Tutti seduti su sedie immaginarie intorno a una tavola preparata coi piatti non ancora impegnati al Monte, ma vuoti, la famiglia nazionale decide il tutto per tutto: sposare la figlia, accasarla con il possidente ignorante, volgare, ma benestante, in modo da stringere un vincolo che un domani chissà.. porti altri matrimoni, aiuti compassionevoli, abbonamento di qualche debito. Così vanno dai cravattari, fanno i “buffi”, si vestono e impennacchiano, impegnano la catenina della Comunione e affittano la villa, chiamano cuochi e pasticceri per il sontuoso fidanzamento, invitano parenti e conoscenti per l’ostensione del lusso provvisorio, dell’opulenza occasionale che nasconde, crepe, fame, umiliazione.
Come in una commedia di Scarpetta pare che non sia più possibile sospendere le nozze. E mica vorremo farci riconoscere: adesso è urgente e irrinunciabile fare un po’ di fuffa, far vedere che siamo per bene, che manteniamo gli impegni, che a mille regole mai rispettate ne aggiungeremo altre festosamente e fortunatamente inattuabili per complessità e severità, che laddove si aggiunge è bene togliere.
Quindi se si addizionano altre leggi, basta poi levare controllori, limarne i compiti, tagliare con l’accetta lacci e laccioli, che pare paradossalmente che sia la troppa vigilanza a alimentare il malaffare, gli ostacoli a suscitare una gran voglia di aggirarli, i sorveglianti, soprattutto se ligi e onesti a eccitare malignamente trasgressione e peccato. Eh si è sufficiente sostituire l’eccesso di burocrazia con autorità autorevoli, decisori decisionisti, poteri onnipotenti, particolarmente graditi se assumono un valore simbolico e se vantano curriculum e referenze in magistratura come garanzia. È irrinunciabile semplificare, operando opportune chirurgie, sovrintendenze,organismi di controllo, convertire i silenzi assensi in generosi consensi, tutto ben indirizzato in modo da elargire poco bastone e molte carote a chi ha sbagliato si, ma ha l’attenuante di aver dovuto farsi largo nella giungla amministrativa, frutto di antichi regimi arcaici e misoneisti.
Insomma indietro non si torna e questa Expo s’ha da fare, la mostra, come una sacra reliquia della nostra tradizione, la esibizione in una prestigiosa vetrina delle nostre produzioni, deve far dimenticare la vergogna di un paese consegnato alla criminalità, tutta equamente organizzata, spesso alleata nelle sue diverse forme: mafie, aziende legali quanto informali, istituzioni finanziarie, amministrazioni pubbliche poteri ai vari livelli territoriali.
E non importa se in virtù della idolatrata globalizzazione e delle labirintiche regole europee, la purezza e l’origine dei nostri frutti sono un puro artificio scenico, se il nostro territorio è talmente contaminato, avvelenato, intossicato da far guardare agli Ogm, peraltro presenti sulle nostre tavole da sempre, come a una garanzia di “verginità”, se è preferibile il siero tedesco al latte delle bufale gonfiate dagli ormoni o pascolanti nell’ex Campania Felix ridotta a Terra dei Fuochi.
Eh si the show must go home e sotto all’effigie di Ho Chi Min l’inossidabile guappo, ora nelle vesti di castigamatti, perora l’invito al grande evento, già peraltro declinato da ospiti più ragionevoli, nella convinzione risibile che si possa fare come nelle liquidazioni, mettendo in vetrina prodotti civetta o una fidanzata impennacchiata e truccata per nascondere le magagne, per attrarre i compratori. L’ aveva fatto Monti, l’aveva fatto Letta, commessi viaggiatori corsi in emirati, imperi, regni, col campionario in valigia e il cappello in mano, a comprare compratori, partecipando agli acquisti pur di convincerci che stavano lavorando per noi e i padroni dentro e fuori Italia di essere servitori zelanti.
Invece un Paese che volesse mostrare di riscattarsi, l’Expo proprio non dovrebbe farla. Non dovrebbe abbonare il maltolto al Maltauro, a Elios, alla Cmc, alla Piastra coi soliti Galan e Matteoli, non dovrebbe cedere al ricatto delle Grandi Opere volute da una cupola sovranazionale che mira a indebitare sempre più lo Stato per ricattarlo e costringerlo alla cessione di sovranità e democrazia, non dovrebbe rappresentarci un evento di cartapesta come motore di occupazione, quando in fase di realizzazione si consuma la perfetta attuazione del lavoro irregolare, precario, sottopagato, non garantito, e poi, durante la kermesse quella del lavoro dequalificato, mobile, occasionale.
Un governo attento oltre che all’interesse generale, alla sua credibilità fuori dai confini ddi quello che ormai è considerato un molesto Terzo Mondo in Europa, da mungere e disprezzare, dovrebbe avere la forza di riscattarsi con la rinuncia a un’opera inutile, destinando e non simbolicamente investimenti, sostegno internazionale, aiuti al risanamento e alla manutenzione di Pompei, dirottando i fondi alla realizzazione degli interventi necessari alla disattivazione degli impianti inquinanti e alla bonifica del sito industriale e delle zone limitrofe dell’Ilva di Taranto. Che quelle sono le nostre vergogne, non la chiusura di un cinema dove si proietta un vecchio cinepanettone.