Alessandria, 15 giugno 2013 – James Simon Wallins Hunt faceva all’anagrafe come nome completo, ma per gli altri era semplicemente James Hunt, per gli appassionati “Hunt the shunt” giocando col suo cognome che sembrava fatto apposta per anagrammare con la parola “shunt” che vuol dire incidente.
James Hunt monta al volante di una March nel 1973 e ottiene subito risultati di tutto rispetto, arrivando a podio addirittura alla sua 4° gara in Olanda, e li incomincia a farsi notare per il suo stile di guida irruento, cattivo e per il carattere scorbutico e polemico sempre pronto a tirare frecciatine a chiunque non le vada a genio.
Come detto il Barone Hesketh le sponsorizza gli inizi di carriera ma nel 1974 ma il legame diventa ancora più forte (tra donnaioli ci si intende) con la nascita del team Hesketh e la prima vittoria nel 1975 sempre a Zandvoort.
Nel 1976 la Hesketh ha problemi economici e James Hunt salta a piè pari sulla Mclaren M23 e si scontra con il suo rivale più acerrimo un certo Niki Lauda.
Due personalità così diverse, Lauda serio e calcolatore contro un Hunt guascone e tutto staccate e traversi, si scontrano in un mondiale talmente bello, appassionante e romantico che a fine di quest’anno diventerà un film.
Niki Lauda domina con la 312\T2 l’inizio del mondiale fino al famoso incidente con rogo al Nurburgring che costringe Lauda ad uno stop forzato di 40 giorni (ma con un recupero miracoloso) e in questo periodo Hunt si rifà alla grande recuperando tutto il vantaggio e arrivando a soli 3 punti di distacco all’ultima sfida al Fuji in Giappone.
Come lo ha descritto Enzo Ferrari nel suo libro “Piloti, che gente!” la carriera di James Hunt dopo il mondiale è una parabola discendente; soldi, donne, fama portano però con se errori, incidenti, polemiche che portano Hunt a calare nella mediocrità assoluta. Basti pensare che vincerà nei 3 anni successivi al mondiale metà esatte (3 a 6) gare rispetto a quelle che vinse solo nell’anno iridato del 1976.
Passato da Mclaren a Wolf nel 1979 James Hunt, a sorpresa, si ritira dalle competizioni alla vigilia del gran premio di Montecarlo a modo suo, alla Hunt. Se fosse un cobra non avrebbe potuto affondare i canini e iniettare più veleno meglio di così dichiarando ”Lascio ora e definitivamente perché – nel mondo della F1 – l’uomo non conta più!”.
Dedicatosi alle telecronache in compagnia del leggendario Murray Walker per la tv inglese BBC, regala anche qui pillole di ironia grazie alla differenza abissale che c’era tra i 2, venne trovato morto nel suo appartamento a Parigi esattamente 20 anni fa per un attacco cardiaco.
James Hunt era il simbolo dei piloti anni ’70 bello, ricco, donnaiolo, irrascibile, sempre seduto all’unico motorhome presente in Formula 1 all’epoca (il Marlboro Motorhome) con un drink in una mano e una sigaretta nell’ altra ma con a fianco sempre una splendida ragazza che per lui avrebbe fatto follie.
Capace anche di creare paradossi nella sua vita quando sposò Suzi nel 1976, ma ad ogni sacrosanta trasferta si dimenticava della promessa fatta, per poi essere scaricato e abbandonato e soffrire come un fidanzato innamorato e tale sofferenza ripercuoterla in F1 inanellando serie di incidenti e uscite di pista gratuite.
Leggendaria la sua passione per i pappagallini (gliene regalò la prima coppia l’ex-moglie) che lo portò addirittura a vendere la sua Mercedes per un’ Austin A35 furgonata per rendere più comodo il trasporto di essi perchè tanto James Hunt era talmente sopra le righe che avrebbe fatto colpo sulla più bella del party anche se si fosse presentato a piedi nudi ( e girava davvero a piedi nudi per il paddock).
L’uomo che, a suo dire, ha avuto più di 5000 donne descriveva così la sua vita: “La vita è breve e voglio trarne il massimo godimento. Ho diviso il mio tempo tra le cose serie e quelle divertenti. Mi impegno a fondo seriamente nelle prime e mi diverto a fondo con le seconde”
F1 | A 20 anni dalla scomparsa di James HuntF1Sport.it - F1 Formula 1 F1 Tecnica F1 News Team Analisi