Europa, l’austerity minaccia l’aspettativa di vita

Creato il 14 marzo 2013 da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Un bambino che nasce oggi negli Usa ha un’aspettativa di vita di 77,9 anni. Un bambino che nasce in Sierra Leone può aspettarsi di viverne 41,8. Costa o Pelagia nati oggi in Grecia hanno prospettive di esistenza, di benessere e di salute più vicine a quelle del bambino nordamericano o dell’altro, venuto al mondo in una terra bella, ma disperatamente povera?
La crisi economica minaccia i progressi registrati nella speranza di vita in Europa. Dopo l’Osservatorio europeo sulle politiche e i sistemi sanitari, anche l’Organizzazione mondiale della sanità, nel suo rapporto triennale, sottolinea i rischi delle politiche di austerity. «Uno scenario possibile e che minaccia i progressi costanti ottenuti in materia di speranza di vita in Europa – si legge nel dossier – potrebbe realizzarsi se alle crisi economiche e sociali si associassero delle riduzioni alle spese per la sanità». È un’Europa segnata dalle disuguaglianze: se in generale il Vecchio Continente presenta indicatori incoraggianti, con eccellenze mondiali come, appunto, l’incremento di 5 anni nella speranza di vita tra 1980 e 2010 e il crollo del 54% dal 1990 della mortalità infantile, la più bassa in tutto il pianeta con 7,9 per mille nati vivi, ci sono “differenze persistenti e diffuse in tutta la Regione – avverte il direttore generale per l’Oms Europa Zsuzsanna Jakab – e sul fronte della salute in alcuni casi si registra un peggioramento. Questo è ingiusto e deve essere una priorità per noi per affrontare la questione collettivamente”.

La salute come la giustizia non è uguale per tutti: sono 73 milioni i migranti che vivono in Europa, giovani ma in condizioni di povertà e marginalità. C’è la popolazione degli anziani, in costante aumento e che entro il2050 ammonteranno al 25% della popolazione, con prospettive di vita dequalificate per “riforme” pensionistiche che hanno abbattuto standard di benessere e per i tagli al sistema sanitario e all’assistenza.
Togliere vincoli alla finanza e alla speculazione e metterne agli investimenti degli stati: è proprio il “periodo idiota” del capitalismo, idiota e suicida, perché voragini di bilancio diventano sempre più profonde e incolmabili, la precarietà non produce crescita e nemmeno redditività, adulti scontenti, frustrati e che si ammalano pesano sulla produttività, anziani e bambini in cattiva salute sono un onere per le famiglie e distolgono risorse dai consumi. Ha ragione l’Oms: la civiltà del denaro è in crisi perché il cinismo avido e l’accumulazione insaziabile sono una malattia che impedisce di guardare perfino al profitto.

A livello mondiale è stata effettuata una stima della distruzione di valore degli “attivi” di ogni tipo, intendendo per attivi i beni e le proprietà di famiglie, imprese, stati, enti locali, provocata dalla crisi: ebbene il calcolo della rovina prodotta della mutazione del “mercato” va da un minimo valutato in 25-28 trilioni di dollari a un massimo di 100 trilioni, 1,8 volte il Pil mondiale. Di questa ricchezza divorata dalla crisi e dalla speculazione fanno parte le abitazioni, gli impianti industriali, le attività commerciali, ma anche i fondi pensione, quelli assistenziali, le assicurazioni, i fondi d’investimento. Chi aveva pensato di investire in sicurezza e garanzie private si trova senza la protezione a pagamento proprio quando il welfare ha finito di essere quel parapioggia – e paraguai – per il quale avevamo pagato tutti tasse e contributi.
Si è combinata l’emergenza del settore privato con quello del settore pubblico, chi ne fa le spese sono i lavoratori e anche i ceti medi, minacciati e penalizzati dalla crisi e dalla cura dell’austerità come da un’arma che riduce i salari, i diritti, le tutele i servizi sociali. La crisi finanziaria è diventata crisi economica che a sua volta si è trasformata in crisi sociale, con la perdita del lavoro e la contrazione del potere d’acquisto.

La diagnosi dell’Oms sullo stato di salute del continente, è incompleta. Non denuncia che la depressione sta portando l’Europa al suicidio: la pressione esercitata sulle finanze pubblichi riduce la ricchezza prodotta .e l’occupazione, mentre aumentano le spese sociali per sostenere chi perde il lavoro. I pericoli di dissesto finanziario delle banche, i cui attivi diventano sempre più “illiquidi” si vanno a scaricare sul bilancio degli Stati. Le politiche restrittive basate sui tagli di spesa, su aumenti di tasse, imposte indirette e tariffe, aggravano la situazione, drenando altre risorse dall’economia reale e ostacolando la ripresa. Si aumenta l’età pensionabile e poi si cerca di mandare in pensione anticipata i lavoratori più anziani, si aumenta la flessibilità per rendere più facili i licenziamenti, come se la liberalizzazione del mercato del lavoro permettesse di incrementare la competitività e di rilanciare la crescita dell’economia.
Le forme parossistiche di un potere finanziario auto espansivo che si legittima da sé e legittima il rigore in nome della sua conservazione, in una coazione ad accumulare senza fine e senza limiti, sono il sintomo di una malattia mortale. Bisogna fermarli prima del contagio definitivo della pestilenza, colpendo il bubbone, uscendo da una galera fatta di vincoli senza benefici, di obblighi senza ritorno, di legami senza amicizia.


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