In occasione delle Europee 2014 continuiamo le nostre interviste con l’Onorevole Giommaria Uggias, di professione avvocato, eurodeputato uscente dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali, eletto con l’Italia dei Valori e candidato nuovamente per la stessa lista nelle circoscrizioni Nord-Ovest e Isole
Giommaria Uggias è stato sindaco di Olbia tra il 1995 e il 1997, dopo essere stato consigliere provinciale a Sassari e nel Consiglio Regionale della Sardegna, dal 2009 è parlamentare europeo. È membro della Commissione per i Trasporti e il Turismo (TRAN) e della Commissione per lo Sviluppo Regionale (REGI).
Onorevole Uggias, come è stata la Sua esperienza in questi cinque anni da eurodeputato? Su quali tematiche ha lavorato principalmente?
È stata un’esperienza assolutamente esaltante. Occorre ricordare che questa è stata una legislatura costituente: noi ci siamo insediati nel luglio 2009 e il 1° dicembre 2009 è entrato in vigore il Trattato di Lisbona, che ha dato al Parlamento Europeo nuove competenze e un nuovo ruolo che non aveva prima, quello di co-legislatore, cioè il Parlamento Europeo è passato dall’essere un organo di consultazione a un organo che, insieme al Consiglio Europeo, ha poteri decisionali. Per la prima volta il Parlamento Europeo ha potuto dire la sua in maniera decisiva sul bilancio, ad esempio. Per quanto riguarda i singoli temi che sono stati oggetto di discussione, credo che uno dei più significativi sia stato quello dell’introduzione della Tobin Tax – cioè la tassa sulle transazioni finanziarie – che è un tentativo di spostare la produzione di ricchezza dalla speculazione finanziaria all’economia reale, al lavoro concreto e all’impresa.
Francamente devo ammettere che ci sono stati degli errori, ma la colpa non è stata tutta dell’Italia dei Valori. Noi abbiamo pagato l’ intransigenza negli accordi che abbiamo stipulato con gli elettori. Ci è bastato un mese per prendere le distanze dal Governo Monti: nel momento in cui è stata proposta alle forze politiche presenti in Parlamento la possibilità di sostenere il Governo Monti, ci siamo defilati da quell’inciucio, da quel governo di larghe intese, dal quale poi tutti hanno preso le distanze. Però va detto che in quel momento – con la benedizione del Presidente della Repubblica Napolitano, del Partito Democratico, di Forza Italia, dei maggiori gruppi di informazione pubblica e privata, degli organi della stampa – le uniche voci dissenzienti da un’informazione appiattita sul ruolo salvifico del Governo Monti erano rappresentate dall’IDV all’interno del parlamento nazionale e dal Fatto Quotidiano, da Il Giornale e da Libero per quanto riguarda la stampa. Abbiamo assunto questa differenziazione politica e abbiamo pagato un prezzo enorme e, lo dico senza tema di smentita, anche con agguati mediatici. Perché quello della trasmissione di Report che nell’equivoco ha fatto passare l’impegno forte, alto, in politica di Antonio Di Pietro come quello di un qualsiasi palazzinaro che con speculazioni poco chiare si sarebbe arricchito con i soldi della politica – e si è dimostrato, con sentenza passata in giudicato, non essere assolutamente vero – altro non è che un agguato mediatico. Poi, anche per fare un po’ di autocritica, forse abbiamo un po’ esagerato con toni troppo alti. Forse dovevamo puntare il dito in maniera meno forte sulle realtà istituzionali, però passare da un consenso a due cifre allo 0,5% nel giro di 6-7 mesi altro non può che essere un’operazione precostituita così come è stata quella che, purtroppo, ha danneggiato l’Italia dei Valori.
Dalla scorsa estate l’Italia dei Valori ha un nuovo segretario, Ignazio Messina, e il simbolo del partito ha assunto una nuova grafica. L’intento prefissato è quello di “tornare alle origini”. Ma, concretamente, cosa è cambiato?
Innanzitutto abbiamo registrato la necessità diffusa di una spersonalizzazione dei partiti. Abbiamo superato la fase in cui i singoli partiti erano identificati con i leader, tant’è vero che il PD e altre forze politiche hanno tolto il nome del leader dal simbolo, salvo poi reintrodurlo adesso in campagna elettorale, giusto per mantenere un riferimento per le forze politiche che si sono riorganizzate. Abbiamo compiuto questa operazione di spersonalizzazione, recuperando la centralità del partito, liberi anche dalla personalizzazione nelle decisioni. Ci siamo dati un nuovo statuto, nuove regole che hanno ampliato la partecipazione anche della componente giovanile e femminile negli organi statutari, siamo partiti da una nuova dirigenza, che ovviamente paga il prezzo di un rinnovamento e dell’allontanamento di tanti che avevano considerato l’IDV come un mezzo di trasporto per obiettivi personali. Abbiamo rifondato un livello di partecipazione che, seppur con grande fatica, ci sta dando molte soddisfazioni.
L’Italia dei Valori si iscrive al gruppo europarlamentare dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali (ALDE), oggi presieduto dal belga Guy Verhofstadt che si candida per la presidenza della Commissione Europea, sostenuto in Italia anche da Scelta Europea. Accanto a voi, pur nell’eterogeneità di una compagine che comprende forze politiche di vario tipo, siedono i Liberaldemocratici tedeschi, che rappresentano il partito più liberista presente in Germania: sostengono privatizzazioni, forti tagli alla spesa pubblica e a sussidi sociali, deregolamentazioni e, soprattutto, sono i principali fautori delle politiche di intransigente austerità e sono contrari ad aiutare i paesi europei in difficoltà. Ritenete che il vostro programma – che recita “europei, non tedeschi” e che critica fortemente le misure di rigore che hanno accentuato la crisi – sia ancora compatibile con la partecipazione a questo gruppo europarlamentare?
Noi abbiamo presentato le nostre liste per le elezioni europee senza indicare il riferimento all’ALDE e men che meno al candidato alla presidenza della Commissione Europea Guy Verhofstadt. Mentre ci sono altri, come Scelta Europea, che lo hanno fatto. Al di là della differenziazione sul piano nazionale – perché noi niente vogliamo avere a che fare con Mario Monti e con le sue politiche rigoriste e avrà letto che Scelta Europea con Guy Verhofstadt ha ricevuto recentemente il sostegno di Gianfranco Fini, e anche con lui niente vogliamo avere a che fare – tornando alla sua molto precisa e puntuale domanda sulle differenze rispetto alle politiche di certe componenti liberali, abbiamo scelto di non appoggiare né Guy Verhofstadt né Olli Rehn, che è l’altro leader, il commissario europeo per gli Affari Economici e Monetari e mentore delle politiche di rigore dell’UE, proprio perché non ci ritroviamo in questa disciplina di rigore. Non ci riconosciamo in una rigidità dell’Euro che, se non accompagnato nel futuro da politiche macroeconomiche europeiste, è destinato a fallire. Riteniamo che la politica monetaria della moneta unica sia positiva, ma con troppe rigidità. Non solo per questo ci siamo differenziati dall’ALDE – che, vorrei precisarlo, è l’Alleanza dei Democratici e dei Liberali, quindi vive in una dialettica tra pulsioni liberali e pulsioni democratiche – ma ci siamo distinti anche su altre tematiche. Per esempio, Verhofstadt e altri sono per le politiche dell’energia nucleare, noi viceversa siamo promotori dei referendum per la cancellazione del nucleare in Italia. Oppure, per quanto riguarda le coltivazioni e le produzioni OGM, noi siamo stati tra i fautori – io personalmente lo sono stato all’interno della commissione ambiente – del divieto di coltivazione di organismi geneticamente modificati in alcune zone di pregio, dove va coltivata la biodiversità, mentre altri partiti che aderiscono all’ALDE certamente non erano d’accordo con noi. Abbiamo preso le distanze altre volte, e così vogliamo continuare a farlo.
Non so se Renzi voglia diventare il servo diligente, ma so che sicuramente battere i pugni sul tavolo, o salire sui tetti, non serve. Occorre avere forza politica per imporre all’interno dei gruppi e del Parlamento quelle logiche di ragionamento che in questi 5 anni abbiamo potuto acquisire. Siamo stati ascoltati in tante battaglie che abbiamo vinto, come quella per approvare la Tobin Tax, nella quale i partiti liberisti soprattutto dei paesi del nord erano fortemente contrari. È chiaro che c’è molto da fare, dentro e fuori del Parlamento Europeo, perché ci sono poteri forti, poteri occulti, poteri delle lobby che esercitano pressioni sugli organismi politici e sugli uffici che andrebbero, in maniera pulita, combattute o talvolta esercitate per quanto riguarda la tutela degli interessi del Sud. Si può fare, occorre trovare le giuste alleanze. Noi stiamo pagando purtroppo un ventennio di rappresentanza politica dell’Italia nel Parlamento Europeo con persone che venivano “parcheggiate” in attesa di trovare posizioni migliori, magari nei governi nazionali o regionali. La scorsa legislatura ha segnato un cambio di passo significativo, nel senso che la delegazione italiana è stata in larga parte stabile. Sono state poche le persone che si sono avvicendate nella delegazione italiana, che per il 90% ha continuato a rimanere la stessa; questo ha consentito di avere una rappresentanza di qualità, in maniera trasversale, dalla destra alla sinistra e al centro. Laddove si sono combattute battaglie nell’interesse dell’Italia o dei paesi del Sud, tutta la delegazione italiana è rimasta compatta.
Nel vostro programma leggiamo: “se il principio [di solidarietà europea] non verrà accettato è logicamente e politicamente preferibile percorrere strade separate riacquistando la sovranità perduta ricordando, per inciso, che dei 28 stati membri solo 18 hanno adottato l’euro come moneta unica”. Quindi state valutando l’ipotesi di uscire dall’Eurozona?
Quando parliamo di sovranità ci riferiamo alla sovranità monetaria. Il discorso è da mettere in questi termini: noi siamo favorevoli all’Euro, riteniamo che per un periodo siano stati vantaggiosi i passaggi che hanno portato i paesi ad adottare l’Euro, ma che poi queste politiche abbiano segnato il disastro, con i limiti che si sono resi evidenti nel tempo. Inizialmente l’Euro ha consentito all’Italia un risparmio di interessi sul debito sovrano di circa 500 miliardi di Euro; questo avrebbe potuto rappresentare per noi un abbattimento del debito che, anziché superare oggi i 2000 miliardi di Euro, avrebbe potuto essere nell’ordine di 1400 miliardi. Vorrei ricordare che ogni anno paghiamo 80 miliardi di Euro di interessi sulla quota di finanziamento che mettiamo sul mercato per pagare il mantenimento dello Stato, quindi oggi si sarebbe potuto destinare quel risparmio all’abbattimento della pressione fiscale o all’infrastrutturazione dello Stato. Così non è stato, perché abbiamo investito in spese correnti, sprecando e non controllando con fermezza l’entrata in vigore dell’Euro. Ricordo agli italiani che con dell’adozione della moneta unica, che valeva 1936,27 Lire – la schedina del totocalcio che costava 1000 Lire, la domenica successiva costava un 1 Euro; il caffè che costava 800 Lire passò a 80 centesimi di Euro – c’è stata una “furbata” (tra virgolette, perché poi non è stata per niente una furbata) che ha di fatto determinato una svalutazione del 50% della moneta, laddove altre economie hanno svalutato del 20% o del 10% e hanno garantito un maggiore potere d’acquisto. Inizialmente non era un percorso sbagliato, ma è chiaro che quando non ci sono le flessibilità sul costo del lavoro e sul reale potere di acquisto della moneta e il valore è lo stesso per tutti, si crea uno spostamento della liquidità verso i paesi più forti a danno di quelli più deboli. Cresce il debito sovrano dei paesi del Sud, cresce la solidità dei paesi del Nord che continuano a produrre e quindi si crea quella rigidità che va assolutamente cambiata attraverso una compensazione di solidarietà, altrimenti l’Euro è destinato a saltare e a far saltare il meccanismo della moneta unica. Mi permetta un esempio figurativo: tutti gli aerei apparentemente sembrano rigidi, ma hanno una flessibilità tale che, se un aereo fosse rigido, si spezzerebbe in volo. Ci vuole una certa flessibilità anche per quanto riguarda l’Euro, altrimenti salterà.
E nel caso si spezzasse? Ne avremmo più benefici o più svantaggi?
Ne avremmo più svantaggi, anche se sono del parere che la situazione non sarebbe così catastrofica. Ci sarebbe un periodo di transizione duro, soprattutto per i ceti più deboli, per i pensionati, per i dipendenti, per coloro che non hanno la possibilità di recuperare il livello di svalutazione e di inflazione, anche se sono due parametri diversi. Non sarebbe la prima volta che accade, ma cerchiamo di evitarlo. La nostra posizione, diversa da quella della Lega Nord che vuole uscire dall’Euro, è questa: facciamo di tutto per rimanere nell’Euro, con i correttivi, adottando gli Eurobond – che non significa socializzare il debito con i paesi più ricchi, ma garantire che non ci possa essere fallimento dei paesi più deboli e non consentire agli operatori finanziari di giocare sulle debolezze del debito sovrano – proviamo a fare di tutto per tutelare una moneta che aveva inizialmente manifestato una valenza positiva. Sta di fatto che, se ciò non dovesse essere possibile, non sarà certamente una tragedia: ci rimboccheremo le maniche, dovremo attuare una solidarietà interna nazionale e la si affronta.
Il problema della perdita del potere di acquisto però si potrebbe affrontare con una sorta di indicizzazione dei salari per evitare la svalutazione dei redditi fissi con il crescere dell’inflazione. Voi sareste favorevoli nell’eventualità?
Indicizzazione dei salari significa indicizzare i prodotti all’aumento del costo del salario, e quindi stare fuori dal mercato. Significa questo: se oggi una fabbrica produce 100 pezzi con 100 lavoratori che hanno 1 di stipendio e il prezzo del prodotto costa 1, se quel prodotto per essere venduto deve costare lo stesso prezzo non possiamo aumentare ulteriormente la svalutazione causata dall’Euro perché altrimenti quel prodotto non starebbe sul mercato. Non si può fare un parallelismo automatico.
L’Unione Europea ha da un lato lo storico partner nordamericano – anche l’Italia è costellata da un centinaio di basi militari USA e NATO – e dall’altro la Russia. Secondo Lei occorre un cambio di strategia geopolitica? In questo contesto che sta passando dall’unipolarismo al multipolarismo, dobbiamo continuare a guardare in un’ottica atlantista o volgerci maggiormente all’Unione Eurasiatica e ai paesi BRICS?
Se l’Unione Europea vuole diventare centrale nello scacchiere geopolitico deve ritagliarsi un ruolo suo, originale. Ciò non significa prescindere totalmente dagli schieramenti in campo, ma significa superare le vecchie logiche. Dico questo perché nell’alleanza atlantica noi dobbiamo marcare del limiti, e l’UE l’ha fatto: quando si è trattato di mettere in discussione il sistema di tutela dei dati, della raccolta delle transazioni commerciali e della privacy dei cittadini europei, abbiamo visto che gli USA stavano giocando con eccesiva libertà e spregiudicatezza. D’altra parte, però, la Russia non ha ancora quel livello di garanzia di rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali da poterci schierare con uguale dignità rispetto agli Stati Uniti d’America.
Nel vostro programma però non si fa alcun cenno al Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP). Avete una vostra opinione?
Nel programma non si può comprendere tutto; il Parlamento Europeo ha 20 commissioni e riportando anche un solo argomento per ciascuna commissione avremmo dovuto avere quantomeno 20 punti nel programma. Abbiamo fatto una scelta, ma questo non significa non considerare altri temi. Il TTIP va rivisto nella sua impostazione attuale, anche in un’ottica di tutela delle economi più deboli. Così come abbiamo fatto nel passato, come quando abbiamo combattuto una battaglia contro il trattato di libero scambio UE-Marocco che consentiva un’eccesiva penalizzazione delle economie del Sud, in particolare per le produzioni agricole, con un vantaggio per le produzioni dei paesi satelliti della Germania; cioè si contentiva in pratica di abbattere i dazi doganali per i prodotti dell’agricoltura – tipici di Italia, Grecia e Spagna – e si favoriva l’ingresso in Marocco senza dazi delle apparecchiature di alta precisione, fibre ottiche, macchinari di alta definizione, che sono chiaramente produzioni della Germania e di altri paesi del Nord. Vogliamo che gli effetti sulle economie degli Stati membri vengano maggiormente ponderati: non vogliamo essere sacrificati nell’ottica di un liberalismo che va di fatto a penalizzare le economie più deboli.
Rispetto le opinioni di tutti. Intanto posso dire di essere la prova vivente che si può eleggere un rappresentante della Sardegna sin dal primo giorno, senza alcun subentro o alcuna dimissione nel Parlamento Europeo. Ho esercitato il mio mandato credo con dignità e con merito; l’organismo non governativo VoteWatch mi ha attribuito il riconoscimento di miglior europarlamentare della delegazione italiana e tra i migliori 4 dell’intero parlamento europeo [NdR: la classifica è determinata dai voti degli utenti registrati su VoteWatch in base al monitoraggio dei singoli atti] e credo di aver degnamente rappresentato la Sardegna. Per quanto riguarda invece quei ragionamenti, sono fuori da ogni logica, perché Malta e Cipro sono Stati sovrani, la cui sovranità è riconosciuta non in base alla popolazione ma dall’essere Stato membro. Se poi ogni regione pretende di essere uno Stato sovrano, ritorniamo al 1200 e alla sovranità dei comuni, ma anche questo significa essere fuori dal mondo. Pensare da soli di sedersi ai tavoli negoziali con logiche nazionaliste è fuori dalla storia, fuori dal mondo. Oggi contano i continenti, non contano neppure più gli Stati membri, si figuri se possono contare i comuni. Fuori dalle alleanze non si può fare niente. Il mio non è un discorso ideologico, ho sempre dato atto ad altri colleghi – come Oreste Rossi, che con il mio partito non ha certamente assonanza – di aver lavorato e rappresentato dignitosamente gli interessi del proprio paese e del proprio collegio. Questo per dire che si può fare comunque un buon lavoro quando si hanno davanti gli interessi dei cittadini, e non di staterelli che non esistono più o di Stati inesistenti.
Anche alla luce delle dichiarazioni di Van Rompuy, il quale ha ammesso che il Parlamento Europeo conta ben poco, in quanto le vere decisioni vengono prese da altre istituzioni come il Consiglio Europeo da lui presieduto e dai mercati finanziari, perché recarsi alle urne alle elezioni europee del 25 maggio e votare Italia dei Valori?
Io ritengo che sia di fondamentale importanza recarsi alle urne per votare l’unica rappresentanza europea democraticamente eletta dai cittadini, affinché questi ultimi possano vedere tutelati i propri diritti ed esercitare in via delegata una funzione di controllo sulle altre istituzioni europee. Non dimentichiamo che il Parlamento Europeo ha progressivamente ampliato i propri poteri, soprattutto in seguito al Trattato di Lisbona, e che oggi legifera in materie di vitale rilevanza a tutela dei diritti dei cittadini. A tal proposito mi preme ricordare che l’Italia dei Valori nell’ultima legislatura ha conseguito importanti risultati per quanto riguarda il potenziamento dei trasporti locali, la tutela dell’ambiente, il divieto degli OGM, il sostegno alle popolazioni colpite da catastrofi naturali. Per la prossima legislatura continueremo a portare avanti battaglie scomode in difesa della legalità, della giustizia, della trasparenza, delle imprese sane, delle famiglie, dei lavoratori, dei cassintegrati e contro il sistema dei poteri forti. Vogliamo che i cittadini si possano sentire liberi in uno Stato di diritto. Abbiamo deciso di ricominciare con una nuova Italia dei Valori, un partito che abbiamo voluto rinnovare, candidando persone motivate che potrete valutare per quello che hanno fatto, a livello locale e a livello nazionale.