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…evaporati in una nuvola western. (Escursione a Gola Gorropu – Sardegna 15/08/2010)

Creato il 19 febbraio 2011 da Sognoinviaggio

…evaporati in una nuvola western. (Escursione a Gola Gorropu – Sardegna 15/08/2010)
Sassi disposti in arrocchi sparsi. Difese naturali per l’umana incomprensione. Il paesaggio erige un percorso da spaghetti western. Fatto di silenzi, colori, profumi… E’ tutto quello che ascolti, vedi o ti senti addosso…
Ferragosto 2010. Le banchine ricolme di barche sono, in linea d’aria, ad una cinquantina di km da qui. Per questo giorno decidiamo di rubare, alla nostra avventura in terra sarda, un’escursione fuori dai comuni itinerari. Il gruppo, per questo, subisce un’inevitabile selezione. Da 12 diventiamo 10. Si parte da Tortolì per giungere a Gola Gorropu, nel cuore del Supramonte. La mattinata comincia presto. Sveglia alle 6,30. Formazione assortita: Io, Ila e Fonz (Redazione Sognoinviaggio purtroppo senza Pask) Pina, Carmen, Peppe, Biagio, Tania, Ivana e la special guest Audry. Il programma prevede arrivo in auto a Dorgali e da lì un’escursione con guida. Dapprima in jeep e poi in un percorso da trekking tra le guance di uno dei canyon più alti d’Europa. La gola di Gorropu è una profonda ferita tra il Supramonte di Orgosolo e quello di Urzulei, una fenditura strettissima scavata nel corso di millenni dalle impetuose acque di un fiume. Arriviamo all’appuntamento con qualche minuto di ritardo per un’inevitabile, oltre che urgente, sosta ai box. Saranno state le curve, l’aria di Sardegna o il pecorino mangiato la sera prima…? Non so, ma di certo Fonz se l’è vista brutta… Raggiungiamo il luogo dell’appuntamento mostrando più di una perplessità sulla perdurante agibilità del bagno, nonchè del bar, dopo quella visita. Il nostro gruppo ci aspetta per partire in jeep. Siamo la parte più consistente ma anche la meno attrezzata. Con noi solo altre due coppie. Un’analisi, nemmeno tanto minuziosa delle calzature, impone ad Audry un cambio. Deve purtroppo abbandonare le sue bellissime ballerine… Sembriamo un gruppo di sprovveduti alle prese con fantasie libere ed inconsuete… Così finalmente partiamo in jeep. Il paesaggio si veste da terra di confine. Lande assorte che aspettano il vento per spazzare via il silenzio. Siamo divisi in due veicoli. In uno Io, Ila, Pina, Biagio, Ivana e Audry accompagnati dalla guida Claudio mentre nell’altro Carmen, Peppe, Fonz, Tania e le altre due coppie sotto l’autorevole guida di Angelo. Le scene sembrano rallentare e le parole svanire. Ritmi calmi imbrigliati in una manciata di frenesie senza tempo. Scenari che richiamano lo sguardo perso tra cielo e polvere di Sergio Leone. E’ come se da un canovaccio sceneggiativo si materializzassero cartucciere, stivali con speroni e bandane da mandriano. La musica però è quella dei Doors. Dal lettore della nostra jeep, infatti, Jim Morrison e co scivolano in inappropriati ritmi da blues. Oltrepassiamo un fiumiciattolo attorniato da ginepro prima di intraprendere la parte più accidentata del percorso. Ci teniamo stretti alle maniglie per evitare di rotolare l’uno sull’altro. In fondo alla valle un fumo da maiale arrosto e tutt’intorno una natura da selvaggio western. Biagio si veste da vice pilota, Pina sembra voler dare forma e colore ad ogni nuvola, Audry si lascia imprudentemente guidare dalle sconnessioni del terreno mentre Ila non lascia svanire nemmeno uno scorcio… Il percorso in jeep dura una ventina di minuti. Arriviamo al capolinea centrifugati come panni pronti per essere stesi. Ricomponiamo il gruppo prima di intraprendere la parte più propriamente ‘fisica’ dell’escursione. Dobbiamo giungere, attraverso un sentiero in discesa, in fondo alla valle. Liddove si imbocca il percorso del canyon. Il nostro inizio è sfavillante. Due passi: Ivana scivola a terra, Carmen e Tania quasi. Sembriamo pattinatori alle prime armi. Le guide vivono attimi di profondo scoramento. ‘Questa è la parte facile del percorso. Come faranno con i massi e le pareti sconnesse lungo il passi del canyon ?’ Ci ricomponiamo cercando conforto in noi stessi. Una nuvola che Pina definirebbe ‘ala d’aquila’ attenua, per fortuna, il caldo torrido. La vegetazione in macchia mediterranea è ricca di effusioni aromatiche. L’aspro si confonde al dolce. I respiri lacerano frontiere senza tempo. Non si vedono cavalli bradi ma questo lembo di terra non sembra così lontano da un’ambientazione texana. Il pendio, poi, fa da sipario ad un sottobosco ricco di lecci arborescenti. Camminiamo nella natura selvaggia quando si vede la foresta diradarsi e quasi all’improvviso comparire l’imbocco del canyon. Lo spettacolo è suggestivo e sembra da subito ripagare degli sforzi. Le enormi pareti verticali superano i 400 metri di altezza. Poderosi bastioni di roccia calcarea sembrano posti a difesa di quell’immane frattura, quasi ad avvertire il visitatore della rudezza dell’ambiente. Un mucchio di grossi massi bianchi ricopre, invece, il percorso. Bisogna arrampicarsi a destra e a manca per proseguire lungo l’itinerario. Peppe sembra a suo agio, Ila mostra agilità e destrezza. Le luci che s’infrangono nelle pareti più alte dell’abisso, creano, poi, un’atmosfera quasi irreale. Sembra di ritrovarsi dentro un’immensa cattedrale, in onore di un’intatta natura, che dacché esiste questo luogo, domina sovrana. Noi proviamo a venerare lo spirito del paesaggio affinché ci desse una mano. Il percorso ora è davvero difficile ma, come per incanto, sembra che le difficoltà iniziali si siano in parte attutite. Ognuno mostra una tecnica differente, chi abbraccia i massi, chi va di natica e chi sale a rana, ma tutti riusciamo a stare in gruppo. Biagio con oculatezza e Tania con coraggio, Peppe con disinvoltura e Audry con noncuranza, Ila con leggerezza e Ivana con testardaggine. L’espressioni delle guide sembrano riempirsi di stupore. ‘Sono gli stessi che scivolavano su di un terreno piano ?’ Arriviamo così al punto in cui il trekking si trasforma in vero e proprio alpinismo. Una corda inchiodata alla roccia ci supporta, ora, verso l’irto percorso. Questo tratto non è per tutti. Mi guardo intorno. Passeremo in due o tre. Così mi aggrappo alla corda e salgo su. Poi mi volto per vedere chi mi segue: Tania, Ivana, Carmen, Pina… Nessuno demorde. Le guide, raggiunta poi la fine dell’escursione, confessano di non essersi scommessi due lire sul risultato del gruppo. Inorgogliti e stanchi ci accovacciamo tra gli ultimi sassi del percorso. Proprio dove il letto del fiume curva con decisione verso il cuore della montagna. Ho immaginato questo cielo azzurro riflettersi nell’azzurro del fiume. Il suono del vento che soffia la superficie dell’acqua. Un grifone sospeso a mezz’aria che copre gli occhi dal sole. Due passi di legno e un cavallo selvaggio che sfugge dalle luci del buio… I nostri occhi ora son lucidi e profondi proprio come il canyon. I ricordi dell’escursione prendon già forma ma tra un po’ ci aspetta la risalita. Tornati all’imbocco della gola facciamo una leggera deviazione di percorso verso il laghetto. Spettacolo d’ incredibile bellezza. Uno specchio d’argento incastonato tra le rocce. I piedi nell’acqua offrono un refrigerio unico ed inatteso. La strada per raggiungere le jeep è tutta in salita. Quaranta minuti di duro cammino sotto il sole d’agosto. Riempiamo le nostre labbra d’interminabili respiri. Il silenzio ora muore solo per un brusio del vento. Stremati d’affanni giungiamo così all’inizio del sentiero. C’è una area pic nic destinata a raccogliere il nostro appetito. Le guide offrono il loro pranzo tipico. Pecorino, crema di formaggio, pane di patate, cannonau e salsiccia sarda… Sarà la stanchezza, la splendida avventura o il paesaggio, ma è tutto incredibilmente buono… La natura, il sottobosco, i massi, le api, il lago, i profumi, il pranzo, la jeep. Ricordi già vivi nel rosso dell’anima. Dolci come rugiada e liberi come sorrisi. Mille attimi da custodire. Ognuno sceglie i ‘suoi’ fotogrammi… Abbozzi evaporati in un’unica nuvola western…

Shantaram



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