Expo 2015: l’opportunità di un evento riciclabile

Creato il 10 luglio 2013 da Sdemetz @stedem

Il primo ministro Gianni Letta insieme al Presidente della Repubblica hanno presentato in pompa magna l’Expo che sarà ospitato a Milano. Data d’inizio: maggio 2015.

Milano, città di business e crocevia di commerci ha già ospitato l’Expo, la prima volta nel 1906. Erano tempi diversi e il concetto di “fiera campionaria universale” aveva un senso in una società che certamente non poteva godere di sistemi di comunicazione come quelli in dotazione oggi, nella vera società globale.

È questa forse una delle tante argomentazioni di chi è contro l’Expo. Che senso ha una fiera oggi? E questa non è l’unica voce contro. Expo è solo vetrina, invece dobbiamo investire nel’industria. Expo sarà corruzione e tangenti. Expo è devastazione urbanistica.  Expo non richiamerà nuovi turisti, ma solo quelli già in Italia. Expo sarà la sagra degli enti pubblici, mentre i privati devono chiudere o espatriare. L’Expo non appartiene ai suoi cittadini.

Radio Tre ha raccolto questo cahier de doléance nella sua trasmissione “Tutta la città ne parla” e ha cercato di dare una risposta ai tanti dubbi. Dubbi che sono diffusissimi. D’altra parte basta fare una piccola rassegna stampa per rendersi conto di come poco sia amato questo mega evento. Le parole più diffuse: corruzione, tangenti, spese inutili, mafia, ritardo, inefficienza …

Andiamo allora con ordine e vediamo gli aspetti critici, ma anche le risposte positive che si possono dare. Ciò che segue non è farina nel mio sacco. Sono messe a fuoco su alcune parole che gli ospiti di “Tutta la città ne parla” hanno pronunciato e che mi paiono molto interessanti, anche per una lettura più ampia che investa il tema mega eventi tout court.

Una città indifferente

Milano, spiega Giangiacomo Schiavi (vice direttore del Corriere della Sera), non è ancora entrata nel clima dell’Expo e vive l’attesa con grande indifferenza. Forse, continua, l’intervento di Napolitano e Letta aiuteranno ad accendere l’interesse. Certamente da oggi si dovrà lavorare per far conoscere l’Expo prima ancora che agli stranieri, ai milanesi.

Effettivamente, per ciò che ho potuto vedere io stessa, le uniche tracce da Expo a Milano sono un’infilata di bandiere in Corso Vittorio Emanuele e qualche poster o striscione sparso per la città. Credo, tuttavia, che non saranno né azioni pubblicitarie dispendiose, né conferenze stampa extra lusso che riusciranno a rendere partecipe la città.

Partecipe significa partecipare. Significa coinvolgere. Significa dare un ruolo attivo ai milanesi che dovranno accogliere centinaia di migliaia di persone da tutto il mondo. La comunicazione non potrà essere solo di facciata. Dovrà essere integrata e condivisa. Eventi, attività, corsi di formazione, coinvolgimento di corsi universitari, corsi di formazione, corsi di lingue straniere, feste e incontri, attività culturali: sono tutti piccoli esempi concreti di ciò che si dovrebbe fare. E lo si dovrebbe fare dentro un unico grande disegno armonico.

Un esempio interessante proviene dai Mondiali di calcio del 2006 in Germania. Tramite il concetto di feel good effect si creò allora partecipazione e formazione. Invito alla lettura di uno studio interessante scaricabile da internet.

Mancano due anni. Ce ne erano sette a disposizione per legare la cittadinanza al suo più grande evento. Hurry Up, Milano, mi verrebbe da dire. È ora di rendere partecipe i tuoi cittadini. Di entusiasmarli.

L’Expo serve davvero?

C’è solo retorica dietro le apparizioni promozionali e i numeri snocciolati da Letta? O l’Expo è più di una semplice fiera e metterà in moto l’economia del nostro paese e ne rivaluterà l’immagine?

Risponde il Prof. Luigi Bobbio, docente all’Università di Torino in Analisi delle Politiche Pubbliche:

Il vantaggio primario dei grandi eventi è quello di costringere le amministrazioni pubbliche a finire interventi infrastrutturali entro una data specifica. Ecco perché, spiega il professore, sono tante le nazioni o le città che si candidano per organizzare mega eventi. È un’occasione unica perché entro una scadenza certa si potranno concentrare relazioni, investimenti, risorse. Se le città riescono a realizzare le cose con prospettive strategiche il successo è straordinario. Barcellona fu esattamente questo nelle Olimpiadi del 1992.

È chiaro che i dubbi di molti milanesi e di molti italiani trova proprio in questo punto la sua benzina. Le Olimpiadi di Torino che da un lato hanno dato tanto, dall’altro hanno lasciato anche cattedrali nel deserto e debiti immensi nelle casse della città. E non tutto si è costruito in tempo.

La parola chiave, banalissima, è pianificazione e bando alle ciance. Ora si lavora!

Mancano due anni. Ma ce ne erano sette a disposizione per avviare cantieri, costruire e riuscire a dedicare gli ultimi mesi a semplicemente a stendere tappeti e lucidare gli ottoni.

Più verosimilmente l’ultimo bullone sarà avvitato al taglio del nastro. Ma questo è anche spesso il decantato valore degli italiani. L’importante è che questo evento riesca a far defluire nuove  risorse per ripensare una città. Ce la farà Milano?

Riciclo da evento

Che effetti hanno questi mega eventi, chiede il giornalista di Radio Tre? Ed ecco la risposta più importante, a mio avviso, dentro questo dibattito. Ce la offre l’urbanista Michele Talia.

Gli eventi sono effimeri, dice, e la loro grande sfida consiste nel creare effetti permanenti. Immaginare l’Expo semplicemente come una grande fiera è riduttivo e datato. L’Expo dovrà invece essere in grado di mettere in moto nuove relazioni e ri-valutare il rapporto con il territorio.

E per divenire permanente L’Expo dovrà mobilitare energie e intelligenze, dovrà legarsi alla cultura, alla ricerca, al turismo, alla produzione artistica e a una nuova cultura dell’abitare. Tutto ciò dovrà radicarsi a tal punto da poter essere riciclato per il territorio e la cittadinanza quando l’Expo non ci sarà più.

Nel cahier de doléance questa è la preoccupazione principale. Milano aveva sette anni a disposizione per mettere in moto tutto questo.  Gliene rimangono solo due e il rischio del correre in rincorsa rischia di costringere gli organizzatori a rispettare le scadenze da evento e tralasciare la vita post-evento.  Sarebbe la peggiore sconfitta.

La parola chiave è vitalità. È evidente che la sola sostenibilità non basta.

Diamoci una possibilità

Lascio ai lettori, che vogliano proseguire questo dibattito, il piacere di ascoltarlo nel podcast scaribile dal sito di Radio Tre. Potrete ascoltare le riflessioni su due altri due temi spinosi: il lavoro e l’infiltrazione mafiosa. Ma sentirete anche che questo Expo vuole trasformarsi in un’agorà polifonica sul tema alimentazione e unire un tema tanto antico come il cibo all’esperienza tecnologica e avanzata della smart city.

E appunto: amando i grandi eventi, e amando Milano voglio chiudere con uno sguardo ottimista. Dal giorno 8 luglio 2013 l’Expo con la sua presentazione istituzionale è uscito dagli uffici. Ad oggi sono 131 le nazioni iscritte.

C’è tanto, tantissimo da fare. E allora l’unica vera parola chiave che mi sento di usare è possibilità.

Diamoci questa possibilità.

La possibilità di avere un evento che funzioni. La possibilità di avere un evento che lasci tracce vitali e rigeneranti dopo la sua fine. La possibilità che Milano torni ad essere una capitale dinamica e innovativa anche nelle sue infrastrutture e che si trascini con sé altri pezzi d’Italia. La possibilità che la cultura e la formazione entrino con prepotenza dentro l’Expo per vivere ancora dopo. La possibilità di avere cantieri anti-mafia, ma per davvero. La possibilità di regalare ai milanesi e a tutti gli italiani sei mesi straordinari di flussi, di incroci, di esperienze, di rinascita, non solo economica, non solo culturale ma pure emotiva. Che l’Expo ci ridia la voglia di stare insieme e di costruire.  E di credere nel nostro potenziale.

Queste sono le grandi responsabilità di Milano. Non solo per sé, ma per tutti noi.

Infine, vorrei credere anche nella possibilità che l’Expo dia ai grandi eventi una scuola, una best practice da seguire. L’event management è una professione straordinaria, ma in Italia ha bisogno di competenze e di spazi in cui svilupparsi. Se fallirà l’Expo, perderemo qualcosa anche noi, che di organizzazioni di eventi viviamo e ci nutriamo.

Per approfondire:

Blog e siti su Expo 2015

Articoli di blog  sul tema Expo


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