Che il premio vinto in azienda dal dipendente inappuntabile Domhnall Gleeson fosse qualcos'altro rispetto alla semplice interazione con un robot-donna dalle fattezze umane e l'intelligenza artificiale avanzatissima, lo si capisce immediatamente in pochissimi istanti, da quando il Mozart della programmazione informatica, Oscar Isaac, creatore dell'esperimento, fa capolino dalla cucina della sua dimora blindata e isolata dal mondo e cerca di indovinare cosa sta passando in quel preciso momento nella testa del suo dipendente impacciato. Il suo è un atteggiamento borioso, sovrastante, deciso a mantenere le distanze, ma con la pretesa di instaurare anche un legame amichevole e diretto con il nuovo ospite. Un'atteggiamento che però suona, altresì, come un'avvertimento, un'allerta: quella di rimanere concentrato e di stare in guardia, perché le menti con cui entrerà in contatto in quel luogo saranno sempre almeno un passo avanti a lui e qualora non sarà così faranno in modo che quel passo indietro, volente o nolente, lui lo esegua ugualmente.
Da questo meraviglioso spettacolo di finzione, di maschere e di simulazione Garland è attratto, catturato (come noi), ma tuttavia non pare riuscirlo a moderare a pieno servizio come forse dentro di sé sperava. E così, inaspettatamente, quando si accorge del peso grosso ingestibile sulla sua schiena, decide di ovviare lasciando crollare distrattamente tutto a terra, proprio durante quell'ultima manche attesissima che avrebbe dovuto sciogliere le riserve e stabilire i vincitori e i vinti.
Sceglie la soluzione più semplice "Ex Machina" come epilogo, quella che manda all'aria qualsiasi retaggio psichico e comportamentale per una poetica sciupa e scarna sulla sopravvivenza, una di quelle, per intenderci, facilmente calcolabile in fase di visione, ma scartata, perché, persino da parte nostra, non accettabile e scialba.
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