Ora che tale posizione fosse esorcizzata dai centri ideologici del capitalismo finanziario e – a catena – dalle forze che in qualche modo vi gravitavano era ovvio: l’euro oltre che una moneta priva di senso in un’Europa senza un unità politica reale, senza prospettive di raggiungerla in termini di anni, ma semmai di molti decenni e dalle economie distantissime tra di loro, era lo strumento attraverso il quale si poteva realizzare il vecchio sogno di colpire la democrazia e “ridurre” gli stati in quanto fonte dei diritti e della legittimità. Non c’era nemmeno bisogno di macerarsi, lo dicevano apertamente, molti economisti liberisti come si può constatare qui e qui. Certo la resa entusiastica del Pd ai diktat della Bce non faceva sperare nella resistenza di un’area magmatica ormai votata al centrismo eterodiretto, ma si poteva supporre che la sinistra radicale o comunque meno ambigua, assieme agli intellettuali di riferimento, si schierasse a favore di una uscita coordinata e morbida dall’euro senza farsi confondere da catastrofismi di maniera o da possibili analogie con forze diverse subito definite populiste dal regime mediatico e/o appartenenti alla cosiddetta destra di popolo, il cui fine ultimo era di uscire dalla contraddizione monetaria non certo per superare gli assetti di potere interni, ma per rinnovare l’adesione a vecchi modelli identitari garanti del’ordine costituito.
Invece è successo proprio questo: la sinistra sparsa si è fatta scippare un tema che le era proprio, arzigogolando attorno al tema dell’internazionalismo e perdendo così l’occasione di essere incisiva, annegando infine nei rivoli non sempre limpidi della lista Tsipras i cui esiti paradossali sono sotto gli occhi di tutti. Solo adesso che la realtà si presenta con i suoi stivali di ferro, le cose stanno cambiando e l’ “insostenibilità dell’euro” è paventata persino da Stefano Fassina, cioè da uno degli stakanovisti dell’europeismo di maniera e dell’austerità. Lo stesso Micromega dove molti mali di pancia erano stati ben presto circoscritti e presi al guinzaglio, faro della lista alla greca pro euro, ora pubblica con grande rilievo un’intervista di Russo Spena all’economista Emiliano Brancaccio (qui), in cui la questione della moneta unica è affrontata di petto con la raccomandazione alla sinistra di non nascondersi più dietro un dito e di prendere atto delle cose.
E’ del tutto evidente che ormai la questione non può più essere tamponata e a pensar male direi, che l’evidente dissoluzione europea, lo scontro aperto tra centro e periferia, stia precipitando le cose con relativo e tardivo riposizionamento. Ma temo che per la galassia della sinistra cosiddetta radicale e anche per gran parte di quella antagonista, sia ormai troppo tardi per farsi avanti come protagonista della battaglia e per riprendersi una primogenitura naturale, così sventatamente ceduta quando era il momento. O trova la forza di ricostruirsi ex novo o al massimo potrà fare resistenza sugli spalti di un’uscita dall’euro organizzata tutta a destra o di una permanenza nella cattitvità della moneta unica a trazione reazionaria, con un renzusconismo che si va attrezzando per entrambe le ipotesi. Con un futuro dietro le spalle.