Come scopre fin dall’inizio il padre, il bambino è un mago nero ma, poiché lui e la moglie sono persone ragionevoli, cambiano il nome del piccolo da George ad Arriman e gli consentono senza problemi di seguire la sua vocazione. Per diversi anni tutto procede per il meglio finché Arriman, ormai famoso come l’Orribile e padrone di un castello, non si rende conto di essere stanco. Solo che non può semplicemente ritirarsi e scrivere un libro, come gli piacerebbe fare, a meno di trovare qualcuno in grado di sostituirlo come signore delle Tenebre e del Male.
E se il nuovo mago visto nel futuro da un’indovina si ostina a non arrivare da solo, per lui la soluzione più semplice è quella di sposarsi e allevare il proprio successore. Peccato che ad Arriman la sola idea di sposarsi ispiri, se non proprio paura, almeno un certo ribrezzo.
La mano del bel tenebroso, non c’è neanche bisogno di dirlo, è ambita da tutte. Quello che sorprende è scoprire le caratteristiche delle aspiranti al titolo, una più assurda e strampalata dell’altra al punto che per il lettore non è difficile capire il perché della riluttanza di Arriman. Fra tutte la sola capace di ispirare simpatia invece di un divertito disgusto è Belladonna che, essendo l’unica maga bianca del gruppo, è anche quella che in teoria non avrebbe alcuna possibilità di vincere. Per quanto possa dire “ogni giorno e ogni sera io divento un po’ più nera” (1) la realtà è che dove cammina lei spuntano i fiori, si sente una musica gioiosa e ogni cosa appare più bella.
A peggiorare il tutto arriva lei, la terribile strega numero 6 della copertina, talmente nera che le altre streghe al suo confronto sembrano quasi sbiadite, e per Belladonna le già esigue possibilità di successo colano improvvisamente a picco. Ma se all’apparenza tutto sembra già stabilito, una volta partito il concorso finirà con il presentare numerose sorprese.
Lo stile leggero, la continua presenza di elementi improbabili o esilaranti inseriti nelle vicende con estrema naturalezza, le numerose sorprese che si susseguono e il ritmo vivace rendono la lettura del romanzo di Eva Ibbotson scorrevole e divertente nonostante la presenza di temi importanti quali il senso d’inadeguatezza della protagonista, la diffidenza delle altre streghe verso chi è diversa da loro o la paura della solitudine. E, come nella migliore tradizione, dopo numerose peripezie il lieto fine è assicurato, con tanto di sorpresa finale che mostra come, incredibilmente, ciascuno ha quel che si merita.
1) Eva Ibbotson, Which Witch?, 1979, trad. it. Miss strega, Salani, Milano, 2005, pag. 33.