Prendete un film come Scarface (1983), toglietegli l’interpretazione di Al Pacino e la regia di Brian De Palma. Cosa rimane? Poco bofonchieranno i tanti convinti dell’assoluta centralità dei due nella pellicola del 1983 scritta da Oliver Stone e candidata a tre Golden Globe. Altri rileveranno invece che uno degli elementi di maggior fascino del film sia nell’ascesa di un criminale di mezza tacca, Tony Montana, lo sfregiato appunto, a signore della droga folle, onnipotente e spietato. L’interesse, quasi antropologico, è per il percorso compiuto dal personaggio interpretato dall’ottimo Pacino, verso una posizione sempre più di vertice, sempre più di potere, ma soprattutto sempre più delicata.
La curiosità è tutta nel vedere come uomo che inizialmente sembra avere capacità e potenzialità piuttosto limitate possa gestire una situazione che per complessità sembra un fardello evidentemente troppo pesante. Le premesse da cui parte Breaking bad sono più o meno le stesse. Paradossale sostenerlo, visto che l’ambientazione passa dalla Miami dell’esplosione della cocaina negli anni ottanta ad una cittadina del Nuovo Messico contemporaneo e che la droga con cui si ha a che fare è la metanfetamina, dai risvolti e dai contorni decisamente meno cool. Ma la scalata del protagonista della serie che per tre stagioni è andata in onda sul piccolo canale via cavo Amc (emittente cui si deve anche il successo di Mad men e The walking dead) – e che ci sta per regalare una nuova season che parte da un cliffhanger davvero mozzafiato – è ancora più affascinante, perché, questa volta, il personaggio centrale non è un poco di buono disposto a tutto pur di raggiungere i vertici della malavita, ma un ingenuo professore di scuola superiore.
Quando a Walter White, rosso di capelli e con quella pancetta che fa molto uomo di mezz’età pasciuto, flaccido e con poche aspirazioni all’orizzonte, viene diagnosticato un cancro ai polmoni il suo primo pensiero va alla famiglia: come faranno moglie e figlio (con un grave handicap fisico) ad avere un futuro dignitoso senza il suo apporto economico? Qui la prima svolta della serie: la malattia non è mai strumentalizzata per accrescere la portata drammatica delle vicende, ma pur rimanendo la scintilla che accende Breaking Bad, rimane in secondo piano. Non mancano, certo, le scene di privata ed intima disperazione del protagonista, ma sono tanto ben dosate da non appesantire il crescendo che si aspettano gli spettatori puntata dopo puntata. Ovvero: la trasformazione del personaggio interpretato da Bryan Cranston (già protagonista di Malcom in the middle, e vincitore per l’interpretazione di Breaking bad di un Emmy Award), da quieto e sottomesso docente di chimica a “cuoco” di metanfetamina, e poi a spietato signore della droga, disposto a tutto pur di non coinvolgere la famiglia e garantire a moglie e figlio una futura sussistenza economica.
La fortuna della serie è tutta qui, nel saper miscelare perfettamente elementi che in altri contesti sarebbero davvero poco accomunabili: in particolare è il climax di tensione che lacera la coscienza di Walter White ad essere il cliffhanger più potente di Breaking bad, lasciando il personaggio sempre in bilico tra il tentativo di salvare il proprio status quo famigliare, rendersi credibile agli occhi di spacciatori e signorotti del malaffare (ridicolo quanto involontariamente funzionale il suo “travestimento” per certe occasioni) e tenere in piedi una bizzarra società con un suo ex studente, con cui ormai ha stretto un’amicizia distopica.
Michelangelo Pasini