Mi sembra di poter dire che il Nostro lo ha scritto nelle vesti di teologo, professore/catechista. E’ vero che in qualche modo il testo è accessibile a tutti, ma è anche vero che in quel testo la figura del Cristo non viene tradotta (da “tradere”/tradire) alle semplici persone fra le persone semplici, ma si esige che siano le persone, semplici e non, quindi le genti, a dover comprendere e accettare un Cristo che viene imposto. Non si percepisce l’eventuale umanità di Cristo, o di un Cristo, ma ne traspare “l’esigenza prima” di imporre la figura del Cristo, unicamente nella sua emanazione divina.
La narrazione, relativa all’infanzia (ovvero alla primissima infanzia!) di Gesù, dalla nascita alla fuga in Egitto di Maria e Giuseppe, soverchiata dall’intento teologico, è priva di qualsiasi afflato ludico, unica condizione che potrebbe rendere percepibile il Sacro, il Puro e il Vero contemporaneamente.
Il Papa non sta qui “pontificando”, nel senso di costruire ponti a unire il Sacro con l’Umano, ma allontana, obbligando l’uomo a calarsi in un senso di pochezza e inutilità (di stampo medievale?)
Nulla ha a che fare con l’umiltà, ma con la presunzione di un atto fondamentalista (per non dire “integralista”: ti dico cosa pensare e fare, unica via per assolverti – e sentirsi assolti dalle responsabilità delle proprie azioni). Domanda: la Chiesa è fatta per servire o per asservire?
Ciò che noi chiamiamo “fede” è tale anche perché può essere pensata e decisa (e non escludo che quel pensiero faccia comodo a molti…)
A proposito delle dimissioni del Papa, dico, a questo punto, la mia. Credo che siano dimissioni “impure”. Temo che non siano frutto di una scelta libera, ma in qualche modo “delicatamente imposta” (mobbing?) dagli uomini di potere e governo del Vaticano, ma questo influisce poco, perché il risultato non cambia.
In ogni caso, il Papa si dimette, o meglio abdica, per lasciare un trono vuoto.
Abdica alla volontà del Dio di cui è vicario per lasciare il posto a un nuovo Re che sappia riconoscere la potenza di un nuovo Dio che incombe e che già ha fatto più proseliti negli ultimi anni che il Cristianesimo in 2000: è il dio della Tecnologia, della Virtualità, della Contemporaneità.
Abdica sotto il peso dei fallimenti. Discorso di Ratisbona. Scandalo pedofilia (anche quando era cardinale). Negazione dei profilattici. Scandalo Ior. Vatileaks, corvi compresi. Il tema dell’omosessualità, che costituirebbe secondo lui una ferita alla pace (penso, per inciso, che questa dichiarazione sia non una ferita alla pace, ma una rottura della pace prossima a una dichiarazione di guerra).
Abdica sotto l’oppressiva inerzia del pontificato del suo beato predecessore GP-II. Si percepisce una sottile ma incessante invidia nei suoi confronti, per il suo carisma, la sua dimestichezza con i media, la sua capacità di soffrire e di consegnare il suo calvario come elemento di unione tra la chiesa e gli uomini.
Si è percepito a mio avviso un’altrettanto sottile invidia nei confronti della forza consolatrice del cardinal Martini, che da lontano con i suoi testi è stato in grado di comunicare con umiltà il valore dell’esistenza dell’uomo come espressione di naturale sacralità, prima ancora che di necessità divina.
E’ un Papa che schiva e si difende, incapace di leggere i bisogni della chiesa e degli uomini, incapace di portare la croce, anche se lì rimane inchiodato (altro che andare in pensione…)
Abdica, si dice, con lucidità, modestia e responsabilità: una responsabilità che stabilisce il potere degli uomini sul volere di Dio. E’un cambio di paradigma di portata epocale.
Il teologo per eccellenza, con questo gesto, rinnega e sovverte tutto il pensiero che ha retto il suo pontificato. E’ una rinuncia (forzata) che implica l’idea di fallimento del proposito teologico.
La teo-ria divina si cristallizza in un precipitato inerte immerso nel liquido della de-sacralizzazione.
Ritengo che questo abdicare possa essere strategico a un diverso e nuovo accesso della struttura ecclesiale entro i canoni della modernità.
In ogni caso si vuole dipingere il gesto come un segno di grande responsabilità per vedere rinnovata la gerarchia delle “cose,” oltre che della chiesa. E’ possibile, ma è pure riconoscibile come un intento involontario, all’interno di una rinuncia che può vedersi esercitata non come espressione di umiltà, ma come un fortissimo atto di potere a dimostrare, tra le parole in latino che vorrebbero spiegare motivazioni geriatriche, che chi decide è sempre il papa.
Al punto che la finitudine del suo tempo è decisa dall’uomo. E non dal suo dio.
Eutanasia di un dogma.
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