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“Euro”: storia e futuro dell’unione monetaria europea

Creato il 31 gennaio 2012 da Wally26

FonteISPI

Premessa

Due anni di vertici, piani di salvataggio e misure senza precedenti non sono ancora stati sufficienti a far uscire l’Eurozona dalla crisi. L’ultimo summit ha cercato di rappresentare un punto di svolta imponendo rigore, di rilievo costituzionale, alle politiche di bilancio dei paesi membri e prevedendo stretti meccanismi di coordinamento a livello europeo. L’Europa – con la significativa esclusione di Gran Bretagna e Repubblica Ceca – segue dunque la ‘ricetta tedesca’ per ristabilire piena credibilità dei paesi dell’Eurozona a livello internazionale. Decisioni che non mancheranno di avere un grosso impatto sull’Italia nei prossimi anni. Rimangono comunque ancora molte incognite in merito al salvataggio dei paesi più in difficoltà, a partire da Grecia e Portogallo, e alle effettive misure che saranno intraprese per rilanciare la crescita e combattere la disoccupazione, a partire da quella giovanile.

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L’INTERESSE ITALIANO.
QUALI OPZIONI DI POLITICA ECONOMICA PER L’ITALIA?

L’interesse dell’Italia per il buon esito degli sviluppi legati sia alla riforma dell’intera governance economica mondiale che, in particolare, per quella dell’Unione europea è evidentemente elevatissimo. D’altra parte, il contributo del nostro paese al loro successo può essere determinante. Questo aspetto si comprende subito se si pensa al rapporto Italia-mondo come mediato dall’UE: è allora ovvio che se l’Italia crea più problemi di quanti ne contribuisca a risolvere in sede europea, quest’ultima può soffrirne fino a soffocare, mentre un’Italia disciplinata e trainante nel perseguire l’interesse collettivo dell’Unione ha un ruolo naturale nella leadership comunitaria che dal suo contributo può ottenere molto in termini di incisività e concrete realizzazioni.

Infatti, prima di abituarci a pensare al nostro paese come ad uno dei “deboli” d’Europa, uno di quelli che sono da aiutare, da correggere e aggiustare, da convincere e attirare negli indirizzi unitari, è bene che ricordiamo che le dimensioni dell’Italia, ormai quasi irrilevanti nel mondo, sono determinanti in Europa. Ciò è evidente in senso negativo: basti pensare al fatto che la crisi finanziaria dell’area dell’euro ha minacciato di divenire travolgente solo quando l’Italia è passata nel gruppo dei paesi in pericolo, sia nella visione dei mercati che nelle analisi della Commissione.  In senso positivo c’è la lunga tradizione di uomini e di idee italiani nella costruzione europea ed è immediato prevedere come si rafforzerebbe e rasserenerebbe l’attuale fragile e nervosa regìa franco-tedesca se anche il terzo grande paese dell’area dell’euro fosse chiaramente nel gruppo dei leader forti anziché in quello di chi deve ricevere i rimbrotti della disciplina comunitaria e ha bisogno di sostegno e di aiuti dai “più forti”.

Il peso dell’Italia in Europa è dunque veramente determinante. Per il tramite dell’Europa, oltre che per le sue speciali e tradizionali relazioni diplomatiche con l’altra sponda dell’Atlantico, con il mondo mediorientale, con l’est Europa e i Balcani, per il particolare gradimento e le peculiari manifestazioni di interesse che le migliori caratteristiche economico- culturali italiane si meritano in tutto il mondo, l’Italia può dare un contributo significativo anche alla governance del mondo.

È invece la nostra piccola dimensione a livello mondiale che ci rende fra i beneficiari più interessati al buon governo dell’economia mondiale. In un’economia globale conflittuale non potremmo che soccombere. All’opposto, in un’economia globale ben governata, la capacità di adattamento e la creatività delle nostre forze produttive e della nostra imprenditorialità diffusa troverebbero il terreno giusto per farsi valere. Per ora, nonostante i nostri gravi problemi e il ristagno del nostro sviluppo, l’Italia può essere ancora classificata, senza dubbio, fra i “paesi ricchi”. Ma di questi è uno di quelli la cui “ricchezza” dipende di più dai traffici col mondo, uno di quelli che decadrebbe di più in un mondo di autarchie, dove contino meno le specializzazioni produttive, le nicchie di competenze, le eccellenze da far valere nel globo intero. Dunque per noi è più importante che per altri che il mondo funzioni e che la sua economia sia aperta e ben regolata. E poiché non saremo mai abbastanza forti per essere fra i pochi registi di un mondo senza sopranazionalità, a noi più che ad altri paesi grandi e medi conviene che poteri
rilevanti siano delegati in modo trasparente ad agenzie che siano sopranazionali nella misura in cui ciò è possibile.

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Quanto alle politiche macroeconomiche, l’importanza della domanda estera per la nostra economia è strutturalmente tale che ci preme di più un buon controllo macroeconomico mondiale, portatore di stabilità e prevedibilità, di quanto non ci serva l’autonomia nel procurarci stimoli artificiali alla domanda (come eventuali svalutazioni legate ad un insensato ritorno alla valuta nazionale), disallineati dalla macroeconomia internazionale. Il panorama internazionale infatti assicura successi duraturi a chi produce con tassi di innovazione e livelli di competitività che possono risultare solo da provvedimenti strutturali, adottati a livello nazionale e stimolati dagli incentivi e dalle opportunità offerte dal buon governo economico globale. La disciplina internazionale ci sospinge soprattutto a intervenire con maggior incisività sull’indebitamento e sulla relativa inefficienza della nostra pubblica amministrazione, con immediato, sensibile beneficio della competitività delle nostre imprese e della robustezza del nostro mercato finanziario.

Per quanto riguarda il debito pubblico, in particolare, tanto più l’Italia è inquadrata in linee di indirizzo macroeconomico internazionale, tanto meno è soggetta al nervosismo speculativo della cosiddetta “disciplina di mercato” che mira a costringerci agli aggiustamenti elevando, a volte in modo arbitrario, i premi di rischio che dobbiamo pagare per rifinanziare i nostri debitori pubblici e privati e le nostre stesse banche. Far parte di un mondo macro economicamente ben disciplinato non può che aiutarci, anche nel vincere i pregiudizi di chi tende a classificarci fra i paesi più deboli e rischiosi.

Il rapporto dell’ISPI prosegue qui


Filed under: Economia, I.s.p.i., Parlamento Europeo Tagged: Storia dell'Euro

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