F1 | I Team Indimenticabili: la Brabham

Da Tony77g @antoniogranato

Luca SarperoF1Sport.it

11 Dicembre 2013 – Il secondo appuntamento della collana “I Team Indimenticabili” è dedicato ad un team che ha segnato la storia della Formula 1 prima di cadere nell’oblio che, senza dubbio, non meritava: la Brabham.

Agli inizi degli anni 60 Jack Brabham aveva tutto. Due volte campione del mondo (1959 e 1960) e pilota di punta della Cooper, team di riferimento per l’epoca. I driver dal cuore vero, però, campano più di sfide che di pane e allora decide di fondare una sua società dandole il nome di MRD (che denominerà i telai prodotti Brabham) e iniziando ad operare già nel 1961 costruendo telai per la Formula Junior. Le vetture in quel periodo erano tutte progettate da Ron Tauranac, tecnico australiano che Brabham conobbe fin dai tempi delle gare nella terra dei canguri. La sigla storica dei telai Brabham era composta dalle iniziali dei due soci (Brabham e Tauranac).

Il 1962 Jack Brabham lo inizia alla guida della Lotus; ma il 5 agosto 1962, in un piovoso pomeriggio nell’inferno verde del Nurburgring, Jack Brabham porta al debutto la prima Brabham della storia: la BT3 spinta dal V8 Climax. Il risultato è un ritiro per noie all’acceleratore, ma da li prende il via il mito della Brabham. Prima della fine della stagione arriveranno 2 eccellenti quarti posti negli USA e in Sud Africa. Nel 1963 arriva la prima vittoria al “Solituderennen” (non valida per il mondiale di Formula 1) portata dal solito Jack Brabham.

A Maranello, Enzo Ferrari chiama i team come la Brabham “i garagisti” perchè non gradiva coloro che si appoggiavano ad aziende esterne per costruire vetture di Formula 1. La Brabham stessa era una di loro. Cambio da uno, motore dall’altro, freni da quell’altro ancora e tutto montato sull’unica cosa costruita nella factory del Surrey ma dannatamente vincente: il telaio. L’abilità alla guida di Brabham sommata alle capacità di Tauranac fanno si che in poco tempo il team cresca e cominci a raccogliere le soddisfazioni anche in Formula 1 e non solo in F2 e F3 (la BT15 e la BT21 erano i telai più in voga in Formula 3)

Nel 1964 Dan Gurney vince in Francia e Stati Uniti, e un pò tutti cominciano ad accorgersi della bontà dei telai Brabham. Piloti come Siffert e Anderson ne acquisteranno uno per correre in Formula 1.Nel 1965 Jack Brabham legge prima di tutti il futuro delle corse e firma con la Goodyear un contratto di fornitura esclusiva di pneumatici. Non solo, “Black Jack” rompe con la Climax e commissiona alla Repco (azienda australiana che fino a quel momento revisionava solo i motori) la costruzione di motori 3.0 V8 obbligatori in F1 a partire dal 1966.

Sulla carta, le ultra favorite per il 1966 sono le Ferrari con i loro motori 3.0 di cilindrata già pronti in officina. Peccato, però, che varie problematiche interne a Maranello e gomme Dunlop non all’altezza rallentano le rosse che non possono fare altro che chinarsi a Jack Brabham. Grazie ad una serie devastante di 4 vittorie consecutive, diventa il primo, e finora unico, pilota e costruttore a vincere un mondiale. Nel 1967, la Brabham replica sia titolo piloti che costruttori ma il mondiale va a Denny Hulme che batte il patron Brabham non senza creare qualche dissapore che porterà Hulme a migrare verso una Mclaren agli inizi ma in grandissima crescita.

Dopo un biennio di abbuffate in termini di risultati, inizia un periodo buio per la Brabham.L’ Annus Horribilis è il 1968 con soli 2 punti a fine campionato, mentre nel 1969 la Brabham rimane a lungo lontana dai primi ma chiudendo il campionato in crescendo. Il 1970 inizia con la vittoria in Sud Africa, ma Brabham non riuscirà mai ad essere una vera minaccia per Rindt e la Lotus. A fine campionato Jack Brabham decide di ritirarsi cedendo la sua quota a Ron Tauranac che manterrà il nome di Brabham. Nel 1971 arrivano l’esperto Graham Hill e il giovane Tim Schenken ma non i risultati, a tal punto che qualcuno invocava il ritorno di Black Jack alla guida delle sue creature. Tauranac si dimostrò tuttavia un validissimo tecnico, portando al battesimo in F1 gli alettoni e progettando un telaio monoscocca (BT33) validissimo, ma contro la rivoluzionaria Lotus 72 non c’era trippa per gatti.

Tauranac è tanto bravo come progettista, quanto poco ferrato nella gestione degli affari, e cosi nel 1972 cede tutto ad un quarantenne già manager di Lewis-Evans e Jochen Rindt: Bernie Ecclestone. La cura del già all’epoca occhialuto e dall’acconciatura a casco jet Mr.E. si fa subito sentire. Sostituisce il partente verso il suo progetto Ralt Tauranac con Bellamy, ma non ancora soddisfatto lo rimpiazza dopo solo un’anno con colui che sarà l’artefice dei più grandi successi Brabham: Gordon Murray. Sul piano finanziario ottiene in primis una vagonata di Lire (incredibile ma vero le aziende italiane investivano nella Formula 1!!) dalla Martini, cancella il nome storico MRD con “Martini Racing Team” e intrecciò accordi con i team inglesi (Lotus, Williams, Mclaren, Tyrrell, March) dando vita alla FOCA. Ecclestone, tutt’altro che appagato, si distacca dal gruppo, e abbandona i Ford Cosworth affidandosi all’Alfa Romeo e all’ingegner cinofilo Carlo Chiti.

In quegli anni, però, il motore boxer è troppo ingombrante per dare sfogo al genio di Murray e alle capacità di guida di piloti come Pace, Reutmann e Watson. Le preghiere dell’ingegnere sudafricano furono ascoltate solo nel 1978, quando si passò dai boxer al 12 cilindri a V molto più consono alle wing car. Sempre in quell’anno Ecclestone scioglie il contratto che lo legava a Carlos Reutmann e rempie di soldi le tasche del transfugo Ferrari Niki Lauda. Inoltre Ecclestone firma un importante accordo di sponsorizzazione con la Parmalat che sostituirà la Martini a partire dal 1980. In quella stagione le Lotus 79 dominano in lungo e in largo ma al Gp di Svezia la Brabham Bt46\B si presenta con una con una vistosa copertura sul posteriore. In pochi sanno cosa c’è dietro questo coperchio (di un bidone della spazzatura “riciclato” per l’occasione) e Colin Chapman impazzisce per scoprire l’arcano. Quando il coperchio viene tolto, si vede un vistoso ventolone che, a detta di Murray, serve a raffreddare il motore Alfa ma in realtà estremizzava il concetto di wing-car soffiando via aria dal sotto della vettura. In gara Lauda, con serbatoio a tappo e gomme di marmo, umilia Andretti e solo un problema all’acceleratore a Watson nega alla Brabham una doppietta. Il dispositivo verrà giudicato irregolare e la Bt46 \B verrà bandita.Il 1979 è un’anno difficile per la Brabham, culminato con l’abbandono di Lauda.

Nel 1980 i risultati tornano grazie al giovane Piquet (eccellente deb nel 1979) che perde il titolo solo nelle ultime due gare (e una manovra poco gentile di Jones) per poi centrarlo nel 1981 in una stagione che lo vide vincere 3 volte  approfittando delle lotte interne alla Williams tra Jones e la vecchia conoscenza alla Brabham Carlos Reutmann. La Brabham tornò a vincere nel mondiale piloti dopo 13 anni dalla seconda iride di Hulme, ma non nel costruttori che andò per la prima volta alla Williams, di gran lunga una macchina superiore alla Brabham, ma con gerarchie non ben definite all’interno del team. Nelson Piquet, ventinovenne pilota brasiliano, diventa quindi colui che è stato in grado di ridare glorie alla Brabham e, dopo il suo fondatore, è probabilmente il più grande pilota che abbia mai guidato le macchina provenienti dalla factory del Surrey.

Nel 1982 la Brabham ingaggia Patrese e  abbandona i motori DFV Ford per montare i potentissimi Turbo Bmw per dare il via all’ultimo periodo di gloria per la scuderia del grande Black Jack.Agli esordi, i Turbo Bmw fumano come delle stufe a tal punto che Ecclestone e soci devono ripescare la vecchia BT49 a motore Ford dell’anno prima, ma prima della fine dell’ anno arriva la burrascosa vittoria di Patrese a Montecarlo (anche se ancora col DFV) e nel ,tragico Montreal 82, anche Piquet mette a segno la prima vittoria di un Turbo BMW. L’anno successivo, si passa da sinfonie di turbine fumanti a musiche trionfanti.

La BT52 è stilisticamente una tra le Brabham più belle di sempre e con i suoi 800 CV nati dal 1.5 Turbo Bmw acquista un fascino senza pari. In quell’anno Piquet e Prost sembrano cavallieri che in groppa a destrieri belli e devastantemente potenti ingaggiano una sfida lunga tutta la stagione. Piquet vince in Brasile poi sembra difendersi dai colpi da un Prost in grande crescita, ma anche conscio che in Brabham devono lottare con un Bmw che si scalda facilmente. Non appena Murray e soci individuano e risolvono i problemi, Piquet ri agguanta Prost, in caduta libera insieme al suo Renault e già con la testa alla Mclaren, e compie il sorpasso che vale l’iride all’ultima gara a Kyalami. Poco importa se Ecclestone aveva messo benzina irregolare: lui era in buona fede. Renault e Ferrari se lo fanno andar bene, in fondo Mr.E è già una persona che conta, e la FOCA sta sempre più prendendo il sopravvento nei suoi piani futuri.

Nei 2 anni successivi la Brabham inizia un lento e inesorabile declino. Nel 1984 la BT53 è veloce ma paga un motore BMW troppo fragile e le 2 vittorie in Canada e USA Est sono una magra consolazione. La parabola discendente prosegue nel 1985 dove arriva solo una vittoria in Francia e i fondi arrivati dalla nuova sponsorizzazione con la Olivetti non vengono investiti a dovere.

Nel 1986 la Brabham si trova orfana di Piquet, in fuga verso la Williams, e con le sirene della Mclaren che cercano di sedurre Gordon Murray. La macchina è la terrificante BT55 detta anche “la Brabham Sogliola”. Bassa, rastremata, lunga e con un motore (ancora Turbo BMW) con una bancata ad inclinazione particolare per abbassare ulteriormente la parte posteriore al cockpit. I piloti sono tutti italiani con il rientrante Patrese affiancato da Elio de Angelis. Nel corso di un test a Le Castellet (per cercar di sviluppare una macchina disastrosa) Elio de Angelis perde la vita in un terribile incidente. Il 1986 sembrava essere l’anno del “tutto per tutto” alla Brabham, un la va o la spacca che purtroppo ha spaccato e il crollo della gloriosa Brabham è inarrestabile. Nel 1987 Murray cede alle tentazioni Mclaren e al suo posto arriva Sergio Rinland che disegna la BT56, meno estrema della progenitrice ma anche meno performante.

Nel 1988 la fuga di sponsor e Ecclestone sempre meno uomo Brabham spingono il team a saltare una stagione agonistica nel corso della quale il presidente della FOCA cede tutto a Joachim Luhti più famoso per le sue frodi fiscali e le sue prigioni che per il giovamento che porterà alla Brabham. A fine 1989 la Brabham passa al gruppo Middlebridge che fece un prestito enorme già solo per acquisire il team, figuriamoci se sapeva come gestirlo. Il team ormai è sull’orlo del baratro e lotta nelle retrovie con i team che cercano di sopravvivere in quelle stra-piene griglie di partenza degli inizi anni 90.

Dopo anni di agonia, a metà agosto 1992 (30 anni esatti dopo il debutto) la Brabham chiude per bancarotta e a pagare tale scempio ad una delle più grandi scuderie della storia della Formula 1, saranno magnati o “magna-magna”, investitori o “investitorini” che manco avevano i soldi per salvarla però hanno voluto investire in un mondo che (com’era all’epoca) e ne sai o sei fuori in un battibaleno.

La Brabham piace ricordarla negli anni antecedenti al 1987 (ultima vera Brabham) come un team vincente, sempre in linea con i cambiamenti regolamentari dell’epoca e telaio prediletto da grandi piloti. Un team che ha passato gli anni ruggenti delle minigonne, dell’effettuo suolo, dei turbo e delle polemiche uscendone sempre a testa alta. La morte della Brabham è stata scritta da chi voleva solo i soldi, ma la magia che rievoca questo nome non verrà mai a morire in chi crede che la Formula 1, una volta, era uno sport vero e non uno show semi-circense da mettere su qua e la nel parco giochi del miglior offerente.

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