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[Eventi] Modena e il Festivalfilosofia sull’Amare. La lectio magistralis di Stefano Rodotà

Creato il 20 settembre 2013 da Queenseptienna @queenseptienna

Festivalfilosofia - Modena, Italy

Premessa

In questi giorni si sta tenendo a Modena un Festival della Filosofia, una kermesse culturale che ha come tema portante l’Amare, in tutti i suoi aspetti. Si tratta di un insieme di iniziative che spaziano tra musica, letteratura, teatro, filosofia (ovviamente), arte, spettacolo, mostre fotografiche, radio. Le personalità che hanno dato e daranno il loro contributo sono del calibro di Zygmunt Bauman, Stefano Rodotà, Philippe Daverio, Umberto Galimberti. Non sono mancati Giovanni Reale (sui suoi manuali mi sono addentrato anni annorum nell’universo filosofico), né Sossio Giametta (i suoi testi mi hanno consentito di affacciarmi al pensiero di Nietzsche). Ha fatto la sua comparsa anche Roberto Vecchioni (me la sono persa).

A Modena i miei punti di riferimento sono stati il Palazzo dei Musei a Largo Porta sant’Agostino (all’entrata ho incrociato Massimo Cacciari), via Emilia, la biblioteca Delfini con la sua piccola fiera del libro filosofico, Piazza Grande.

Proprio a Piazza Grande, assai gremita, alle 11.30 di sabato 14 settembre si è tenuta la lectio magistralis di Stefano Rodotà dal titolo Il diritto d’amore. La lezione poteva essere seguita comodamente in diretta streaming in diversi locali, cosa che ahimè ho scoperto dopo. Ho assistito alla conferenza in piedi, a quattro – cinque metri dal palco, appoggiato a una colonna a prendere appunti, immerso nella folla.

Chi è Stefano Rodotà? Nell’opuscolo che contiene il programma degli eventi, leggiamo:

Stefano Rodotà - Rome, Italy

Già Presidente dell’Ufficio del Garante per la protezione dei dati personali, è professore emerito di Diritto civile presso l’Università La Sapienza di Roma. Ha studiato l’irruzione della tecnologia nella vita democratica, sottolineando la complessità del rapporto tra sfera privata e sfera pubblica: in particolare per quanto riguarda la bioetica, la privacy, l’accesso all’informazione e la responsabilità della scienza. Tra i suoi libri recenti: Elogio del moralismo (2011), Il diritto di avere diritti (2012), Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata e i beni comuni (2013).

E ora, bando alle ciance, ecco il doveroso resoconto a beneficio di chi non c’era.

Lectio magistralis di Stefano Rodotà – Il diritto d’amore.

Nella nostra carta costituzionale non è contemplato il diritto individuale alla felicità. Non è nemmeno contemplato l’universo affettivo che, a ben vedere, non è giuridicamente rilevante. Sono tuttavia tutelati, almeno negli intenti, la dignità della persona e i suoi diritti fondamentali.

L’argomento della conferenza tenuta in piazza Grande a Modena, in occasione del Festivalfilosofia sull’amare, verte fondamentalmente sulla compatibilità tra due universi: il diritto e l’amore o, meglio, il diritto e qualunque dimensione affettiva.

Il conflitto emerge laddove si asserisca, a torto o a ragione, che l’amore lasciato a se stesso sia destinato a dissolvere la compagine sociale. L’amore, come la vita, è un che di multiforme, irriducibile alla logica del diritto. L’amore esige libertà, esprime la massima soggettività; il diritto per definizione è uniformità, regola che si fa restrizione. Eppure un punto di incontro devono averlo, perché in mancanza di regole  l’anarchia conduce a un caos ingovernabile. L’amore, insomma, rappresenta qualcosa che riguarda la vita della persona, le cui relazioni sono oggetto di disciplina normativa. Il diritto di famiglia è una fra queste.

Quando andavo all’università la prima lezione di diritto romano riguardava le Gai Institutiones (Le Istituzioni di Gaio), il primo manuale che dava una trattazione sistematica al diritto civile, tripartendolo in res, personae, actiones (i diritti reali tra cui il diritto di proprietà, le persone, il diritto processuale).

Nel mettere mano agli appunti che ho preso durante la conferenza, ho trovato questa tripartizione utilissima per raccogliere le fila dell’intero discorso. Res, personae e actiones non sono compartimenti stagni. A dirla cruda, attraverso il processo civile si cercava ragione di un diritto essenzialmente patrimoniale che poteva riguardare le cose come le persone. A proposito della logica proprietaria presente nel diritto di famiglia e nel matrimonio basti pensare a quanto diceva l’apostolo Paolo:

La moglie non ha potere sul proprio corpo, ma il marito; e nello stesso modo il marito non ha potere sul proprio corpo, ma la moglie (1Corinzi 7).

Ebbene non molto tempo fa ancora il matrimonio era un contratto che in capo al marito costituiva un diritto di proprietà e reciproci rapporti di debito e di credito. L’affettività nella relazione matrimoniale e nella vita famigliare che ne scaturiva, non trovava (e non trova) alcuno spazio. L’aridità del pensiero giuridico non andava oltre la logica proprietaria.

Solo di recente si è fatta strada l’idea che il diritto non possa impadronirsi della vita e di ogni suo aspetto:

La famiglia è un’isola che il diritto può appena lambire [Arturo Carlo Jemolo].

Il matrimonio è stato concepito come un contratto, nella fattispecie un contratto di diritto pubblico, per sua natura sotto lo stretto controllo dello Stato. Alla fine i matrimoni apparivano (ed erano e qualche volta sono) meri patti patrimoniali, a causa dei forti interessi in gioco. Non potevano essere contratti sentimentali per la semplice ragione che i sentimenti non sono, per loro natura, negoziabili.

I patti patrimoniali non erano sempre un male: data la posizione minoritaria della donna, qualora essa fosse stata titolare di un patrimonio, poteva garantirsi il diritto di amministrarlo direttamente, senza richiedere l’autorizzazione al marito.

L’idea che vi potesse essere uguaglianza tra i coniugi era inconcepibile nella logica gerarchica e autoritaria che reggeva il tutto. Rodotà precisa che a un certo momento il concetto stesso di di sovranità (dello stato) viene trasferito nella sfera familiare. Sia lo Stato sia la famiglia ha un sovrano. Ciò è avvenuto in massima parte attraverso il Code Napoléon del 1804, che registrò le forti impressioni che  la campagna d’Egitto suscitò a Napoleone. Non l’avrei mai detto che  il primo codice civile europeo traesse una qualche ispirazione dal diritto islamico:

art. 213: Il marito è in dovere di proteggere la moglie, la moglie di obbedire al marito.

Se tali erano le premesse, mettere sul piatto la questione dell’uguaglianza tra i coniugi era impensabile. L’unico spiraglio avrebbe potuto aprirlo solo un legislatore donna, per esempio Maria Teresa d’Austria, che nel Codice teresiano consentiva alla moglie di amministrare da sé i propri beni, senza la necessità di ricorrere a convenzioni ad hoc.

Bisogna attendere, in Italia, la riforma del diritto di famiglia (1975) perché le cose cambino di prospettiva. Si veda solo il tenore dell’art. 143 dell’attuale codice civile

  1. Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri.
  2. Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione.
  3. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.

e dell’art. 144:

  1. I coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa.
  2. A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato.

Con la riforma del 1975 si è scardinata l’asimmetria propria di alcune disposizioni che fino a non molto tempo fa rappresentavano punti fermi: il reato di adulterio imputabile solo alla donna, i figli naturali considerati come figli della colpa, e ora in tutto parificati ai legittimi, solo per fare qualche esempio.

A ben vedere è venuto meno il modello gerarchico autoritario, tanto da poter dire che oggi come oggi la famiglia non appartiene più al diritto pubblico. Ovviamente c’è il rovescio della medaglia. La famiglia va tutelata nell’ambito dei diritti fondamentali e del rispetto della dignità personale dei suoi componenti. Non per niente la carta costituzionale vi dedica tre articoli importanti, tra cui l’art. 31, di cruciale importanza:

La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.

Ciò a significare che se il diritto deve essere meno ingombrante, se deve cedere terreno in un senso, è chiamato a essere presente in ben altro ambito.

La questione si pone con particolare drammaticità in questo periodo di crisi dove, nel welfare, la politica si fa recalcitrante.

Non a caso Stefano Rodotà cita una canzone in lingua veneta di Gualtiero Bertelli del 1970, Nina ti te ricordi, interpretata anche da Francesco De Gregori , il cui testo non richiede chiose:

Nina ti te ricordi
Quanto che gh’avemo meso
Andar su sto toco de lèto
Insieme a fare a l’amor

Sie ani a fare i morosi
A strenzerla franco su franco
E mi che g’ero stanco
Ma no te volevo tocar

To mare che brontoeava
Quando che se sposemo
E ‘l prete che racomandava
Che no se doveva pecar

E dopo se semo sposai
Che quasi no ghe credeva
Te giuro che a mi me pareva
Parfin che fusse un pecà

Adesso ti spèti un fijo
E ancuo ea vita xè dura
A volte me ciapa ea paura
De aver dopo tanto sbajà

Amarse no xè no un pecato
Ancuo xè un luso de pochi
E intanto ti Nina ti spèti
E mi so disocupà.


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