Inviati, camioncini, roulotte con antenne paraboliche, giornalisti di punta, cameramen, blogger e tecnici del suono da ogni parte del mondo infestano la città e il Vaticano da più di quindici giorni. Rimangono all’erta ventiquattro ore su ventiquattro, sempre a caccia di qualcosa che può ingolosire gli stomaci insaziabili dei loro direttori.
La morte di un papa attira le attenzioni del mondo; l’elezione del suo successore ne fomenta la curiosità morbosa.
L’altro giorno, uno dei più importanti quotidiani online ha spiattellato in prima pagina le foto del cardinale Tentìn mentre indossava il suo pigiama prima di andare a letto. Le notizie degli affari del cardinale Montebello, legato a doppio filo con alcuni esponenti politici appena condannati per peculato, non fanno che infiammare i dibattiti televisivi e le voci autorevoli della blogosfera. Per non parlare di quello che è successo al povero cardinale Lancastir, che per passare inosservato e sviare l’attenzione dei media ha tentato di recarsi al Sinodo con una bicicletta. Salvo ottenere l’effetto contrario, divenire uno dei simboli di questo conclave ed essere quotidianamente asserragliato da giornalisti e telecamere.
Ma non fraintendetemi: non è affatto un male.
Anzi.
L’importante è che se ne parli.
E i media sono un ottimo mezzo per diffondere la verità.
La propria versione della verità, quantomeno.
Quando l’auto si ferma davanti all’ingresso non faccio in tempo a mettere piede a terra che vengo circondato da una falange di microfoni, telecamere e cronisti.
Mi bersagliano da tutte le direzioni con una sassaiola di domande.
Italiano, inglese, spagnolo, portoghese, russo, cinese e altre lingue si fondono insieme per creare una musica universale che ha nel punto interrogativo il suo tono più elevato.
Sorrido. Stringo le palpebre fino a farle diventare due fessure, rilasso i muscoli della faccia e assumo un’espressione placida, tranquillizzante. Sollevo gli avambracci, e con i palmi delle mani rivolti in avanti, facendo segno di fare piano. «Signori, per piacere. Con calma.»
«Eminenza, chi pensa che verrà eletto?», mi domanda un giornalista in un italiano un po’ stentato e la cadenza tipicamente frònscese.
Scuoto la testa. «Non lo so.»
«Ha già deciso per chi votare?», chiede una voce femminile dalle retrovie.
«Sì, ho le idee chiare al riguardo.»
«Può dirci il nome?»
Sorrido di nuovo. «Assolutamente no.»
«Eminenza, quanto crede che durerà questo conclave?»
I media sono lo strumento perfetto per inviare messaggi a chi di dovere. L’occasione è delle più ghiotte. Fisso una delle tante telecamere che mi stanno davanti. «Non posso sapere quanti scrutini ci vorranno per eleggere il nuovo pontefice, ma so che i colleghi cardinali hanno fretta di tornare alle proprie diocesi. Posso sbilanciarmi nel dire che sono sicuro che non ci vorrà molto tempo prima che trovino un’intesa su un nome che metta tutti d’accordo.»
Se specificassi che il nome in questione è il mio, peccherei di superbia. E si sa che la superbia è un vizio capitale.
«È vero che nel pomeriggio di oggi sarà lei a celebrare la messa funebre del Senatore Diveno?», chiede qualcun altro.
Annuisco. «Il senatore Diveno, oltre ad essere stato un punto di riferimento della politica italiana, era un cristiano e un devoto ammirevole. Andava a messa tutti i giorni, e da quando si era ammalato, il parroco della sua parrocchia si recava a casa sua per portargli la comunione. Era un mio amico, una persona straordinaria. Ha chiesto che fossi io a celebrare la sua messa funebre, perciò, anche se siamo in un momento particolarmente delicato per la Chiesa, non vedo nulla di strano nel rendere omaggio a un uomo che volevo bene, rispettandone le ultime volontà.»
«Anche se sono le volontà di una persona sulla quale gravavano accuse infamanti come quelle di associazione e collusione mafiosa?»
Conosco questa voce.
Mi giro a destra. Marco Finotti, blogger e giornalista, ha il solito sorriso da saputello stampato su un grugno. Grugno che, se non fosse per l’abito che indosso, avrei già preso a pugni più che volentieri.
Allargo le braccia. «Il ruolo che rivesto impone che io rispetti le ultime volontà di una persona defunta. E quella persona ha voluto che fossi io a celebrare il suo funerale, come ho già specificato.»
«Non ha risposto alla mia domanda», puntualizza Finotti.
Taglio corto. «Le ho risposto su ciò che concerne i miei affari e gli affari della Chiesa. Del resto non mi curo. Grazie a tutti.»
I giornalisti mi tempestano con altre domande mentre mi svincolo dalla loro morsa.
Le loro voci mi seguono quando passo di fianco alle guardie svizzere e oltrepasso il portone. Quando attraverso l’atrio posteriore rimbombano ancora, anche se indistinte, tra le pareti.
Poi si tacciono di colpo.
Faccio in fretta a raggiungere il mio ufficio, e quando apro la porta, nonostante siano appena le sei e mezza del mattino, tutto il mio entourage è già al lavoro.
Seduti davanti alla mia scrivania trovo l’Arcivescovo Maccio, Sostituto per gli Affari Generali;
Monsignor Donzelli, Segretario per i rapporti con gli Stati;
l’Arcivescovo Smith, direttore dello IOR;
il cardinale Sterpis, direttore della CEI.
Ho scatenato i miei mastini della guerra.
Perché è venuto il momento di vincerla.
Mi siedo alla mia scrivania e fisso a uno a uno i mastini che ho davanti. «Abbiamo il bollettino definitivo?»
Il cardinale Sterpis si agita sul proprio scranno. «Eminenza, purtroppo abbiamo un grosso problema.»
Corrugo le sopracciglia. «Ti ascolto.»
Il cardinale guarda a terra. Dalle sue labbra non esce nemmeno un sussurro.
Si intromette monsignor Donzelli. «Eminenza, sembra che molti cardinali non rispetteranno i patti e non manterranno le promesse fatte.»
«Che significa?»
«Significa che sono venuti meno i voti dei cardinali provenienti dall’America Latina. Più una significativa quota di cardinali europei e africani.»
«Quindi?»
«Quindi non abbiamo più i voti necessari per la sua elezione a Sommo Pontefice, Eminenza.»
[Continua...]