Mi chiedo davvero con quale devianza intellettuale e cinismo morale si possa ancora appoggiare Tsipras con argomenti ridicoli, quali “non poteva fare altrimenti”, “era uno contro 18”. Questo il leader di Syriza lo sapeva da molto prima di vincere le elezioni, non si è certo trovato di fronte a una novità imprevista e sconcertante, anzi tutti lo sapevano e speravano che per superare il ricatto di Bruxelles ad Atene si fossero predisposte delle armi efficaci, ovvero la preparazione di un piano b di uscita dall’euro e dalla Ue da buttare sul tavolo delle trattative. Però non è avvenuto perché la fede di Tsipras e degli altri euristi nella moneta unica era tale da impedire loro di metterla in discussione, anche solo come ipotesi, come elemento tattico: la Grecia si è così presentata completamente disarmata di fronte si suoi esigenti torturatori con un leader che non perdeva occasione per ribadire la propria fedeltà all’euro e ai trattati capestro che ne sono il correlato. Ma ancora peggio a questi atti di devozione e alla rovinosa sconfitta finale si è arrivati anche per la mancanza di reali modelli alternativi sia per la società che per la stessa configurazione continentale: l’assenza di possibilità vera era nella testa dei dirigenti greci e non alla tavola rotonda di Bruxelles con tanti Lancillotti del ricatto.
La difesa assurda e grottesca del premier greco, nonostante ogni evidenza, non è altro che l’autodifesa di una sinistra che condivide gli stessi ideali di Tsipras in mancanza di altro a cui attaccarsi. Si tracanna l’euro e l’ Europa oligarchica per dimenticare ciò che si era e non si più in grado di essere. Si cercano paradisi artificiali per la mancanza di idee e proposte all’altezza della situazione, perché forse ci si vuole illudere di avere vita facile dentro un riformismo blando e innocuo, ormai fuori dal tempo e dalla logica delle cose. Si, la sinistra deve essere totalmente rifondata per esistere ancora, per riuscire finalmente a proporre modelli credibili e diversi dal mercato misura di ogni cosa, dalla crescita infinita, dalla disuguaglianza come motore economico, dall’individualismo sfrenato che si traduce in conformismo assoluto e in controllo totale. Intendo modelli seri, non arcadie di nicchia.
Questa faccenda del paradossale sostegno a Tsipras e all’altro europeismo, nonostante la prova provata del suoi contenuti illusori e della sua sconfitta totale, è particolarmente grave proprio perché la dissoluzione dell’euro e della deviante costruzione europea sono il presupposto necessario, ma non sufficiente per affermare una nuova costruzione sociale sia in Italia che negli altri Paesi europei e di conseguenza un nuovo e diverso spazio comune continentale. Tuttavia è proprio sulla pars destruens, sul no ai meccanismi di impoverimento, di sottrazione di sovranità e dunque di diritti che si può trovare incisività e un consenso molto più vasto rispetto alla propria area, tale da smuovere la palude: la vera battaglia politica comincerà dopo che si sarà raggiunta la condizione necessaria per permettere una reale dialettica politica al di fuori dei diktat. Così quando si arriverà a una dissoluzione che è nelle cose, forse provocata dagli stessi Paesi che dalla moneta unica hanno tratto vantaggio, la sinistra sarà così debole da non poter aprire bocca sulla “ricostruzione”. E ciò che è stato sottratto in questi anni rimarrà nelle mani dei predatori.
Nota. Si tratta in realtà di un post aggiuntivo perché solitamente si fa una distinzione fra l’Europa e l’euro come se quest’ultimo fosse un elemento giustapposto e fra le due cose non ci fosse una relazione intima e inscindibile. In realtà la moneta unica è solo l’atto finale di una costruzione continentale che dopo il Mec, è stata determinata proprio dal monetarismo, dal mercatismo e dalla finanza. Tutto è cominciato già dal ’72 con il serpente monetario europeo che prevedeva oscillazioni non superiori al 2,25% fra le monete europee e una del 4,5% rispetto al dollaro. L’esito fu disastroso perché con la crisi petrolifera del ’73 questa rigidità di cambio si rivelò insostenibile e provocò l’uscita temporanea di Gran Bretagna, Irlanda, Italia e Francia. il nostro Paese restò fuori da questa logica fino al ’79 quando subentrò lo Sme, sistema monetario europeo che prevedeva analoghe oscillazioni riferite però non più ai singoli cambi, ma ad una unità di conto comune (il famoso Ecu). Dopo la cattiva esperienza del serpente molti erano contrari ad un’entrata immediata tra cui il governatore della Banca d’Italia Baffi e a sorpresa il giovane Mario Monti. Anche molti nel Pci erano contrari, ma il partito, nell’ambito del compromesso storico, votò per l’adesione nonostante il fatto che tutte le proposte del partito, fatte proprie peraltro dal governo monocolore Andreotti, per mitigare una logica monetaria che avrebbe senz’altro peggiorato le condizioni dei ceti popolari e dei lavoratori, fossero respinte da Bruxelles. Unico placebo fu per Italia, Spagna, Portogallo e Gran Bretagna, la possibilità di un’oscillazione al 6%. Anche lo sme si rivelò un disastro sul piano sociale, economico, produttivo tanto che nel ’92 l’Italia e la Gran Bretagna furono costrette ad uscirne temporanemente per poi rientravi ma con la concessione di oscillazioni pari al 15%. Ciononostante proprio in quell’anno si pensò bene di firmare il trattato di Maastricht che portava all’estremo i meccanismi già rivelatisi disastrosi e aboliva qualsiasi elasticità. Dunque non siamo di fronte a un euro che è calato come una spada di Damocle, su un’Europa felix, ma un’unione continentale che è stata costruita a misura di moneta da oltre quarant’anni a questa parte.