonici, il Vescovado, e finalmente il Tribunale (Palazzo Pretorio), l'antico Municipio della città.
Due farmacie - è noto che l'Italia ne possiede più d'ogni altra nazione - e un fabbricato che serve di caffè e di drogheria nello stesso tempo, completano la fisionomia del Corso.
Oggi, ch'è domenica, alcuni negozianti di foraggi, e numerosi contadini vi conferiscono un' animazione particolare. Si osservano specialmente i gruppi che si formano attorno ai piatti omerici, esposti innanzi alle porte: dei maiali interi trapassati dallo spiedo ed arrostiti al forno. Questo succulento spettacolo seduce i bravi contadini ; se ne fanno dare delle immense porzioni, a cui danno l'assalto seduta stante.
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Prima dei lavori intrapresi da Pio II (1458-1464), celebre tra gli umanisti sotto il nome d' Enea Silvio Piccolomini, Pienza si chiamava Corsignano, e non era che un meschino villaggio. In memoria del rifugio trovatovi dalla sua famiglia, originaria di Siena, durante l'esilio (egli stesso vi era nato in quell'epoca), Pio II decise di trasformare quel villaggio in una città, a cui avrebbe imposto il suo nome.
L'edificazione d'un duomo, d'un vescovado, d'un palazzo municipale, d'un palazzo pontificale, favori e immunità innumerevoli, operarono la trasformazione nello spazio, relativamente breve, di quattro anni. Prendendo esempio dal loro maestro, i cardinali rivaleggiarono d'ardore per completare la sua opera ; i palazzi costruiti da parecchi dei suoi ministri o favoriti, fanno oggi ancora una bella figura. Alcuni edilizi anteriori a tali lavori, fra cui la chiesa di San Francesco, dimostrano tutta l'importanza del mutamento.
Non si saprebbe immaginare nulla di più umile di questa chiesa, colla sua unica porta incorniciata da due colonnette, e sormontata da un agnello pasquale, d'un lavoro povero e rozzo.
La fondazione principale del papa fu il gigantesco palazzo che conservò il nome e rimase proprietà dei Piccolomini. Nei suoi Commentarii Pio II diede di questo monumento una descrizione di cui giova fare un po' d'analisi ai miei lettori, prima di varcare la soglia della dimora signorile.
Era il 1462: il papa arrivò a Pienza nel cuor della notte; malgrado la sua impazienza egli dovette rimettere all'indomani l'ispezione dei lavori del palazzo. Sempre in piedi, sin dalla prima ora, egli ebbe la soddisfazione di vedere che le sue istruzioni erano state fedelmente eseguite ; risulta infatti dai suoi Commentarii ch'egli aveva elaborato, sin nei minimi dettagli, il progetto di cui affidò l' esecuzione ad un architetto e scultore fiorentino celebre, Bernardo Rossellino.
Il palazzo, ci dice il papa, è quadrato; ha novanta piedi d'altezza; i muri misurano ovunque almeno quattro piedi di spessore; essi sono costrutti in pietre da taglio , accuratamente levigate, con una incanalatura agli orli. Poi Pio II ci dimostra con quale sollecitudine egli si fosse occupato di procurarsi tutte le comodità, ed il lusso. All'esterno, agli angoli fra le finestre brillava lo stemma dei Piccolomini: d'argento, croce azzurra con cinque mezzelune dorate; più in basso, vedevansi anelli di ferro, destinati a sostenere le fiaccole e gli stendardi, e che ancora esistono. I soffitti erano dipinti e dorati; ogni stanza aveva il suo caminetto, utile precauzione in paese di montagna.
Più lungi, il fondatore del palazzo insiste sulla varietà e la bellezza della vista di cui si gode da ogni parte: dal lato d'occidente lo sguardo si stende sino al di là di Siena, essa non è limitata che dalle Alpi di Pistoia. Dal lato di settentrione, un seguito di colline boscose forma il più ridente quadro, per la lunghezza di cinque miglia; con un certo sforzo si scoprono gli Appennini, e Cortona, appollaiata sulla cima d'una montagna, presso al lago Trasimeno. Verso oriente la vista è meno estesa: si distingue tuttavia Poliziano, e le montagne che separano la regione della China da quella d'Orcia.
Al mezzodì, infine, dai tre piani della loggia esposta al sole, lo sguardo abbraccia il Monte Amiata, notevole per la sua altezza e per le sue foreste; la Val d'Orcia, colle sue verdeggianti praterie, le colline coperte di cereali e di vigneti , ville e castelli, bagni detti d'Avignone, il monte Pesio più alto del monte Radicofano, finalmente la nebbiosa culla del sole.
Il palazzo Piccolomini si compone d'un pian terreno molto alto, e di due piani illuminati da sette finestre (di cui parecchie son oggi murate) sulla facciata, ed otto ai lati.
Le finestre del pian terreno sono rettangolari, e provviste di grosse inferriate; quelle dei due piani superiori, sono bifore; questa disposizione, unitamente ai pilastri che separano le finestre, ricorda vivamente il palazzo Rucellai di Firenze, costrutto dal maestro di Rossellino, il sommo Leon Battista Alberti. Un gradino di pietra, simile a quello del palazzo Strozzi, destinato agli stanchi viandanti, o ai poveri, gira tutto all'intorno.
Ovunque brillano le mezzelune dei Piccolomini. Tre porte, una sulla facciata, due laterali danno accesso all'interno. Il cuore si stringe nell'entrare in questo nobile palazzo, degno riscontro, ma in più ampie proporzioni, al palazzo dei Medici in Firenze.
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