E così, l’Europa tecnocratica dei ragionieri e delle lobby, nobilitati proprio da quella popolazione che strabuzza gli occhi ogni qualvolta sente parlare di “professionismi”, mette il becco anche su questioni che non sarebbero forse di sua esclusiva pertinenza. I contabili incravattati di Bruxelles, dopo aver già dato il via libera al cioccolato senza cacao, al vino senza uva e alla carne annacquata, parlano già di formaggio prodotto senza latte con ovvi svantaggi per l’Italia (si computa che, ma siamo pur sempre nel regno del possibile, in Italia ve ne siano più di 500 tipi). Ognuno di quei tanti formaggi, un po’ come i Comuni del duecento, ha la sua storia sociale, antropologica, artigianale, locale (è un po’ l’esempio, se si vuole, del problema ed insieme della ricchezza del Belpaese. Individualisti fino all’osso… ad ogni comunità locale il suo formaggio. Laddove le signorie italiane non riuscirono ad unirsi per cacciare nel XV secolo Carlo VIII, Luigi XII e Francesco I, oggi i produttori di formaggi, spesso polverizzati tra interessi particolari divergenti e microcosmi economicamente irrilevanti, non riescono a far fronte comune contro un mercato globale fatto esclusivamente di quantità e di grandi numeri). E infatti, in barba a quelle biodiversità nemiche delle multinazionali che fanno da sponsor proprio al baraccone Expo, la Commissione Europea ha avviato una procedura d’infrazione perché considera la legge italiana a tutela della qualità come “una restrizione alla libera circolazione delle merci, essendo la polvere di latte e il latte concentrato ampiamente utilizzati in tutta Europa” (già una mozzarella su quattro vendute in Italia, almeno prestando ascolto ai dati, ha una provenienza straniera).
Nonostante l’Expo milanese che,
diciamoci la verità, rassomiglia più ad un’enorme festa dell’unità
internazionale che ad un luogo in cui le idee possano dialogare per creare un
mondo migliore, l’UE non manca di vaneggiare anche sulle tematiche alimentari (della
serie “nutriamo il pianeta”, ma solo se ci conviene farlo! In fondo, si sa, la
fame non è esclusivamente un problema di risorse alimentari. I cibi, assurti
nel frattempo a merci al pari di qualsiasi altro oggetto, vanno laddove possono
spuntare un prezzo migliore, e non invece laddove ce n’è davvero bisogno. Il
mercato non ha pretese umanitarie e solidali!).
E così, l’Europa tecnocratica dei ragionieri e delle lobby, nobilitati proprio da quella popolazione che strabuzza gli occhi ogni qualvolta sente parlare di “professionismi”, mette il becco anche su questioni che non sarebbero forse di sua esclusiva pertinenza. I contabili incravattati di Bruxelles, dopo aver già dato il via libera al cioccolato senza cacao, al vino senza uva e alla carne annacquata, parlano già di formaggio prodotto senza latte con ovvi svantaggi per l’Italia (si computa che, ma siamo pur sempre nel regno del possibile, in Italia ve ne siano più di 500 tipi). Ognuno di quei tanti formaggi, un po’ come i Comuni del duecento, ha la sua storia sociale, antropologica, artigianale, locale (è un po’ l’esempio, se si vuole, del problema ed insieme della ricchezza del Belpaese. Individualisti fino all’osso… ad ogni comunità locale il suo formaggio. Laddove le signorie italiane non riuscirono ad unirsi per cacciare nel XV secolo Carlo VIII, Luigi XII e Francesco I, oggi i produttori di formaggi, spesso polverizzati tra interessi particolari divergenti e microcosmi economicamente irrilevanti, non riescono a far fronte comune contro un mercato globale fatto esclusivamente di quantità e di grandi numeri). E infatti, in barba a quelle biodiversità nemiche delle multinazionali che fanno da sponsor proprio al baraccone Expo, la Commissione Europea ha avviato una procedura d’infrazione perché considera la legge italiana a tutela della qualità come “una restrizione alla libera circolazione delle merci, essendo la polvere di latte e il latte concentrato ampiamente utilizzati in tutta Europa” (già una mozzarella su quattro vendute in Italia, almeno prestando ascolto ai dati, ha una provenienza straniera).
Mentre in Italia l’ipocrisia dell’Expo
finge di discutere per trovare soluzioni alle problematiche alimentari, a
Bruxelles non si perde tempo e si
avanzano davvero contromisure “concrete” per “nutrire il pianeta”, consapevoli
che, in fondo, non sono mai stati specificati i prodotti con cui saziare quel
mondo tanto "caro". Mangiamo merda, e magari ne siamo, tutto sommato, persino contenti,
specie se la possiamo consumare in qualche boutique del cibo o in qualche luogo
che attira la pubblicità delle tv proprio perché si è voluto fare del
mercimonio una religione alimentare. Retrocessi a water, a tubi digerenti,
siamo ormai pronti a lasciarci attraversare da qualsiasi prodotto senza colpo
ferire. Abbiamo stomaci esagerati e per tutti i gusti…e già la Catena delle “catene”
preannuncia cheeseburger diversi nel mondo con l’uso di latte in polvere
nazionale: la biodiversità sembra essere quindi salva…
E così, l’Europa tecnocratica dei ragionieri e delle lobby, nobilitati proprio da quella popolazione che strabuzza gli occhi ogni qualvolta sente parlare di “professionismi”, mette il becco anche su questioni che non sarebbero forse di sua esclusiva pertinenza. I contabili incravattati di Bruxelles, dopo aver già dato il via libera al cioccolato senza cacao, al vino senza uva e alla carne annacquata, parlano già di formaggio prodotto senza latte con ovvi svantaggi per l’Italia (si computa che, ma siamo pur sempre nel regno del possibile, in Italia ve ne siano più di 500 tipi). Ognuno di quei tanti formaggi, un po’ come i Comuni del duecento, ha la sua storia sociale, antropologica, artigianale, locale (è un po’ l’esempio, se si vuole, del problema ed insieme della ricchezza del Belpaese. Individualisti fino all’osso… ad ogni comunità locale il suo formaggio. Laddove le signorie italiane non riuscirono ad unirsi per cacciare nel XV secolo Carlo VIII, Luigi XII e Francesco I, oggi i produttori di formaggi, spesso polverizzati tra interessi particolari divergenti e microcosmi economicamente irrilevanti, non riescono a far fronte comune contro un mercato globale fatto esclusivamente di quantità e di grandi numeri). E infatti, in barba a quelle biodiversità nemiche delle multinazionali che fanno da sponsor proprio al baraccone Expo, la Commissione Europea ha avviato una procedura d’infrazione perché considera la legge italiana a tutela della qualità come “una restrizione alla libera circolazione delle merci, essendo la polvere di latte e il latte concentrato ampiamente utilizzati in tutta Europa” (già una mozzarella su quattro vendute in Italia, almeno prestando ascolto ai dati, ha una provenienza straniera).