Ex Machina - La Recensione

Creato il 27 luglio 2015 da Giordano Caputo
Ci sono dei tasselli che non combaciano in "Ex Machina", l'esordio alla regia dello sceneggiatore Alex Garland, dei passaggi in cui l'antropologia posta al centro e tanto cara al suo autore, sfuma inesorabilmente, riordinando i connotati di un thriller fantascientifico e psicologico, dagli atteggiamenti ambiziosi, a qualcosa di assai meno incisivo e convincente.
Che il premio vinto in azienda dal dipendente inappuntabile Domhnall Gleeson fosse qualcos'altro rispetto alla semplice interazione con un robot-donna dalle fattezze umane e l'intelligenza artificiale avanzatissima, lo si capisce immediatamente in pochissimi istanti, da quando il Mozart della programmazione informatica, Oscar Isaac, creatore dell'esperimento, fa capolino dalla cucina della sua dimora blindata e isolata dal mondo e cerca di indovinare cosa sta passando in quel preciso momento nella testa del suo dipendente impacciato. Il suo è un atteggiamento borioso, sovrastante, deciso a mantenere le distanze, ma con la pretesa di instaurare anche un legame amichevole e diretto con il nuovo ospite. Un'atteggiamento che però suona, altresì, come un'avvertimento, un'allerta: quella di rimanere concentrato e di stare in guardia, perché le menti con cui entrerà in contatto in quel luogo saranno sempre almeno un passo avanti a lui e qualora non sarà così faranno in modo che quel passo indietro, volente o nolente, lui lo esegua ugualmente.
Un poker senza carte né tavolo verde, dunque, in cui il pollo sa di essere pollo, ma per difendersi deve scoprire chi è il cacciatore: se l'uomo, suo simile, o la macchina da lui creata. Eppure in questa partita i due organizzatori non sembrano neppure tanto nemici, anzi, in qualche modo appaiono interessati a scoprire da che parte si schiererà la vittima, per cui entrambi barano diversamente, mischiando le carte e studiando reazioni. L'unica soluzione allora resta quella delle parole, delle espressioni, dei gesti, provare a tradurli nonostante siano eseguiti a regola d'arte sia da una parte che dall'altra, quell'altra che forse non a caso è stata costruita non uomo, ma donna, per di più pensante e affascinante.
Da questo meraviglioso spettacolo di finzione, di maschere e di simulazione Garland è attratto, catturato (come noi), ma tuttavia non pare riuscirlo a moderare a pieno servizio come forse dentro di sé sperava. E così, inaspettatamente, quando si accorge del peso grosso ingestibile sulla sua schiena, decide di ovviare lasciando crollare distrattamente tutto a terra, proprio durante quell'ultima manche attesissima che avrebbe dovuto sciogliere le riserve e stabilire i vincitori e i vinti.
Sceglie la soluzione più semplice "Ex Machina" come epilogo, quella che manda all'aria qualsiasi retaggio psichico e comportamentale per una poetica sciupa e scarna sulla sopravvivenza, una di quelle, per intenderci, facilmente calcolabile in fase di visione, ma scartata, perché, persino da parte nostra, non accettabile e scialba.
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