Cinque ragazzi decidono di trascorrere qualche giorno presso la baita dello zio di uno di loro. Il luogo è davvero selvaggio e desolato, ma immerso in una natura davvero incontaminata nella quale rilassarsi tuffandosi in torrenti dalle acque cristalline, oppure facendo gite in mountain-bike. Nel corso della loro permanenza diverranno tuttavia, loro malgrado, vittime di una creatura mostruosa che abita nei boschi, che ha tutte le caratteristiche del leggendario e crudele Bigfoot...
Avevo letto alcune recensioni non molto entusiastiche dell'ultimo lavoro di quello che potremmo definire uno dei padri fondatori del genere mockumentary, e cioè di Eduardo Sanchez, vedi ad esempio l'interessante articolo di Simone Corà a tale proposito. Avevo lasciato dunque il film in salamoia per qualche mese, meditando tra me e me se meritasse il tempo di una recensione. Lascio alla lettura della bella recensione di Simone i precisi e imprescindibili riferimenti ai precedenti lavori di Sanchez (e cioè The Blair Witch Project, 1999, Lovely Molly, 2011 e uno dei corti di V/H/S 2, 2013), e passo ad esprimere il mio parere su un film a mio avviso importante, poiché appartiene comunque alla storia di un filone perturbante che ha inciso parecchio nel tessuto dell'immaginario di noi spettatori.
Penso che "Exists" sia un film importante essenzialmente per motivi drammaturgici. Nel senso della drammaturgia del Perturbante, intendo dire. Sembra intanto voler calcare la mano, non tanto sul tema del "realismo" (aspetto molto sottolineato in "TBWP", ad esempio), quanto su un pessimismo nella risoluzione della vicenda, cioè sulla costruzione del Terzo Atto drammaturgico, che secondo me è magistralmente evocato, dosato e "cucinato" dal regista.
E' tutto il prefinale e soprattutto il finale a spingermi a dire questo: scusatemi se parto dalla fine, ma tutta la sequenza dei cadaveri distesi sul prato nel bosco incenerito, con l'unico superstite di cui seguiamo (identificandoci) le vicende finali, è degno di una rappresentazione scenica da tragedia greca. Con la differenza che non sono le Erinni ad essere chiamate in scena dal tragediografo, bensì una creatura primitiva iperbolica, insensata, neanche inscrivibile nella mitopoiesi antropologica statunitense classica del Bigfoot. Il registro retorico dell'"iperbole" mi sembra infatti la tecnica principe utilizzata da Sanchez in questo film: a partire dalla sequenza dell'ingresso invasivo del mostro dalla porta semidistrutta del cottage, assistiamo ad un'escalation disegnata appunto attraverso l'uso dell'amplificazione. Ad un mostro ne segue un altro ben più spaventoso, ad un colpo di scena un altro ancor più catastrofico (vedi la sequenza della roulotte, girata in un modo assolutamente ottimo, nella quale il senso di uno "sconquassamento" materiale, concreto riverbera in maniera straniante la perdita di senso ineluttabile cui vanno incontro i protagonisti).Il pessimismo, non solo "storico", ma "cosmico" cui potremmo dire un film perturbante si dirige nel suo incedere verso le angosce più profonde di uno spettatore, e che il più delle volte è caratteristica estetica che lo rende un'opera psicologicamente interessante, nonchè "sonda" esplorativa importante per indagare il tessuto delle angosce umane più inconsce, è qui sparso a piene mani, con un'amplificazione detonante nelle ultime scene. Tale aspetto estetico-filmico dell'opera di Sanchez me lo ha fatto molto apprezzare. Sanchez viene da una prova come "Lovely Molly", nella quale lascia stare la camera amatoriale e si addentra nel "cinema puro" producendo effetti molto positivi. In "Exits" riprende questo suo grande amore delle origini (peraltro mai dismesso) e usa il mocku come mezzo di riflessione sul Perturbante cinematografico, più che come tecnica in sè. Non gli interessano i protagonisti della storia, non guarda allo spessore psicologico dei personaggi, che potrebbero essere stati scelti anche con un casting del tutto diverso. L'orizzonte di Sanchez in questo film è, potremmo dire, decisamente più "filosofico".E si tratta di una filosofia che permettetemi di definire "leopardiana", nel senso che Sanchez in questo film ci sta parlando per l'appunto dell' "infinita vanità del tutto" di una condizione umana dominata dall'"impersonale" che la attraversa. Così come è impersonale la Pulsione, è impersonale anche la Morte, tanto quanto, paradossalmente, il legame familiare che unisce nella loro intrinseca diversità il terribile Bigfoot e lo zio che ospita a sua insaputa il nipote e gli amici tardo-adolescenti nella sua baita. Il mostro dei boschi credo possa essere visto come personificazione di tale aspetto di impersonalità che se ne frega bellamente del soggetto, dell'individuo e del suo desiderio, come accade anche alla Natura circostante, eternamente solo legata a se stessa e ai suoi violenti ritmi di nascita, morte, organicità e putrefazione. Il film si conclude infatti in un'atmosfera cimiteriale, mortifera in modo radicale. Ma è proprio questa radicalità del pessimismo di Sanchez (un'assolutizzazione del concetto di "rimozione originaria"?) che permette un'apertura al costruirsi di nuove storie: e questa è esattamente la funzione narrativa più intrinseca alla drammaturgia propria di un film horror. Infatti Bigfoot, l'Impersonale non muore mai (è pura mitopoiesi), è sempre lì nei boschi, e proprio perchè non muore mai consente la possibilità di un rilancio narrativo, di una nuova storia, di un nuovo film nel quale (chissà?) magari un giorno sarà davvero sconfitto come "lato oscuro della forza".
"Exists" parla di tutte queste cose, attraverso la creazione infiltrativa e tendenzialmente esponenziale di un mood pessimistico che apre a riflessioni molto interessanti. Per questi motivi è da considerare come una nuova declinazione del mocku che non può mancare nella collezione degli amanti del genere.