Quello che mi ha incuriosito è il titolo dell'articolo nella presentazione in home page (lo si trova qui, più o meno a metà): Facebook Movie: Even Darker Than You Thougt, "Il film su Facebook: più oscuro di quanto credessi". Ecco. Quella parola, oscuro: quella parola lì c'è sempre. E sempre usata per migliorare l'idea di una cosa: in questo caso per ribaltare il pregiudizio che si può avere su un'operazione tanto interessante quanto potenzialmente farlocca come questa (chissenefrega, in fondo, di un nerd che ha fatto i miliardi). Ma non è mica l'unico caso.
L'Harry Potter di Cuaron, ad esempio, Harry Potter e il prigionero di Azkaban, sarebbe il migliore della serie perché cupo, indefinito, oscuro (l'ho sentito dire da persone che conosco, potrei chiedere conferma); e l'ultimo Batman di Nolan, The Dark Knigth, per farci ancora appassionare ai supereroi (di cui ne abbiamo chiaramente la balle piene), ci descrive l'uomo pipistrello come, per l'appunto, oscuro, vale a dire misterioso, ombroso, forse malvagio, insinuando un po' di sano dubbio e appagandoci con l'idea che non è più tempo per eroi tutti d'un pezzo, ma per quelli ambigui sì. E poi, ancora, le favole nere, cupe, oscure, di Tim Burton, che hanno conquistato il mondo per la stessa ragione: perché con il suo universo gotico Burton ha raccontato cose da bambini agli adulti, senza che quest'ultimi si sentissero dei completi deficienti e convincendoli pure di vedere qualcosa di profondamente umano e universale. Certo che è universale, santo dio, le fiabe esistono da quanto esiste il mondo: cosa ci sarebbe di tanto originale e avveniristico nel raccontare una storia morale con toni oscuri?
L'aggettivo oscuro, insomma, è uno dei mantra linguistici del nostro tempo, una di quelle figure con cui il discorso da commerciale si fa artistico, la parola d'ordine con cui eleviamo la normalità - o semplicemente la tradizione (delle fiabe, per esempio, o dei fumetti) - a specialità ed eccezione. Non a caso, lo si sente spesso in bocca agli amanti dell'arte popolare (fumetti, per l'appunto, o blockbuster): da un lato si ammette di amare il pop, anzi, di considerarlo la forma di discorso più pura, dall'altro, però, non lo si considera abbastanza credibile e allora lo si tinge di colori neri, indefiniti, oscuri, per renderlo più ambiguo e dunque più interessante. In un certo senso è pure questo il segno della fine di ogni certezza.